Giuseppe "Nino" Sgarbi (novantaquattro anni, oltre sessanta dei quali trascorsi nella sua casa-museo, cenacolo di scrittori, artisti e personalità della cultura) tesse, in un delicato gioco di rimandi fra passato, presente e futuro, le tre correnti che sono state vento alla vela della sua vita: l'aria - la passione per il volo, la caccia, il cinema; l'acqua - il fiume, la pesca, il mare; il pensiero - i grandi incontri con i libri e la poesia, ma anche con alcuni tra i protagonisti della scena culturale del Novecento. Come scrive Claudio Magris nella prefazione, "I toni tragici non si addicono alla ferma dignità di un vecchio signore familiare con la ruvida terra e l'acqua del fiume, ma sempre attento alle buone maniere. Sarebbe bello potergli assomigliare, almeno un pochino...".
In una notte di dicembre del 1999, un'incredibile tempesta soffia sul nord Europa. Un uomo esce da una piccola casa bianca nel parco di Versailles per assistere impotente al terribile spettacolo di 18.000 alberi sradicati come canne e boschetti schiacciati dalla forza del vento. Quell'uomo è Alain Baraton, il direttore del parco di Versailles. Per oltre vent'anni anni ha lavorato in uno dei giardini più celebri del mondo, studiandone la storia sia sul campo sia negli archivi. Nessuno meglio di lui conosce e sa raccontare le storie, gli aneddoti, le curiosità relativi al giardino e alle sue vicende, da Luigi XIV ai nostri giorni.
"Qualche parola sul Tempo. Su Cronos dei Greci, superstite e duraturo nelle nostre 'cronologie'. Qualche lettura iconografica: da immagine a parola. Trasposizioni e proiezioni, desunte qua e là dall'arte figurativa occidentale che si è misurata con la rappresentazione dell'impossibile. Cogliendo il Tempo di profilo; descrivendone l'impronta al seguito delle sue orme invisibili, tenui come l'ombra che s'allontana, pesanti come la Morte che si avvicina, distogliendo l'attenzione dal fratello, il Sonno, che vorrebbe prescindere dal Tempo. Impronte frequenti come le vite dopo altre vite. Ombre dopo ombre." L'arte classica non raffigurava il Tempo. Il Tempo trascorre; il Tempo è invisibile e inafferrabile nella sua velocità. La cultura medievale, rinascimentale e barocca diede invece "forma" in immagine al Tempo, come all'Eternità di cui esso è preambolo. Lo rappresentò come Padre degli Dei e come ultimo dei sette Pianeti "erranti" in cielo. È Saturno, il vecchio lento e zoppo con la clessidra in mano che divora i figli da lui stesso generati. È il dio della semina che miete i giorni con la sua falce, uguale a quella della Morte. È l'astro della Melanconia e della genialità al quale allo scadere dell'epoca moderna Giambattista Tiepolo più d'ogni altro seppe dare il volto sfuggente di chi perennemente trascorre, lasciando nell'arte un'orma visibile e duratura.
Il 27 luglio 1890, in un campo nei pressi di Auvers, Van Gogh si spara un colpo di pistola, che però non lede alcun organo vitale, tant'è vero che egli riesce a trascinarsi a piedi fino alla locanda dove alloggia. Il dottor Gachet, amico degli artisti e suo protettore, non tenta di estrarre la pallottola, e anziché far trasportare il paziente all'ospedale lo lascia morire. Secondo Pierre Cabanne, il dottor Gachet sarebbe quindi il vero responsabile della morte di Van Gogh. Attraverso la minuziosa analisi delle spesso contraddittorie testimonianze raccolte all'epoca della tragedia, Cabanne avanza la sua provocatoria tesi, rafforzata anche da uno strano incontro avuto con il figlio di Gachet, Paul, che si era avvicendato con il padre al capezzale del ferito.
"Quando il sole della cultura è basso sull'orizzonte, anche i nani proiettano grandi ombre." Con questa citazione di Karl Kraus si apre questo nuovo saggio di Jean Clair. Con la chiarezza e la lucidità che ne caratterizzano lo stile, l'autore riprende e approfondisce in questo testo alcuni dei temi trattati nel suo libro "La crisi dei musei" (Skira 2008). Le amare riflessioni di un amateur, una passeggiata solitaria attraverso l'arte di oggi, le sue manifestazioni e le sue espressioni. Il ritratto impietoso di un paesaggio saccheggiato, venale e mortificato, di un'allegria vagamente funerea.