Un tempo campo di transito per i nuovi immigrati dal Kurdistan, Maoz Tzion, detto il Castel per via di un fortino in cima a una collina, è ora un insieme indistinto di villette e baracche, di case e macerie, strade linde e vicoli fatiscenti. Dopo tante catapecchie condivise, i litigi per i conti e i turni per la doccia, Amir, studente di psicologia a Tel Aviv, e Noa, studentessa di fotografia a Gerusalemme, hanno preso casa al Castel. L'appartamento trovato non è, certo, quanto di meglio si possa desiderare. Un bilocale con un salotto grande quanto una cucina, una cucina grande quanto un vano doccia e un vano doccia con la spatola per tirare via l'acqua quando si allaga. Ma per Amir e Noa è un palazzo dove possono vivere come un re e una regina, girare per il salotto in mutande e fare l'amore dappertutto, a qualunque ora, senza temere che il coinquilino rientri in anticipo. Dietro il muro del loro appartamento abita il padrone di casa, Moshe Zakian. Moshe ha soltanto due anni più di Amir, anche se è già marito di Sima e padre di due bambini. Non parla granché, preferisce fare, aggiustando qualunque cosa: serrature, elettricità, tubature otturate. E sua moglie Sima, che al contrario parla sempre e ha la battuta pronta, è il suo grande amore. Si vede a chilometri di distanza. Nell'appartamento di fronte vive il piccolo Yotam che si sente trascurato da quando Ghidi, il fratello grande, è morto soldato in Libano. Sua madre, infatti, non fa altro che singhiozzare e mormorare "Ghidi, oh Ghidi"...
Laurinda è una domestica a ore. Chiama "padroni" i suoi datori di lavoro, ma nel suo tono di voce non c'è un briciolo di provocazione. Per lei il mondo va così e non ce n'è da lamentarsene. Si dice contenta di essere vedova, è conservatrice, bacchettona, pettegola, sboccata, superstiziosa e parla con i fantasmi. Eppure, quando varca la soglia di casa dei suoi quattro padroni e inizia a parlare con quel suo modo schietto e sincero tutti pendono dalle sue labbra. Come Celeste, una donna divorziata che passa da un flirt all'altro, l'ultimo dei quali con un bamboccio apatico interessato solo ai suoi soldi. O Vanda, sposa e madre esemplare che si annoia a morte e passa il tempo a cucinare, senza rendersi conto che nessuno mangia quello che lei si ostina a preparare. Oppure Ursula, una ceramista svizzera nella cui casa affollata da quadri si muovono anime e fantasmi che solo la domestica può vedere. E infine Emanuel, "il professore": uomo colto e scapolo. L'unico che Laurinda vizia e coccola nella speranza che ammetta la sua omosessualità e dia una raddrizzata alla propria vita. "Con rispetto parlando" è una commedia umana in cui la protagonista accompagna i propri "padroni" tra fidanzamenti, divorzi, scandali e viaggi improvvisi, confermando quanto sia vero uno dei ritornelli da lei più ripetuti: "gli uomini, in fondo, sono tutti uguali".
Un'altra torrida estate è finita a Delhi, e la festa di Diwali, con il suo frastuono, la folla, gli striscioni colorati e i minacciosi fuochi d'artificio, è ormai lontana. Quale momento migliore, dunque, per stiracchiarsi, sbadigliare, scuotere le zampe, e riaprire la caccia per i gatti di Nizamuddin, un nobile quartiere alla periferia della città? I gatti di Nizamuddin sono una delle più antiche colonie di felini di Delhi. Da secoli gironzolano indisturbati tra i tetti e le rovine del quartiere alla ricerca di cibo e di avventure. Da secoli si tramandano la storia delle loro mirabolanti imprese. Miu-Miu, la più anziana del clan, ne conosce alla perfezione i più piccoli dettagli e non manca di trasmetterli ai membri più in vista della colonia. A Katar, innanzi tutto, il bel maschio grigio che con lei condivide l'autorevolezza concessa dall'età. A Hulo, il guerriero con le orecchie tremebonde, il pelo perennemente arruffato e le numerose ferite sulla schiena riportate nelle epiche battaglie contro i ratti. A Beraal, la gatta dal pelo bianco e nero così lungo che si arriccia setoso sulle zampe e si sporca facilmente di terra e foglie secche. A Mancino, l'orfano della colonia, uno scavezzacollo che non fa che mettersi nei guai. Una storia così illustre che suscita un tale rispetto e timore che non vi è micio del mercato o selvatico delle colonie vicine di Qawwali e della Dargah che osi avventurarsi dalle parti di Nizamuddin...
Novantatré ospiti, perché uno entri, un altro deve partire, la cena si serve ogni sera alle sei, nella sala grande, ecco la televisione, i divani, il giardino, gli infermieri che parlano con frasi semplici, sempre, i medici che sorridono, sempre, perché gli anziani, si sa, hanno l'età mentale dei bambini e se non si trattano con cura, se non si dà loro un biscotto o una carezza, fanno le bizze e piangono. Non c'è molto da capire nella casa di riposo "Feliz Idade", ma ad Antonio non interessa affatto capire. Sua moglie Laura, con cui ha trascorso ogni giorno degli ultimi cinquant'anni, è appena morta e i suoi figli lo hanno lasciato in un ospizio con due valigie e un album di fotografie: si sente cosi pieno di rabbia, di frustrazione, di risentimento che, se potesse, urlerebbe fino a far crollare i muri. Invece preferisce non dire niente. Anzi, lui non dirà proprio niente, mai più. Se ne starà semplicemente in silenzio, fino alla fine dei suoi giorni. È appena arrivato a questa conclusione quando il signor Pereira, un veterano dell'ospizio, gli si avvicina e gli confida di essere rimasto zitto per tre mesi, al proprio arrivo. Antonio non è ancora al sesto giorno... Intuito quanto sia ridicolo voler vivere segregato da tutti, come un condannato a morte, non gli rimane che una soluzione: abituarsi alla nuova vita che lo aspetta nella "Feliz Idade"...
Beit Safafa è il quartiere più ricco di Gerusalemme est. Prediletto dagli arabi israeliani provenienti dal nord, il quartiere ha prezzi di case, carne e altri generi di prima necessità così alti che nelle panetterie vi sono due tariffari, uno per i locali e un altro per gli immigrati. A Beit Safafa vive l'avvocato protagonista di queste pagine, un giovane procuratore con una promettente carriera da principe del foro gerosolimitano davanti a sé. Vive in una villetta, due piani con salotto spazioso, cucina ultramoderna e due ampie stanze da letto. E ogni giorno raggiunge il centro a bordo della sua elegante Mercedes nera. Insomma, l'avvocato è, come si usa dire, un uomo che ne ha fatta di strada, un bravo ragazzo che ha di certo realizzato il sogno di sua madre, comune a tutte le madri arabe in Israele: avere un figlio medico o avvocato di successo. Tuttavia, ha anche un cruccio che l'affligge non poco. Si vergogna delle sue lacune in fatto di musica, letteratura, teatro e cinema. Lacune rilevanti, visto che suoi colleghi israeliani parlano disinvoltamente di tali argomenti. Perciò, di tanto in tanto fa una capatina in una vecchia libreria a dare una sbirciata ai titoli di narrativa raccomandati da Ha'aretz, il giornale cui è opportunamente abbonato. Un giorno, nel settore dei libri usati della libreria, scopre, e decide di comprare all'istante, una copia gualcita di "Sonata a Kreutzer", celebre racconto di Tolstoj, che sua moglie gli ha una volta stranamente menzionato...
Il 6 marzo 1664 Elsje Christiaens, giovane e bella diciottenne, dolce di carattere e del tutto ignara del corso del mondo, lascia le fredde terre danesi dello Jutland e si imbarca sulla Dorothe, un veliero diretto ad Amsterdam. Il 3 maggio 1664 la ragazza viene giustiziata in piazza Dam mediante strangolamento, e il suo corpo messo in mostra sulla forca di Volewijck per essere divorato dal vento e dagli uccelli nel corso delle stagioni. Come sovente accade, la sua triste sorte avviene per un mero capriccio del destino. Una volta ad Amsterdam, la ragazza trova rifugio in un'ambigua locanda dove alle ragazze ospiti è chiesto spesso di pagare in natura intrattenendosi con i clienti. Dopo il suo ostinato rifiuto a cedere alle avances di un cliente, la locandiera le intima un giorno di saldare il conto - un misero tallero, non di più - senza proroghe, e la colpisce con una scopa. Elsje Christiaens sente divampare dentro di sé un'improvvisa, inarrestabile violenza e poi la perfetta calma con cui si annuncia sempre qualcosa di terribile. Sventura vuole che scorga un'accetta su una sedia e che con quella colpisca, ripetutamente, la locandiera. Il caso di Elsje Christiaens, assassina per un tallero, sarebbe consegnato irrimediabilmente all'oblio del tempo, se un grande pittore non avesse deciso di recarsi a Volewijck, e non avesse immortalato su una pergamena la sfortunata ragazza danese...
Costantinopoli, 1531. Elie, un bambino ebreo di undici anni, si aggira per il bazar al seguito di Arsinée, la donna che l'ha fatto uscire dal ventre di sua madre, e di suo padre Sami. Al bazar, tutti lo conoscono come un monello capace di ritrarre chiunque in pochi secondi. Quando può, Elie fugge via dal bazar. Verso la bottega di Djelal, il danzatore sufi che crea gli inchiostri più belli di tutta Costantinopoli. Ad affascinare Elie sono, tuttavia, i suoi inchiostri - azzurri, cremisi, verdi - che gli permettono di esprimere il talento in cui sembra meravigliosamente eccellere: il disegno. L'infanzia di Elie in terra turca finisce il giorno in cui la morte si porta via Sami. In cambio di un ritratto fatto al capitano del Tizzone, una maestosa nave ancorata al porto, Elie si imbarca per Venezia, non prima di ribattezzarsi Ilias Troyanos, greco di Costantinopoli. A Venezia uno strabiliante destino lo attende. Ilias Troyanos diventa il Turchetto, il più grande di tutti i pittori della città. Uno strabiliante destino che si capovolge, tuttavia, nel suo opposto, in una sorte maligna, il giorno in cui la modella prediletta del Turchetto, Rachel, una bellissima ragazza ebrea dagli occhi incredibilmente verdi e dalla bocca perfetta, viene orribilmente assassinata e gettata in un canale da tre malviventi mascherati come a Carnevale e reduci da una notte di bagordi.
K.V. Shankar Aiyar è un manager di successo. Gurucharan Ray è un suo amico cinquantenne, che K.V. considera come un suo discepolo nell'arte di arricchirsi nella nuova India. In realtà i pensieri di Gurucharan sono molto distanti dalla generale euforia innescata da un PIL in vertiginosa crescita. Spedito in missione dall'azienda in una remota regione, un giorno Gurucharan scompare. Unica sua traccia, i suoi diari che K.V. si vede recapitare. Pagine in cui Gurucharan esprime un profondo disagio dinanzi alla distanza, che si fa sempre più grande, tra chi detiene il potere e chi lo subisce in India. Bhatta, un giovane uomo che ha cambiato mille lavori, è stato un ragazzo inquieto e tormentato attratto da Gurucharan. Per lui Gurucharan ha sempre rappresentato una possibilità di salvezza dalla schiavitù del lavoro e del benessere a tutti i costi. Un giorno Bhatta viene a sapere della morte improvvisa di Gurucharan; si reca nella regione in cui l'amico si era ritirato e scopre l'intenzione di fondare un grande villaggio utopico nella Valle dei Fiori, nei pressi di Hemkund. Un progetto nel quale lui stesso avrebbe dovuto avere un ruolo. Ma il tempo ha mutato le cose: Bhatta è diventato il padrone di una galleria d'arte di successo. Nel suo animo, il senso di una qualsivoglia redenzione si è affievolito fino quasi a scomparire. Adesso, di fronte a sé, vede soltanto i fulgidi bagliori della Shining India. L'India dei sogni sorti sul cimitero del mondo antico.
Una nonna precipita nell'oblio della vecchiaia cancellando dalla memoria dapprima la figlia e poi la nipote, e chiudendosi nel castello inattaccabile di chi si approssima alla fine. Niente sembrerebbe destarla alla vita, né il cibo né le premure dei familiari. Un giorno, però, la nipote le porta una granita gelata, un piccolo gustoso monte Fuji identico a quello assaporato qualche anno prima a un chiosco non lontano da casa, e allora la nonna ritrova un guizzo di gioia e vitalità. Una donna gravemente ammalata decide di dedicare i suoi ultimi giorni a insegnare alla sua bambina come preparare un buon misoshiru, la zuppa di miso, la pasta di soia fermentata servita in una ciotola di brodo denso. Ha promesso al marito di preparargli ogni giorno l'adorato piatto e non vuole che, dopo il suo congedo dal mondo, un'altra donna, estranea alla famiglia, assolva quel compito. Una coppia alla vigilia della separazione si reca nella penisola di Noto per un'ultima cena. Il tipico aroma speziato dei funghi matsutake, il sashimi di cernia macerata con alga konbu e un bel po' di sake fanno dileguare per un istante rimpianti e tristezza dell'addio. I personaggi del nuovo libro di Ito Ogawa celebrano quasi tutti degli addii - il congedo dal mondo, dagli affetti più intensi, da un lungo rapporto d'amore, dai luoghi più cari - in compagnia di un cibo. Per un breve fugace momento, il cibo lenisce la crudeltà dell'addio e restituisce piacere della vita e le gioie del palato.
Dai giorni del corso come osservatore nell'esercito di Israele, gli occhi di Dori sono sempre in cerca di minacce potenziali: cecchini sui tetti, movimenti sospetti fra i vicoli, una tenda spostata, uno scintillio che rivela che qualcuno ti sta osservando col binocolo. Un'attività inutile, ma così radicata che il timore di pericoli alberga ormai stabilmente nella sua mente. Roni, ad esempio, è la prima donna alla quale Dori ha permesso di toccare il suo amaro nocciolo di solitudine, la prima donna di cui si è fidato, sino al punto da appoggiarsi e assuefarsi totalmente a lei. Tuttavia Dori è convinto che, camminando col suo passo svelto, un giorno lei non si fermerà più e lo lascerà. E allora per evitarlo, Dori ha deciso di andarsene lui. Suo padre, Meni Peleg, eroe della guerra del Kippur, dopo la morte dell'amata moglie è scomparso da qualche parte in Sudamerica. Per scacciare i suoi spettri privati, Dori parte alla sua ricerca. Inbar ha la stessa età di Dori, non più giovane come le giovani, né avanti negli anni come quelle avanti negli anni. Una via di mezzo. Esattamente come Dori. Anche Inbar è in fuga dai suoi fantasmi privati e dalle persone in carne e ossa cui è attaccata la sua vita in Israele. Dori e Inbar si incontrano e si amano in Sudamerica. E in Argentina, là dove alla fine dell'Ottocento il Barone Hirsch comprò molte terre, convinto che fosse il posto migliore dove creare un focolare nazionale gli ebrei, si imbattono insieme in Meni Peleg.
Londra, 1896. Robert Wallis ha ventidue anni e conduce una pigra esistenza da esteta, tra oppio, vaghe aspirazioni letterarie, una raffinatezza ricercata e languidi incontri con donne di facili costumi. Vive in un limbo ozioso: non più studente, dopo l'espulsione da Oxford, non ha alcuna fretta di trovare lavoro, assistito com'è dalla benevola munificenza del padre. Il giovane bohémien ignora però di avere un dono prezioso: un palato molto sensibile e una "plume" precisa ed elegante, capace di tradurre in parole ogni sfumatura del gusto. Il caso vuole che un giorno capiti al Café Royal, la brasserie frequentata da Robert e da una nutrita schiera di eccentrici nullafacenti come lui, Samuel Pinker, un mercante di caffè basso come uno gnomo e dall'aria compunta e sobria come la sua finanziera senza fronzoli. Perspicace come pochi, Pinker assolda il giovane esteta per un progetto rivoluzionario: creare un cofanetto di aromi per dare al caffè un lessico universale. Il mercante ha una figlia, Emily, una ragazza dal viso espressivo e vivace, e dai capelli setosi e dorati raccolti in una crocchia severa. La razionalità e tenacia di Emily, allevata dal padre all'insegna del progresso e della modernità, compensano perfettamente la mollezza sensuale di Robert e, con grande disappunto di Pinker, tra i due nasce un amore condito da profumi e sapori afrodisiaci.
È l'inizio del ventesimo secolo e in Giappone l'Era Meiji, l'epoca del grande Rinnovamento, avanza impetuosa con le sue sconvolgenti modernizzazioni. Daisuke appartiene a una nobile famiglia, agli "aristocratici designati dal Cielo", e tuttavia è fiero di essere considerato un trentenne moderno, un dandy che legge il poeta italiano D'Annunzio, si diletta con le pagine così sfacciatamente decadenti della letteratura occidentale ed è lontanissimo dallo spirito antico del Giappone. Questa vita tenuta al riparo dai conflitti crolla inevitabilmente il giorno in cui Michiyo, la giovane moglie di Hiraoka, un vecchio compagno d'università caduto in disgrazia, ricompare a Tokyo. Michiyo emana una vaga impressione di malinconia, uno struggimento irresistibili per Daisuke, che trasforma d'incanto l'affetto sempre nutrito per lei in una passione irrefrenabile. Dalla sua frequentazione della letteratura francese, Daisuke sa che il tormento, l'angoscia dell'adulterio sono sentimenti per eccellenza moderni. Sa, tuttavia, anche che la modernità del Giappone non è tale da permettere di infrangere, senza imbattersi in un duro castigo, i sacri vincoli di una condotta morale trasmessa da millenni. Per la prima volta nella sua vita, però, Daisuke trova il coraggio di andare incontro al proprio destino: decide di rifiutare il matrimonio combinato che gli propone il padre e di dichiarare il suo amore a Michiyo