Nel De legibus Cicerone presenta il diritto naturale come fondamento di una legislazione che rispecchia, con leggere modifiche, istituzioni, leggi o consuetudini presenti nella Roma repubblicana. Ma il ius naturae resta allora solo una premessa filosofica o incide in qualche modo sulle leges ciceroniane? L'analisi puntuale del trattato intende dimostrare come l'interpretazione offerta da Cicerone a ogni singola norma sia un serio tentativo di ricollegarla ai principi del diritto naturale. In questo modo l'ordinamento giuridico romano viene identificato col ius naturae e assume un valore universale: legittimazione e quasi profezia di quella potenza che si apprestava a unificare l'Europa e il Mondo Mediterraneo sotto un diritto che ancora nel Medio Evo sarà chiamato ratio scripta. Il volume raccoglie i saggi che l'autrice ha pubblicato sul De legibus insieme a un ultimo inedito che dà il titolo alla raccolta.
Il volume è dedicato allo studio e all'edizione del più antico manuale inquisitoriale italiano, "Explicatio super officio inquisitionis", scritto da un anonimo francescano ad uso di un giudice della fede di Toscana attorno al 1258. Per una migliore comprensione delle caratteristiche del testo, l'opera è inquadrata storicamente nel panorama complessivo della prima manualistica, fonte 'interna', in quanto riservata ai soli inquisitori. Nati contestualmente al negotium fidei, i manuali rappresentano il veicolo della normativa, permettendo di cogliere un duplice e contrastante fenomeno: se da un lato si dimostrano lo specchio della declinazione della procedura su base locale, restituendo un'immagine complessivamente plurale dell'Inquisizione medievale, dall'altro sono caratterizzati da una forte permeabilità testuale, recependo influssi provenienti da ambiti diversi rispetto a quello di fruizione. Quest'ultima tendenza è confermata da tre inediti formulari italiani, pubblicati in appendice.
Leone Caetani (1869-1935) fu esponente di una delle più nobili famiglie d'Europa, uomo di studi e di moderni interessi etico-politici. Considerato uno dei più autorevoli orientalisti italiani tra Otto e Novecento, fu autore di volumi di grande rilevanza, come gli "Annali dell'Islam" (voll. 10). A questa imponente opera, il Caetani affiancò due volumi di "Studi di storia orientale", un racconto erudito di alta divulgazione su Maometto, le prime vittorie militari del Califfato arabo, e sulle origini della poderosa espansione araba. Antifascista dichiarato, agli inizi degli anni venti, abbandonò l'Italia e si ritirò in Canada, dove morì. Prima di lasciare l'Italia, costituì, presso l'Accademia dei Lincei, una importante Fondazione per gli studi musulmani, alla quale donò la sua preziosa biblioteca, che è, ancora oggi, uno dei fondi più importanti al mondo per la storia islamica. Gli 'Studi di storia orientale' (1911-1913), sono universalmente riconosciuti come una delle opere più significative dell'islamistica italiana ed europea dei primi decenni del Novecento. La ristampa è arricchita dalla pubblicazione dei capitoli lasciati inediti dal Caetani.
Leone Caetani (1869-1935) fu esponente di una delle più nobili famiglie d'Europa, uomo di studi e di moderni interessi etico-politici. Considerato uno dei più autorevoli orientalisti italiani tra Otto e Novecento, fu autore di volumi di grande rilevanza, come gli "Annali dell'Islam" (voll. 10). A questa imponente opera, il Caetani affiancò due volumi di "Studi di storia orientale", un racconto erudito di alta divulgazione su Maometto, le prime vittorie militari del Califfato arabo, e sulle origini della poderosa espansione araba. Antifascista dichiarato, agli inizi degli anni venti, abbandonò l'Italia e si ritirò in Canada, dove morì. Prima di lasciare l'Italia, costituì, presso l'Accademia dei Lincei, una importante Fondazione per gli studi musulmani, alla quale donò la sua preziosa biblioteca, che è, ancora oggi, uno dei fondi più importanti al mondo per la storia islamica. Gli 'Studi di storia orientale' (1911-1913), sono universalmente riconosciuti come una delle opere più significative dell'islamistica italiana ed europea dei primi decenni del Novecento. La ristampa è arricchita dalla pubblicazione dei capitoli lasciati inediti dal Caetani.
Il libro, uscito nel 1924, è il terzo volume di Nitti sulla crisi europea, dopo "L'Europa senza pace" (1921) e "La decadenza dell'Europa. Le vie della ricostruzione" (1922). Lo statista italiano, esule a Zurigo, voleva spingere gli Stati Uniti a superare il neo-isolazionismo e a svolgere un ruolo attivo per un più equo regolamento delle questioni europee. Nitti denunciava il disegno francese di egemonia continentale, perseguito attraverso lo smembramento della Germania e l'accaparramento delle sue risorse di carbone e di ferro. In questo quadro analizzava i pericoli della politica di "balcanizzazione" dell'Europa centrale. L'indebolimento della Germania di Weimar - avvertiva - avrebbe prodotto a sinistra spinte rivoluzionarie e suscitato a destra reazioni nazionalistiche foriere di nuovi conflitti in Europa.
"La libertà", che non poté uscire come Piero Gobetti Editore e fu stampato nel 1926 con il nome del tipografo Carlo Accame, riuniva le parti fondamentali dei discorsi che Nitti, in esilio, aveva pronunciato l'anno precedente a Londra sulla pace e a Cambridge sulla libertà. Vi sosteneva che erano stati gli errori della politica estera a portare alla guerra e che la guerra aveva determinato in Europa la crisi della democrazia e della libertà, su cui si erano innestate le spinte disgregatrici bolsceviche e fasciste. Mentre, però, il bolscevismo aveva un ideale, seppure non condivisibile, il fascismo perseguiva una politica di pura potenza nella occupazione dello Stato. Figura emblematica di questa politica era Mussolini, prima socialista rivoluzionario e poi leader del movimento antiparlamentare di destra. Ma il fascismo - si illudeva Nitti all'epoca - rimaneva un caso isolato nel contesto europeo e se ne poteva prevedere la breve durata.
"La pace", uscito nell'aprile 1925, quando il fascismo stava consolidandosi dopo la crisi seguita al delitto Matteotti, sosteneva, in consonanza con la critica di Keynes alla "pace cartaginese", l'iniquità delle condizioni imposte dai vincitori a Versailles e l'idea della solidarietà europea come unica via di salvezza dopo la guerra. Nitti condivideva la posizione di Coudenhove-Kalergi a favore della formazione degli Stati Uniti d'Europa e prospettava una nuova catastrofe se non si fossero superati gli stereotipi delle avverse propagande nazionalistiche. Lo scopo dello scritto era di far riflettere le grandi masse dei lavoratori che erano state costrette a partecipare alla guerra, rivolgendo un messaggio trasversale sia ai vincitori che ai vinti.