Il libro propone una riflessione storica aggiornata sulle radici culturali dell'esperienza imprenditoriale di Enrico Mattei e dei suoi collaboratori nei momenti cruciali dello sviluppo economico nazionale e internazionale, sottolineando la relazione dialettica e originale che c'è stata fra valori morali e civili ed esigenze produttive e di mercato. In particolare, si concentra sul rapporto d'interazione che si è sviluppato fra l'Università Cattolica e la grande azienda creata da Mattei, per verificare se l'elaborazione scientifica maturata nell'Ateneo tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta ha contribuito alla formazione della cultura d'impresa di Eni, e dunque a definirne il ruolo peculiare nello sviluppo del Paese e delle aree economicamente e socialmente emergenti del pianeta. Il volume racconta le radici culturali, gli orientamenti e i mezzi attraverso cui la prospettiva dell'Eni di Mattei si è dispiegata, approfondendo la sua "politica estera" in Medio Oriente, in Unione Sovietica e in Africa, specie dal punto di vista del patrimonio valoriale cui si è ispirata. Questo aspetto emerge anche nel film-documentario Oduroh di Gilbert Bovay (Eni, 1964), allegato al libro, che racconta la storia di un giovane ghanese il quale, dopo aver frequentato la Scuola Eni di San Donato, è tornato nel proprio Paese a spendervi la formazione acquisita in Italia.
Papa Francesco gode di vasta popolarità. Tanti vedono in lui un grande pastore. Ma c’è chi pensa che abbia poco da dire al mondo della cultura, in particolare europea. In realtà, le sue parole, apparentemente semplici, nascondono una profonda densità di pensiero. È quanto mette in luce questo libro che evidenzia la rilevanza anche culturale della leadership morale da tanti oggi riconosciuta a Francesco.
Il suo umanesimo – che i contribuiti qui raccolti fanno emergere muovendo da prospettive diverse: teologica, storica, filosofica, sociologica e giuridica – è rivelatore di una rara capacità di lettura del mondo globalizzato e post-moderno e mostra un’acuta comprensione dei riferimenti storici, antropologici e morali più importanti del nostro tempo.
È eloquente in questo senso la sua opzione preferenziale per i poveri, di cui non sono state ancora colte le profonde implicazioni anche culturali. “Non siamo più nella cristianità”, spiega il papa e, dopo aver a lungo privilegiato una cultura organica e gerarchica, sistematica e deduttiva, funzionale a “occupare spazi” piuttosto che a “promuovere processi”, è tempo di una cultura che parta dal “basso” e che provenga dalle “periferie”. Francesco pone in questo modo una sfida importante anche alla cultura europea, facendo emergere nodi e problemi vitali per il futuro del Vecchio continente ma che spesso gli europei non hanno il coraggio di affrontare. È una sfida che tocca anche il cattolicesimo italiano, sollecitato da Francesco ad abbandonare calcolate mediazioni o misurati equilibri, scegliendo aperture radicali, impegno generoso e visioni lungimiranti.
Contributi di: Maurizio Ambrosini, Mauro Ceruti, Luciano Eusebi, Nunzio Galantino.
L'anniversario dei 150 anni dall'unificazione nazionale ha riproposto modi diversi di celebrare o di ripensare la storia italiana. Non sono mancati i tentativi di chi, ancora una volta, ha provato ad alimentare l'epica risorgimentale, con l'obiettivo di rafforzare un sentimento di appartenenza messo in discussione in tante fasi della nostra storia. Altri sono ritornati alla genesi, sofferta, dello Stato nazionale e ai molti problemi che sono riconducibili al processo unitario e alle sue conseguenze di lunga durata. Entrambe le prospettive hanno prodotto, nel tempo, un profluvio di studi e di occasioni di confronto, concorrendo a consolidare interpretazioni persino configgenti, sintomo di fratture non troppo lontane da quelle post-risorgimentali. E tuttavia, a 150 anni dal processo unitario, è forse venuto il momento di far spazio a prospettive meno dialettiche e divisive, non perché si possano negare i molti nodi problematici che connotano la storia dell'Italia unita, ma perché questa stessa storia è stata via via arricchita da energie positive e propositive, di vario segno e di diversa ispirazione, che sono state capaci di traghettare il paese verso un processo di modernizzazione segnato, sì, da limiti e storture tuttora assai evidenti, che però ha trasformato profondamente la vita di milioni di italiani. Questo volume intende riportare alla luce un settore della storia italiana che ha saputo dare un contributo significativo allo sviluppo culturale e sociale...
Negli ultimi sessant'anni i trapianti di rene, midollo osseo, fegato, polmone, pancreas e intestino da donatore vivente sono diventati una consolidata realtà medica, sociale e giuridica, offrendo opportunità prima inimmaginabili in termini di vite salvate e salute ritrovata. La trapiantologia da vivente, però, continua a sollevare più di una questione. Ad esempio la relazione tra cedente e ricevente a trapianto effettuato, la discussione sugli aventi o non aventi diritto di ricevere (si pensi ai disabili, agli alcolisti, ai sieropositivi), i modi di affrontare il gender gap (secondo le statistiche, infatti, i cedenti sono in maggior numero donne e i riceventi uomini). E se sulla carta il legislatore richiede che a donare sia solo la persona capace d'intendere e di volere, nel concreto ci si deve confrontare con casi problematici: basti pensare al donatore minorenne, disabile mentale o concepito allo scopo. E ancora, la donazione di un organo si può imporre? È una scelta revocabile? Per non parlare, poi, della vendita degli organi umani, opzione legale in pochissimi Paesi, tuttavia ampiamente diffusa sul mercato nero e accettata socialmente da molti. Il volume di Giulia Galeotti ricostruisce, attraverso l'analisi di numerosi casi italiani e stranieri, tutto ciò che la trapiantologia da vivente è riuscita a fare, mettendone in evidenza con grande efficacia ombre e luci, nella certezza che si tratti di un tema destinato ad acquistare sempre più importanza nel quotidiano.