La storia del libro nell'Islam, è storia della proibizione per secoli del libro stampato in arabo e turco, pena la morte. Iniziò col rogo a Istanbul nel 1538 del Corano stampato da due tipografi bresciani, cui venne mozzata la mano. La motivazione di quel divieto è cruciale: il dogma che vuole che il Corano non debba essere interpretato dai fedeli. Da qui la voluta sterilità culturale che segnò il declino della civiltà islamica, che impedì che si formassero la cultura diffusa e quei "citoyens" che hanno invece innervato la forza espansiva dell'Occidente. Nella "non storia" del libro stampato nell'Islam è la traccia per comprendere la rivolta araba di oggi, deflagrata quando si è finalmente formata quella "massa critica" di cittadini sinora assente: i giovani formati sui libri e sulla loro critica.
Dopo Platone, mentre in Europa la filosofia della politica e della storia attendevano ancora un Machiavelli per vedere compiutamente la luce, nel mondo islamico si assisteva alla fioritura di intellettuali destinati a lasciare un segno profondo nella storia del sapere, come al-Farabi (870-950) e Ibn Khaldun (1332-1406). Spirito di corpo, coloritura della mentalità e capacità di integrazione sono alcuni dei fattori su cui maggiormente gli intellettuali musulmani concentravano la loro attenzione. Da ciò emerge una dottrina del pluralismo quale elemento centrale di una originale analisi politica. Gli autori del volume la sviluppano sia in relazione alla storia dei grandi imperi del passato, sia nei confronti di alcune delle più significative e recenti crisi politiche e sociali.