A Fort-Lamy, nell'Africa Equatoriale Francese, il centro d'attrazione è l'Hotel del Ciadien. Il caffè-bar-dancing è di proprietà di Habib, una canaglia col sigaro perennemente alle labbra, il sorriso beffardo che non si rivolge a nessuno in particolare, ma pare destinato alla vita stessa, e di un suo protetto: de Vries, un giovane esile, eretto, capelli biondi ondulati, che si fa vedere raramente a Fort-Lamy e trascorre il tempo a braccare la natura in tutti i suoi rifugi col suo bel fucile col calcio incrostato d'argento. Fino a qualche tempo fa il Ciaden era un luogo piuttosto desolato, poi è arrivata Minna, tedesca, bionda, un gran corpo vistoso, un passato da dimenticare alle spalle, e l'atmosfera è cambiata. Un giorno, mentre Minna è al bar intenta a scegliere i dischi per la serata, piomba sulla pista da ballo un uomo con un viso energico e un po' scuro, i capelli castani e ricciuti, che ogni tanto rigetta indietro con un gesto brusco. L'uomo ordina un rhum. Poi comincia a parlare a Minna. Non le dice né chi è né da dove viene, ma le parla degli elefanti, delle migliaia di elefanti che vengono uccisi ogni anno in Africa. Meravigliosi animali in marcia negli ultimi grandi spazi liberi rimasti al mondo, abbattuti senza pietà. E così, quasi senza accorgersene, Minna e Morel, il "francese pazzo", l'"avventuriero dello spirito" compiono l'uno verso l'altra i primi passi di un'avventura che diventerà leggenda in Ciad e in tutta l'Africa Equatoriale Francese.
In un affollato quartiere residenziale di Tokyo quattro studentesse trascorrono un'estate caldissima preparandosi ad affrontare gli esami per l'ammissione all'università. Sono molto diverse tra loro: Toshi è affidabile e sicura, Yuzan riservata e malinconica, Terauchi ha un grande talento per gli studi, Kirarin occulta dietro la sua dolcezza un'attrazione morbosa per i comportamenti estremi. Un rumore inconsueto che proviene da un appartamento stravolge improvvisamente il loro destino: il vicino di casa, un liceale che le quattro amiche chiamano il Vermiciattolo, ha ucciso la madre ed è scappato con la bici e il cellulare di una di loro. In fuga dalla polizia, il giovane assassino inizia a contemplare affascinato il proprio volto riprodotto in fotografie e servizi televisivi, assapora l'improvvisa visibilità mediatica, il racconto della sua vita riscritto da giornalisti e reporter, e asseconda la curiosità collettiva intorno alle ragioni che lo hanno spinto a uccidere. Il pigro distacco del giovane si trasforma progressivamente in una consapevolezza crudele: insensibile alle conseguenze del suo crimine, vuole che le ragazze scrivano per lui un manifesto filosofico che esalti la lucida follia delle sue azioni... Immerse in una vita di chat, sms e Reality TV, le quattro adolescenti scoprono un mondo scabroso e brutale. Una realtà popolata di ragazzi in attesa di un esempio, di una guida che li riscatti dalla noia di un sistema che non sa comprendere la loro diversità.
La storia di Animal comincia la notte in cui lo trovarono steso davanti a una porta, bimbo di pochi giorni, avvolto in uno scialle. La notte famosa in cui la Kampani, la fabbrica chimica americana, sparse nel cielo del piccolo villaggio indiano di Khaufpur dei veleni "così buoni" che dopo tanti anni non si riescono ancora a togliere. Animal tossiva quella notte, aveva la bava alla bocca, gli occhi storti dalla nebbia bruciante. Nessuno si aspettava che sopravvivesse, quando lo portarono all'ospedale. E invece sopravvisse. E allora lo affidarono all'orfanotrofio locale visto che non c'era anima viva a reclamarlo. A sei anni, però, ecco un improvviso bruciore nel collo e dietro le spalle, e la schiena che comincia a piegarsi. Quando la spina dorsale ha smesso di fondersi, le ossa erano piegate come una forcina e la parte più alta di lui era il culo. I primi a chiamarlo Animal sono stati i bambini dell'orfanotrofio quando l'hanno visto camminare a quattro zampe. E da allora il nome gli è rimasto appiccicato come fango. Ora, però, ha trovato un lavoretto. È entrato a far parte della banda di Zafar, un tipo che ha lasciato l'università ed è venuto a Khaufpur per organizzare la lotta contro la Kampani. Da un grave tragico evento reale (il più grave incidente chimico-industriale della storia avvenuto a Bhopal nel 1984) un libro che celebra la vita descrivendo lucidamente la crudeltà del male.
1930, Algeria. Hélène vive a Tigzirt, un piccolo paradiso di terra e mare che si nutre della luce del sole e si muove al ritmo lento dei riti del suo popolo. La famiglia, spagnola d'origine, si è trasferita in Algeria perché il padre, disertore in patria, ha dovuto abbandonare il suo paese. Straniero tra gente che non lo vuole, ha scelto l'Algeria per restarci per sempre. Ed Hélène ama questa terra come se fosse sua, cresciuta com'è tra i sentieri polverosi che s'inerpicano fino ai douars in montagna, le discese veloci che digradano a riva, i vicoli bianchi che si riempiono di salsedine, le botteghe artigiane che sanno di cuoio, fumo e cumino. Gli scenari della guerra civile sono ancora lontani, tuttavia le notizie che circolano a Tigzirt non sono affatto rassicuranti: parlano di liste nere, di confisca delle proprietà ai colonialisti, di insurrezione imminente. Hélène è giovane e bella e piena di quelle grandi speranze che non coincidono con la semplice necessità di difendere la vita e la proprietà. Decide allora di partire...
È il 31 gennaio del 1953 ad Amsterdam e Armanda chiede alla sorella Lidy il favore di compiere per lei un'incombenza: far visita a uno dei suoi figliocci nella provincia olandese dello Zeeland. È una mattina di pieno inverno, con una pioggia assillante e fastidiosa. Lidy, però, parte di buona voglia, poiché sa che sua sorella non mancherà di prendersi cura della sua bambina e di accudire suo marito per le 24 ore in cui sarà assente. Quello che Lidy ignora è che quelle sono 24 ore fatidiche: le ore in cui la costa olandese conoscerà la più terribile mareggiata che la storia ricordi. Un'inondazione che spazzerà completamente via l'intera regione dello Zeeland e, con essa, anche la giovane esistenza di Lidy. Armanda, il cui legame con Lidy non si romperà mai, continuerà la sua vita con lo stesso ritmo di sempre. Incalzata dal fato, che lei stessa ha sollecitato, sposerà il marito di Lidy, ne crescerà la bambina e sperimenterà gli alti e i bassi dell'esistenza riservata all'eroica sorella.
Che cos'è il sogno americano? Che cosa rappresenta davvero per un emigrato cinese? Subito dopo i fatti di Tiananmen, Nan Wu, un letterato cinese che si trova in America per una specializzazione assieme alla moglie, decide, anziché rientrare in patria, di fare arrivare dalla Cina anche il piccolo Taotao, loro unico figlio, e cercare di ottenere la cittadinanza americana. Così si apre il calvario della famiglia Wu. Nan e la moglie, Pingping, si arrabattano per garantire a sé stessi e al bambino un presente vivibile e un futuro dignitoso: accantonata l'idea della carriera accademica, marito e moglie si danno da fare, lei come custode presso una facoltosa vedova americana che la tratta dall'alto in basso; lui come guardiano notturno prima e come aiuto cuoco e cameriere poi. Ammazzandosi di lavoro, Nan e Pingping riescono a comprare un ristorantino già appartenuto a un'anziana coppia di taiwanesi e a diventare alla fine proprietari di una casa con giardino e laghetto, realizzando così il sogno americano. Ma a che prezzo? Rinunciando ai sogni? All'idea di una vita dedicata all'arte e alla poesia? Dopo un deludente viaggio in Cina, dove scopre che l'ossessione americana per i soldi e il cinismo sono diventati ormai legge anche in Oriente, Nan decide di buttare tutto all'aria: ristorante, giardino e laghetto, di accettare un lavoro dipendente qualsiasi e di dedicarsi alla sua autentica passione: scrivere poesie.
Venti minuti prima che il traghetto lasci Ancona per Patrasso, Konrad Zundel, professore di liceo a Zurigo, in vacanza da solo, giusto per vedere un po' più chiaro nel proprio rapporto di coppia, perde un dente. Si era appena sistemato nell'angusta cabina a quattro, e aveva appena rivolto la parola agli altri viaggiatori, quando il dente gli è caduto di bocca ed è finito per terra. Risultato: mentre il traghetto si inoltra placido nel mare marrone del porto di Ancona, Zundel è a riva e, nel giro di una giornata, di nuovo a Zurigo, a casa sua. Solo che, a Zurigo, alla vergogna per il dente perso si unisce lo sgomento per l'addio di Magda, la sua donna, testardamente decisa a trascorrere le vacanze da sola. Convinto di essere stato definitivamente piantato, Zundel si rifugia in Italia dove precipita però nella disillusione e nello sradicamento più totali. Dopo un ultimo tentativo di reintegrarsi nella società, sparisce in Canada da dove invia al pastore Busch di Zurigo il diario della sua vita sregolata.
Questa è la storia di Jacques Rainier, cinquantanove anni, industriale, habitué dei salotti mondani internazionali, un uomo di successo che si accompagna senza alcuna remora a una giovanissima bellezza brasiliana. Un giorno Jacques si imbatte al Gritti a Venezia in Jim Dooley, un affascinante e ricco uomo d'affari della sua età, un texano da lui sempre ammirato e incontrato per la prima volta a Saint Moritz, ai campionati di bob, dove Dooley aveva vinto naturalmente. Quando, a Saint Moritz, aveva visto la figura alta dell'aitante texano in pullover rosso che si toglieva il casco all'arrivo della corsa e si voltava poi verso gli spettatori con un riso che pareva dar per scontato il possesso del mondo, Jacques non era riuscito a vincere una sensazione di inferiorità. Che delusione, perciò, rivederlo ora con i capelli grigi e i riccioli ormai incongrui su un volto pesantemente manomesso dal tempo. Lo sguardo azzurro diventato ormai vitreo. E quei discorsi, quelle confidenze, sugli acciacchi della vecchiaia. Dopo l'incontro con Jim Dooley la paura del declino fisico e sessuale si insinua in Jacques, lo pervade, lo distrugge, non lo abbandona più tra visite per il controllo della prostata e inattesi fallimenti con la giovane e ricca fidanzata brasiliana.
Il 1993 è appena iniziato in Sierra Leone e a Mogbwemo, il piccolo villaggio in cui vive il dodicenne Ishmael, la guerra tra i ribelli e l'esercito regolare, che insanguina la zona del paese più ricca di miniere di diamante, sembra appartenere a una nazione lontana e sconosciuta. Di tanto in tanto nel villaggio giungono dei profughi che narrano di parenti uccisi e case bruciate. Ma per Ishmael, suo fratello Junior e gli amici Talloi e Mohamed, quei profughi esagerano sicuramente. L'immaginazione dei ragazzi è catturata da una cosa sola: la musica rap. Affascinati dalla "parlata veloce" di un gruppo americano visto in televisione, i ragazzi hanno fondato una band e se ne vanno in giro a esibirsi nei villaggi vicini. Un giorno, però, in cui sono in uno di questi villaggi, li raggiunge la terribile notizia: i ribelli hanno attaccato e distrutto Mogbwemo. Ishmael non vedrà più casa sua e i suoi genitori. Perderà Junior. Fuggirà nella foresta, dormirà di notte sugli alberi, sarà catturato dall'esercito governativo, imbottito di droga, educato all'orrore, all'omicidio, alla devastazione. Il suo migliore amico non sarà piú il tredicenne Talloi ma l'AK-47 e la sua musica non più l'hip-hop ma quella del suo fucile automatico. Una testimonianza indimenticabile dal cuore dell'Africa, dove milioni di bambini muoiono di malattie curabili in Occidente e centinaia di migliaia sono mutilati o cadono in guerra.
"C'è chi sostiene che questo libro abbia girato il mondo ancor più della Bibbia" scrive Doris Lessing nell'introduzione alla presente edizione di "Kalila e Dimna," una delle grandi opere della letteratura mondiale. Apparse per la prima volta in una raccolta in sanscrito diciassette secoli fa, queste fiabe costituiscono la fonte nascosta o palese di autentici capolavori della letteratura occidentale. Senza di esse non avremmo probabilmente avuto Esopo e La Fontaine, "Le mille e una notte" e "I racconti di Canterbury", oltre a una sterminata serie di racconti popolari trasmessi oralmente lungo il corso dei secoli tanto in Occidente quanto in Oriente. Nate, in un'epoca cui è impossibile risalire, anch'esse da una tradizione popolare orale - si suppone che, ad un certo punto, dei pescatori e cacciatori indiani abbiano cominciato a trasmettersi delle storie con degli animali come protagonisti -, intorno al III secolo d.C. le fiabe furono raccolte e divise in cinque capitoli: Pañcatantra, in sanscrito. La leggenda vuole che l'autore sia stato un grande saggio indiano: Vishnu Sharma. Da allora in poi il Pañcatantra tocca tutti i paesi del mondo e viene tradotto in più di cinquanta lingue.
Bocchan: così si chiama in giapponese questo celebre romanzo di Natsume Soseki, che costituisce forse l'opera più letta nel Giappone moderno. Bocchan è il nome affettuoso che si usa in Giappone per rivolgersi a un bambino maschio. Le domestiche, ad esempio, chiamano bocchan il bambino della famiglia presso cui prestano servizio. È un nome che potrebbe corrispondere al nostro "signorino", se non fosse molto meno formale e deferente e, soprattutto, se non assumesse una sfumatura negativa quando, usato ironicamente, prende il significato di ragazzino immaturo, irresponsabile, ingenuo. Il personaggio, che è all'opera in queste pagine, è inguaribilmente bocchan, un "signorino" nella duplice accezione del termine giapponese. In età infantile, disprezzato dal padre e ignorato dalla madre che gli preferisce il fratello più grande, viene chiamato affettuosamente bocchan da Kiyo, la domestica di casa, una donna all'antica che considera il legame con lui alla stregua di quello che univa servitore e padrone in epoca feudale. Diventato adulto, resta un "signorino" dall'aria svagata, dalla mancanza di rispetto per l'etichetta, dalla disarmante sincerità. Insegna matematica ad allievi chiassosi e zucconi e in mezzo a insegnanti che non sono altro che un branco di caproni arroganti, disonesti e ipocriti. Dovrebbe rassegnarsi e capire che l'ipocrisia sta diventando norma nel Giappone moderno, ma non cessa un solo istante di difendere con impulsività e commovente ingenuità l'antico senso dell'onore.
È il 1984 a New Delhi, e la città è scossa dalle violenze anti-Sikh dopo l'assassinio di Indira Gandhi. Nella famiglia di Chhobi e Sonali, tuttavia, un piccolo clan di bengalesi rifugiatisi a Delhi a seguito della partizione dell'India, tutto sembra seguire il corso ordinario delle cose. La bella Sonali si è appena vestita e come sempre ha scelto d'istinto ciò che le dona di più. Chhobi, sua sorella, una ragazza sensibile e intelligente che non bada molto alle apparenze, non può fare a meno di guardarla ammirata. Dida, la nonna indomabile che tiene unita la famiglia a dispetto di tutte le avversità, intona la sua preghiera mattutina con i più disparati nomi di Krishna. Dadu, il nonno, siede già da qualche ora sulla vecchia seggiola di vimini e, mentre si accarezza la cisti sul mento, continua a sognare la sua terra. Ma, la madre, si aggira già per la casa col volto di chi è in lotta perenne con la solitudine dopo essere rimasta vedova a trent'anni. Tutto sembra uguale a ieri, ma tutto non lo è più. Come la città fuori, anche il piccolo continente della famiglia di Dida è scosso dalla tempesta. Sonali si è innamorata di un punjabi che, con le sue giacche troppo attillate e i profumi troppo forti, appare fatuo e vanesio agli occhi di Chhobi. Scoppiano i conflitti, nel seno della famiglia, tra Sonali sempre più proiettata verso l'Occidente e sua sorella Chhobi, in bilico tra modernità e tradizione, tra le due figlie e la madre.