I "Diritti di libertà" (1926) di Francesco Ruffini - senatore e professore di Diritto ecclesiastico all'Università di Torino, che nel 1931 rinunciò alla cattedra rifiutandosi di prestare giuramento al regime fascista - fu un'appassionata e coraggiosa testimonianza contro l'eliminazione in atto delle libertà fondamentali, ma anche un importante contributo di storia e di teoria del diritto costituzionale. Contrapponendosi alla dottrina tedesca, molto diffusa in Italia e fatta propria da Alfredo Rocco, dei diritti di libertà come derivati dalla volontaria autolimitazione del potere sovrano dello Stato, Ruffini sosteneva l'intangibilità e l'imprescrittibilità di diritti che erano co-originari al patto sociale fondativo dello Stato unitario. Ripubblicato da Piero Calamandrei nel 1946, dopo un ventennio di semiclandestinità, il libro fu una fonte di ispirazione dei lavori della Costituente.
Rielaborazione della tesi di laurea in filosofia del diritto del novembre 1922, condotta sotto la guida di Gioele Solari, il libro di Passerin d'Entrèves - amico di Gobetti e collaboratore della "Rivoluzione Liberale" e del "Baretti" - parte dalla critica di Hegel al formalismo dell'etica kantiana e analizza la concezione hegeliana dello Stato, avanzando sintomatiche riserve sui suoi limiti e indagandone i legami con il protestantesimo. L'appendice contiene una informata rassegna su "L'influenza della concezione hegeliana della libertà sul pensiero rivoluzionario di Marx, Engels e Lassalle". Nel tempo del fascismo al potere e del tramonto delle libertà, Solari sottolineava nella prefazione l'interesse della ricerca dell'allievo: "Oggi, come ai tempi di Hegel, la questione della libertà, del modo di intenderla, di attuarla negli ordinamenti politici è ritornata viva e attuale".
"La sollevazione fu pacifica e senza chiasso, tant'è vero che il Savagnoli scrivendo a un amico ebbe a dire: 'alle sei la rivoluzione andò a desinare'". "Nessuna transazione con lo straniero; nessuna separazione: né due Italie, né tre; ma una sola Italia dalle Alpi all'estrema Sicilia". Che c'entra mai l'autore di Pinocchio col Risorgimento? Eccome se c'entra! Per coloro - e siamo quasi tutti - che associano il nome di Collodi soltanto al suo capolavoro, quattro ritratti dal vero di Cavour, Farini, Manin e Ricasoli, usciti dalla penna di uno dei nostri scrittori più amati, qui nelle vesti meno note, ma non meno appassionate, di patriota e scrittore civile.
Questo libro affronta un tema complesso e attuale: il valore e il peso della reputazione delle donne in relazione al mestiere, alla qualità civile e sociale, al ruolo nella comunità. La Roma di fine Settecento, popolata da artisti e viaggiatori stranieri e stravolta dai mutamenti politici del biennio repubblicano (1798-1799), fa da sfondo alla ricostruzione del complicato e altalenante rapporto delle donne con le istituzioni, con la comunità di appartenenza e, soprattutto, con il genere opposto. Partendo dallo studio dei documenti processuali degli archivi romani, l'autrice affronta la questione della valutazione della reputazione femminile dinanzi ai tribunali romani: le modelle che posavano nude per denaro negli ateliers e nelle accademie, le donne senza uomini che gestivano la propria vita prive della tutela maschile, le prostitute di strada che usavano il corpo come risorsa immediata, incorrevano in processi e denunce il cui perno era sempre il peso del "buon nome", bene prezioso e volatile legato tanto al comportamento pubblico e privato quanto al mestiere, alle relazioni e alla qualità sociale della famiglia di origine.