André Neher (1914-1988), esegeta e filosofo, è stato un grande protagonista dell'ebraismo francese del dopo-guerra. È una delle personalità più in vista dell'ebraismo tout court del ventesimo secolo. Ha animato i celebri colloqui degli intellettuali ebrei di lingua francese insieme ad altri illustri esponenti dell'ebraismo quali furono E. Lévinas e il rabbino L. Askénazi (Manitou). Ha insegnato Lingua e Letteratura ebraica presso l'Università di Strasburgo prima di lasciare la Francia per Israele al tempo della Guerra dei Sei giorni. La sua carriera accademica è poi proseguita in Israele presso l'Università Bar-Ilan. La sua cospicua opera abbraccia la tradizione religiosa ebraica e il suo pensiero percorre la storia del popolo ebraico dalla Bibbia alla Shoah. Egli è autore di molti libri, oltre venti, e di centinaia di articoli. Questo libro, che raccoglie una serie di studi in gran parte pubblicati in francese o inediti, getta luce su aspetti decisivi e originali dell'opera di Neher: la complessità del suo metodo ermeneutico, la prospettiva midrashica caratteristica della cosidetta scuola di Parigi, la centralità teologica della nozione di Alleanza, l'universalismo e il particolarismo dell'amore, la vertigine come dimensione del suo pensiero, la tensione tra umanesimo ed elezione, la paradossale condizione (vissuta e tematizzata) dell'identità ebraica, la relazione dialettica tra Diaspora e terra di Israele in prospettiva messianica.
In un esercizio di "teologia comparata" o comunque di confronto attento e fecondo, l'autore propone una lettura originale della felicità navigando tra diverse proposte religiose. Mentre la felicità orientale insiste sulla liberazione interiore e sulla negazione dei desideri, l'ebraismo prima e il cristianesimo poi interpretano la libertà non come "uscita" dal mondo, ma come sua trasfigurazione: sono esperienze di felicità, ad esempio, anche l'amore e la gioia per la terra, le feste, la convivialità...La felicità però non è a buon prezzo. La sua scuola è la sofferenza come sa la ..sapienza orientale e quella raccontata con l'esperienza di Giobbe; essa ancora diventa motivo di scandalo per tutti coloro, come denuncia l'ebreo Gesù, che intendono la felicità come mantenimento dei propri privilegi, impedendo agli altri, specialmente ai poveri, di essere felici, cioè di vivere una vita degna e piena.
L'autore ci accompagna in un viaggio • affascinante e per nulla scontato attingendo al pozzo della sapienza spirituale di diverse tradizioni culturali e religiose. Confermando, in fondo, che quella sorgente può dissetare tutti anche se ognuno pratica percorsi differenti.
Insegnamento prezioso anche per il dialogo interreligioso che invita le religioni ad essere una "buona novella": beatitudine non come negazione, ma come trasformazione di vita.
Xabier Pikaza
Nato a Orozko (Paesi Baschi) nel 1941, teologo e pensatore cattolico, specializzato in teologia biblica e storia delle religioni. Intende il cristianesimo come esperienza fondamentale di comunione e dialogo tra uomini, popoli e culture.
È stato religioso dell'Ordine della Mercede e cattedratico dell'Università pontificia di Salamanca
(1973-2003), dove ha insegnato fenomenologia della religione e sacra Scrittura. È sposato con M. Isabel e si dedica a investigare e dirigere corsi di religione, cultura e cristianesimo.
Tra i libri che ha pubblicato: ApocaIipsis (Verbo Divino, Estella 1999); Antropologia biblica (Sigueme, Salamanca 2005); Diccionario de las tres religiones (Verbo Divino, Estella 2008); Gran Diccionario de la Biblia (Verbo Divino, Estella 2007); Historia de Jesus (Verbo Divino, Estella 2015) e Comentarios a Marcos y Mateo (Verbo Divino, Estella 2013 e 2017).
Non c'è due senza il tre. Non la sola diade uomo-donna, ma la triade uomo-donna-uomo è il nodo relazionale elementare in gioco sulla 'scena' della violenza di genere. Dove l'altro uomo, reale o immaginario, eletto a rivale invincibile, è essenziale. Specchio di un'antica e scabrosa faccenda 'tra uomini', una faccenda di attrazione rivale, trasposta oggi in modelli relazionali narciso-liberisti. Nelle cronache più usuali assente o ridotta a uno stereotipato 'dramma della gelosia', è portata 'sulla scena' dal negarsi irrevocabile di tante donne alla 'parte' di vittima predestinata e dal loro prendere la parola. Una sfida relazionale difficile, per gli uomini, chiamati a confrontarsi a un tempo con l'altro-donna e con l'altro-uomo. Nel segno di una fraternità-sororità tutta da costruire.
É necessario riscoprire il ruolo del dialogo nella Chiesa, nella società e nella politica. Dialogare é un gesto essenziale dell'interazione umana e della trasformazione sociale. Esso non si esaurisce nella comunicazione intima o nello scambio tra persone affini. Lo stile dialogico di Gesù continua a ispirare azioni e conversazioni popolari mettendoli sotto il segno della misericordia e della partecipazione. Occorre dilatare il dialogo per avviare processi di riforma ecclesiale. Bisogna incoraggiare le pratiche di rinnovamento sociale per edificare città più giuste, eque e solidali.
P. BERNHARD HÄRING (BÖTTINGEN 1912- GARS AM INN 1998), redentorista, esponente della scuola teologica di Tubinga, è considerato il massimo protagonista del rinnovamento della teologia morale nella stagione del Concilio Vaticano II e in quella immediatamente successiva. Determinante il suo apporto per quanto riguarda la centralità della coscienza, la fondazione biblica dell’etica, i valori spirituali del matrimonio, la teologia della pace e della non violenza, in tempi in cui questo tipo di riflessione non era ancora pacificamente acquisito. La sua vita di teologo si svolse per gran parte a Roma - all’Accademia Alfonsiana in cui insegnò per quasi quarant’anni dopo esserne stato uno dei fondatori e negli Stati Uniti. Non “teologo e basta”, ma aperto alla pastoralità e testimone vero dei valori che professava, dovette anche soffrire per le sue idee e affrontare per un non breve periodo forti difficoltà con la S.Congregazione per la Dottrina della Fede che lasciarono il segno anche sulla sua salute; ma continuò sempre a riconoscersi una persona felice e a esprimere la sua gratitudine a Dio per quanto sentiva di aver ricevuto «dalla chiesa, nella chiesa e per mezzo della chiesa».
«In un mondo che, dagli anni immediatamente successivi alla caduta del muro di Berlino, sembra ancora muoversi in direzione contraria rispetto a quanto auspicato da Balducci, in cui si impongono modelli antropologici individualistici e frammentati, si svolgono conflitti ingestibili e laceranti e si assiste alla riaffermazione di religioni fondamentalistiche, la prospettiva di Balducci - il suo “utopismo” dell’uomo planetario - risulta affascinante e più che mai attuale. I due ambiti privilegiati a cui si rivolge la sua riflessione culturale, la pace e le religioni, costituiscono il binario obbligato da percorrere, perchè si profili all’orizzonte la sagoma dell’uomo planetario, dell’uomo inedito sul cui “avvento” Balducci non esita a scommettere».
"In questo libro è tracciata la linea sinuosa di un'esistenza personale che non teme rivelarsi. Fluttuando nel mare dei suoi ricordi più intimi, senza rimpianti, l'autrice soppesa con lucidità insieme tenera e spietata le esperienze che hanno disegnato nel tempo i molteplici profili e l'essenza stessa della sua femminilità: figlia, moglie, madre, amica, insegnante, artista."
Il filosofo ebreo Franz Rosenzweig (1886-1929) nella sua grande opera La stella della redenzione scrive che «la preghiera istituisce l'ordine umano del mondo», che essa «essenzialmente non è altro che preghiera di illuminazione e [che] quindi l'illuminazione è il massimo che possa venire a chi prega in forza della preghiera». Scopo di queste pagine non è di insegnare a pregare ma di capire il senso del pregare; non di offrire indicazioni sul «come» pregare, bensì di «riflettere» sull'esperienza del pregare: sulla propria esperienza, se si è oranti; su quella degli altri, se non si è mai pregato o si ha difficoltà a pregare. In questo viaggio affascinante, fatto con intelligenza ermeneutica e ascolto, l’autore attinge al patrimonio biblico, soprattutto a quello dei salmi, da sempre ritenuti, sia dagli ebrei che dai cristiani, sia dai credenti che dai non credenti o diversamente credenti, poesie di inesauribile profondità e bellezza.
Vivere, praticare e riflettere sulla fede a partire dal contesto asiatico invita ad introdursi in un altro linguaggio e ad avvicinare una diversa esperienza religiosa. Vista dall’Asia, allora, diventa evidente che Dio si manifesta in molte maniere. Per poterlo “vedere” però è necessario andare oltre il paradigma ellenistico e riscoprire la creazione, tra altre cose, come pienezza cosmica e divino-umana. Se l’approccio occidentale pone Dio al di fuori e al di sopra dell’universo come creatore, confermando una concezione dualistica, l’approccio orientale cerca Dio all’interno, nella profondità del cuore, dello spirito. Oltre la metafisica greca, la teologia asiatica muove dalla non-dualità, dall’advaita. In questo si pone come importante contributo per la ricerca spirituale “oltre le religioni (storiche)”. Di questo sguardo e di questa riflessione sulla fede ha estremo bisogno anche il credente occidentale.
La presenza dell'insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica, in Italia e in Europa, continua a suscitare un crescente interesse, unitamente a controverse discussioni in un contesto, come quello attuale, di "cambiamento d'epoca", di profondi mutamenti culturali, sociali e politici. Ciò ci sollecita a ripensare più attentamente al ruolo della conoscenza religiosa nella scuola (pubblica e paritaria), e in particolare alla specificità dell'insegnamento della religione cattolica (IRC) come disciplina scolastica, al suo profilo culturale, conoscitivo, formativo e pedagogico, nel quadro delle finalità della scuola. IIl volume raccoglie i saggi di: Sua Ecc. Mons. Francesco Lambiasi, Sergio Cicatelli, Sergio De Carli, Flavia Montagnini, Andrea Porcarelli, Maurizio Schoepflin, Adolfo Morganti, Daniele Celli, Piergiorgio Grassi. Con interventi di: Natalino Valentini, Monica Forziati, Auro Panzetta, Giordana Cavicchi, Don Guido Benzi, Don Giovanni Tonelli, Don Tarcisio Giungi.
La tensione utopica che attraversa la vicenda esistenziale e la scrittura di Ignazio Silone, nella molteplicità delle forme in cui si esprime, attinge sempre allo stesso pozzo dell'eredità cristiana, a quella sotterranea corrente costituita dalle "pazze" verità d'indiscussa origine evangelica, le quali, anche quando approdano su altri lidi ideologici, restano in ogni caso fedeli a se stesse. «Socialista senza partito e cristiano senza Chiesa», come emblematicamente si autodefinisce, Silone rifugge da ogni tipo di condizionamento e di etichetta, obbedendo ai moti più profondi della sua coscienza e giungendo ad accordare la sua fiducia solo a un cristianesimo libero dai dogmatismi ecclesiastici, a quel «cristianesimo demitizzato, ridotto alla sua sostanza morale», in grado di occuparsi della "redenzione" sociale del mondo. «Fu nel momento della rottura che sentii quanto fossi legato a Cristo in tutte le fibre dell'essere».
Esistono limiti e limiti. Alcuni appaiono ai nostri occhi come totalmente convenzionali. Si pensi, ad esempio, ai confini delle nazioni, modificati più e più volte a seconda del momento storico. Oppure al limite di un campo da calcio: deve essere per forza di 110 metri? Altri confini sembrano invece essere naturali e oggettivi. I limiti di una montagna, ad esempio, non paiono poter essere spostati a nostro piacimento. Di fronte a questo dilemma fra limiti naturali e convenzionali la tradizione si è sempre divisa in due fronti: chi ha sostenuto l’una, chi l’altra ipotesi. Il presente lavoro tenta, invece, di percorrere una via mediana che tenga conto di entrambi gli aspetti, interpretando il limite come una dialettica, in cui devono trovare soddisfazione punti di vista apparentemente opposti.