Pietro Mazzucchelli (Milano, 1762-1829) - Prefetto della Biblioteca Ambrosiana dal 1823 al 1829 - non fu solo un prodigioso erudito capace di muoversi, con uguale competenza, in diverse discipline come la paleografia, la codicologia, la diplomatica, la bibliografia, la numismatica, l'epigrafia, l'archeologia medievale, la storia della liturgia, passando indistintamente dall'orientalistica alle letterature classiche e moderne, ma fu anche un attento e acuto filologo. Il presente studio intende appunto soffermarsi su quest'ultimo aspetto, illuminando il contributo, generoso e intelligente, che Mazzucchelli ha saputo offrire nell'ambito della filologia dantesca milanese fiorita nel primo trentennio dell'Ottocento; in quel torno di tempo, infatti, sotto la guida di Vincenzo Monti e del marchese Gian Giacomo Trivulzio, sarebbe uscita, tra l'altro, l'edizione del "Convivio" (1827), interessante e sorprendente tentativo di edizione critica prelachmanniana.
Questo libro sostiene due tre tesi centrali. La prima: il dramma storico non è una conquista dell'Ottocento, perché la rinascita moderna della tragedia avviene nel segno della storia, come nell'antica Grecia o nel teatro elisabettiano. Episodi della storia romana o di quella medievale sono già drammatizzati nel Cinquecento, da Trissino e Rucellai, con funzione esemplare in vista dell'educazione del principe o delle repubbliche (così anche Tasso). Poi la tragedia è investita di compiti riformistici o rivoluzionari nel Settecento. Per questo recupera il passato della 'nazione' che può significare Firenze e i Medici come fa Alfieri non perché segua Machiavelli, da cui, in nome di una storia alternativa, si discosta. Considerata il corrispettivo della stessa nazione, da Foscolo a Mme de Staël a Pellico a Niccolini, la tragedia affianca l'attività clandestina con favole che parlano di patria, prigioni, rivolte. Per questo è sino al 1848 parte attiva del Risorgimento.
I Cinque libri di Giambattista Vico de' Principj d'una Scienza Nuova d'intorno alla comune natura delle nazioni costituiscono la seconda delle tre edizioni del capolavoro vichiano, e sono protagonisti di una complessa storia compositiva. L'edizione che qui si offre mira per la prima volta alla completezza del testo a stampa in edizione critica, con l'apparato integrato dall'edizione critica dei manoscritti degli anni 1731-1733/4. Ne viene fuori l'edizione della Scienza nuova del 1730 così come è stata concepita dall'autore, mettendo in sequenza prima il testo edito e poi le quattro serie di Correzioni, miglioramenti e aggiunte.
Questo volume dell'edizione critica vichiana raccoglie opere minori di Vico di spiccata natura storica d'occasione, come il Panegirico a Filippo V (1702), il distico Per il ritorno in Ispagna di don Francesco Benavides (1697), la composizione funebre del 1707 per i funerali di Carlo di Sangro e Giuseppe Capece e quella per la morte di Caterina d'Aragona (1697), l'allocuzione per Carlo di Borbone (1734). Scritti che tradiscono in maniera eloquente la posizione politica di Vico e l'inserimento del suo cattolicesimo all'interno del dibattito sul giurisdizionalismo. Oltre all'analitico commentario ai testi, vengono presentati dal curatore indici delle fonti, dei termini e dei nomi presenti nel volume.
La Vita del maresciallo Antonio Carafa fu commissionata a Vico dal nipote Adriano Antonio Carafa, che nel 1696, ricevette da Vienna l'archivio privato del maresciallo e lo mise a disposizione del suo antico precettore come supporto biografico. Di questi documenti che Vico utilizzò per la sua opera storiografica, soltanto un volume si conserva ancora presso l'Archivio di Stato napoletano. Ma fonte ancora più preziosa alla quale Vico attinse per i riferimenti alle vicende della storia ungherese è risultato essere "L'Istoria della Repubblica di Venezia in tempo della Sacra Lega Contra Maometto IV, e tre suoi Successori, Gran Sultani de' Turchi di P. Garzoni", pubblicato a Venezia nel 1705 e presente presso la Biblioteca Nazionale di Napoli.
Il volume raccoglie iscrizioni e versi latini di Vico, raccolti per la prima volta in una veste autonoma. Si tratta prevalentemente di epigrammi e composizioni in occasione di nozze di personaggi illustri, di iscrizioni ed altre composizioni latine, cui è allegato anche l'apparato grafico delle immagini allegoriche originalmente apposte ai testi.
Il volume comprende il "De mente heroica" e gli scritti latini minori ed è parallelo a quello dei "Minora", che comprende gli scritti storici minori e d'occasione. Opera capitale nella storia del pensiero vichiano, il "De mente heroica", e i cinque scritti latini, rivelano alcuni aspetti importanti del filosofo partenopeo. Attraverso di essi si potrà meglio comprendere il Vico uomo, chiuso dalle necessitanti esigenze della vita, talvolta iroso e talvolta dolente, ma sublime ed eroico nella consapevolezza del suo genio e della sua dignità di uomo.
La biblioteca di Aldo Palazzeschi è qui raccolta in due sezioni che registrano l'intero patrimonio posseduto dallo scrittore e pervenuto, per lascito testamentario, alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Firenze. Vi sono aggiunti i libri donati da Palazzeschi alla sua domestica Plebe Bellocchio, acquistati dalla Regione Toscana nel 2001 e affidati in comodato gratuito al Centro di Studi "Aldo Palazzeschi" dell'Università di Firenze. Questi 3682 testi sono lo specchio fedele di un poeta che ha sempre rivendicato con coerenza "l'immagine dello scrittore illetterato", "naturaliter uomo di penna, spinto a scrivere da un impulso fisiologico". La biblioteca con le sue molteplici stratificazioni risponde segretamente all'esigenza creativa della multiforme personalità dello scrittore. Quella di Aldo non è una biblioteca accademica, ma una raccolta circolante, sempre in movimento. Ad essa affida il compito di fare coesistere al suo interno tutte le tendenze artistiche, purché dimostrino l'irrequietezza di chi non ha paura di "rompersi il collo" pur di spezzare le misure fissate dal banale senso comune.
Il volume XI racchiude la raccolta critica del carteggio vichiano sotto il titolo Epistole con aggiunte le epistole dei suoi corrispondenti, variamente collazionate sugli esemplari principes conservati per lo più nel codice XIX 42 Fasc. III posseduto dalla Biblioteca Nazionale "Vittorio Emanuele III" di Napoli, e anche su esemplari presenti in numerose altre biblioteche. La raccolta opera una messa a punto della difficile situazione delle carte vichiane, dalle stampe ottocentesche del marchese di Villarosa o da quelle a Vico coeve, agli ultimi ritrovamenti del '900, nel continuo confronto filologico con il materiale manoscritto. Sono state corrette, in quest'edizione, alcune fonti principali erroneamente tradite in tutte le raccolte. Il lavoro di riordino e di esatta collocazione di un materiale epistolare non ingente ma soggetto a collazioni talora varie e dispersive, viene espletato anche attraverso l'introduzione delle nove dedicatorie vichiane in forma epistolare, finora edite sempre in contesti vaghi e poco caratterizzati e pubblicate in sezioni separate.
L'edizione critica del 'De parthenopea coniuratione', composta dal Vico nell'anno 1701 ma non pubblicata in vita, è oggetto di un intervento di restauro e di reinterpretazione dei codici, fondato su criteri filologicamente e rigorosamente prefissati e si discosta dai testi prodotti da Nicolini. Il particolare pregio di tale edizione critica consiste nella motivata scelta di servirsi di entrambe le due differenti stesure vichiane. Per la prima stesura la segnalazione delle varianti è stata compilata su nove codici esistenti, per la seconda redazione la curatrice si è avvalsa dell'unico codice con correzioni autografe conservato presso la Società napoletana di storia patria.
Il volume delle 'Orazioni Inaugurali I-VI' pubblica le sei prolusioni universitarie tenute da Vico tra il 1699 e il 1707 dopo il conseguimento della cattedra di retorica presso l'Università napoletana. Questa edizione per la prima volta si avvale della lettura di entrambi i codici delle orazioni latine conservati presso la Biblioteca Nazionale "V. Emanuele III" di Napoli: il XIII B 55, ossia il manoscritto D, contenente anche le Emendationes alle prime cinque orazioni; e il XIII B 36 ossia il manoscritto C, che include anche la dedica autografa che il Vico scrisse a Marcello Filomarino. Questa edizione segue la linea ecdotica inaugurata dal fondamentale lavoro di S. Monti, 'Sulla tradizione e sul testo delle Orazioni inaugurali di Vico', nel quale si assume come affidabile il codice XIII B 55, che Nicolini riteneva invece un rifacimento posteriore dei testi composti da Vico tra l'aprile-maggio del 1709 e gli inizi del 1710.