Simonetta Cattaneo Vespucci (1453-1476), ritenuta dai suoi contemporanei la più bella donna vivente tanto da essere scelta da Sandro Botticelli come modella per "La nascita di Venere", fu musa ispiratrice di numerosi altri artisti e amante di Giuliano de' Medici. Innumerevoli sono i casi di copia e rivisitazione della bellissima fanciulla bionda che ha dato volto alle figure del celeberrimo pittore fiorentino e che nell'immaginario generale impersona il Rinascimento. A Simonetta spetta quindi a buon diritto un posto accanto a Beatrice di Dante e a Laura di Petrarca. Ma mentre di Beatrice e Laura, che pur furono donne reali, non conosciamo il volto, né tantomeno ci è noto l'aspetto di Alcina e di Armida, le donne cantate dall'Ariosto e dal Tasso, di Simonetta abbiamo tanti splendidi ritratti dipinti da celebri artisti, primo fra tutti il Botticelli. Altrettanto famosi poeti ne hanno esaltato la leggiadra figura e l'anima, di certo non meno affascinante del volto, mentre cronache e lettere di contemporanei ci informano di vari particolari della sua biografia. Paola Giovetti, raccogliendo testimonianze, lettere e poesie, ha ricostruito l'epoca storica e la vita di questa giovane donna che ha lasciato un segno potente nella letteratura e nell'arte del suo tempo, il più splendido che Firenze e l'Italia abbiano mai conosciuto: il Rinascimento.
Complice la popolarità della narrativa fantastica e il diffondersi della cosiddetta New Age, a partire dagli anni Sessanta-Settanta si è assistito alla riscoperta del cosiddetto Piccolo Popolo, di tutto quel mondo di spiriti della Natura (fate, gnomi, folletti, elfi, nani ecc.) che, non più confinati nel mondo delle favole e del folklore, sono diventati un riferimento diffuso nella nostra cultura. Si sono moltiplicate perciò numerose teorie sull’origine e il significato di tali esseri, ma senza dubbio una delle più originali è quella espressa, in questo saggio, da Massimo Conese, docente di Patologia generale della Scuola di medicina dell’Università di Foggia. A fronte della tesi che queste creature non siano altro che l’estrinsecazione delle Potenze che governano la Natura fisica, o emanazioni di essa adattatesi al tempo alla mentalità umana via via modificatasi, oppure arche- tipi ancestrali uguali in tutto il mondo, il professor Conese sceglie una spiegazione “scientifica”: questi esseri, genericamente chiamati “fate”, derivano dalla mitizzazione – dal momento che non esistevano risposte razionali, mediche – di particolari malformazioni o patologie fisiche e mentali. Una tesi, in disaccordo con le teorie “simboliche” circa l’origine delle fate, che viene documentata con numerosissime fonti dell’epoca e testi moderni, una vasta bibliografia mitica, folklorica e medica e una serie di illustrazioni tratte da testi letterari e scientifici.
Pubblicati a Venezia nel 1570 ma attesi e lavorati per un ingente numero di anni, "I quattro libri dell'architettura" rappresentano la summa architettonica del Rinascimento tardo e il purissimo distillato della sapienza di Palladio: sapienza empirica, costruttiva, ma ciò nondimeno raffinata; lungamente ricercata e modellata sul fondamentale exemplum di due illustri predecessori: Marco Vitruvio Pollione e Leon Battista Alberti. In nessun modo tuttavia Palladio può essere considerato semplice imitatore: la materia architettonica trattata - quadripartita in dottrina classica degli ordini, edifici dei privati cittadini, costruzioni di pubblica utilità, architettura religiosa antica - pur prendendo avvio dall'attenta lettura e dal rilievo del patrimonio monumentale dei Romani, si è trasformata in invenzione originale. Il "nuovo" classico di Palladio è lontano da ogni neoclassicismo di maniera: ciò che vive nella sua architettura - e ne fa un organismo unico, "uno intiero e ben finito corpo" - è un sistema di relazioni necessarie, perfettamente calcolate benché non manifestate apertamente: proporzionalità in cui geometria e musica si armonizzano. Difficilmente sopravvalutabili nella vastità della portata, "I quattro libri" di Palladio - per quanto spesso semplificati o equivocati - hanno influenzato l'architettura occidentale per i successivi quattro secoli, modificandola in modo irreversibile.