Nella esortazione apostolica Familiaris consortio Giovanni Paolo II ricorda che "nel contesto di una cultura che gravemente deforma o addirittura ha perduto il vero significato della sessualità umana, perché la sradica dal suo essenziale riferimento alla persona", e in cui gli uomini «si comportano come "arbitri" del disegno divino e "manipolano" e avviliscono la sessualità umana, e con essa la persona propria e del coniuge, alterandone il valore di donazione "totale"», è facile che si radichi una mentalità contraria a costituire relazioni coniugali così come la dottrina della Chiesa propone. Nel momento in cui tale mentalità, nell'individuo che si accinge a celebrare il matrimonio canonico, assume le vesti di un atto positivo di volontà con il quale si esclude, ad esempio, la perpetuità del vincolo o la fedeltà nei confronti del coniuge, il matrimonio eventualmente celebrato è nullo. Entrambe le suddette ipotesi, infatti, integrano gli estremi della simulazione del consenso. Sono oltremodo evidenti l'attualità e l'ampiezza del problema. La questione diventa poi ancora più complessa se si tiene conto che il suddetto atto positivo di volontà rende nullo il consenso matrimoniale sia nella sua forma esplicita (ad es., con riferimento alla esclusione della indissolubilità: voglio un matrimonio che sia dissolubile) sia nella sua forma - ben più comune e multiforme - implicita (ad es. mi riservo di divorziare se finirà l'amore). Giurisprudenza e dottrina non hanno ancora trovato un orientamento condiviso né quanto alla configurazione né quanto alla efficacia irritante di siffatto atto implicito di volontà escludente il matrimonio stesso, una sua proprietà o un suo elemento essenziale. Non si tratta solo di un problema terminologico o lessicale ma della verifica dell'atteggiamento della volontà e, conseguentemente, della verifica della validità o nullità del matrimonio. Il presente lavoro passa in rassegna i diversi orientamenti e le varie ipotesi ricostruttive del suddetto atto implicito di volontà e li esamina sotto la lente dei principi generali in materia di consenso matrimoniale canonico.
I musei ecclesiastici, con la loro capillare diffusione, oltre alla naturale funzione pastorale, costituiscono un efficace strumento per la tutela della memoria spirituale e civile delle comunità locali e per la valorizzazione e lo sviluppo economico del territorio.
Questo libro, a partire da una indagine sviluppata sulla realtà lombarda, analizza il ruolo attuale e futuro dei musei ecclesiastici dal punto di vista giuridico, gestionale, organizzativo e del marketing. Il testo è accompagnato da un CDRom che rende disponibili i dati essenziali delle più importanti istituzioni museali ecclesiastiche lombarde e propone un’ampia raccolta legislativa sul tema con le principali disposizioni canoniche, statuali (pattizie e unilaterali) e regionali.
Ombretta Fumagalli Carulli è ordinario di Diritto canonico ed ecclesiastico presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Eletta al Consiglio Superiore della Magistratura, alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica, dal 1993 ha fatto più volte parte del Governo italiano. Nel 2003 è stata nominata da Giovanni Paolo II membro dell’Accademia Pontificia delle Scienze Sociali. È autrice di numerose pubblicazioni in diritto canonico, storia della Chiesa, ordinamento giudiziario, procedura penale, diritto costituzionale italiano, diritto ecclesiastico, diritto di famiglia, magistero sociale della Chiesa, diritto processuale civile. Tra i volumi pubblicati con Vita e Pensiero: Il Governo della Chiesa universale e i diritti della persona (2002); A Cesare ciò che è di Cesare, a Dio ciò che è di Dio. Laicità dello Stato e libertà delle Chiese (2006); Il matrimonio canonico tra principi astratti e casi pratici (2008).
Antonio G. Chizzoniti è professore associato di Diritto ecclesiastico presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Piacenza. Esperto di turismo religioso e docente di legislazione dei beni culturali di interesse religioso in molti Master e Corsi di Alta formazione, ha curato il volume Le Carte della Chiesa. Archivi e biblioteche nella normativa pattizia (Bologna 2003). Tra le sue pubblicazioni con Vita e Pensiero: Le certificazioni confessionali nell’ordinamento giuridico italiano (2000); Chiese, associazioni, comunità religiose e organizzazioni non confessionali nell’Unione europea (2002); Chiesa cattolica ed Europa centro-orientale. Libertà religiosa e processo di democratizzazione (2004).
La venuta alla luce di un figlio appare subito agli occhi della madre e del padre come un lieto evento, per il quale esprimere gioia e gratitudine. In fretta però la vita del figlio propone loro anche molti compiti, e impegnativi. In prima battuta il nuovo nato accorda all'avventura della vita un credito spontaneo e incondizionato: esso 'costringe' i genitori stessi a una rinnovata speranza. In seconda battuta, la speranza del figlio appare possibile soltanto a condizione di una sua scelta, che è come una seconda nascita. La prima nascita, dalla carne e dal sangue, non ha bisogno di scelta. Ma la vita da essa inaugurata propone poi momenti di prova, e quindi la necessità di decidere. L'alternativa radicale è tra le due vie: credere alla promessa degli inizi oppure no, esigere le prove. Le condizioni per decidere sono predisposte fin da subito dai genitori stessi, prima ancora di rendersene conto. essi hanno scelto la vita per il figlio e appaiono ai suoi occhi come naturali testimoni della speranza. Ma della speranza essi devono poi rendere ragione, attraverso tutta la loro vita. La domanda del battesimo, che molti genitori oggi ancora rivolgono alla Chiesa, ha obiettivamente questo senso: chiedere un aiuto per iniziare il figlio alla verità del vangelo di Gesù. Queste pagine di Angelini intendono accompagnare i genitori nel loro difficile ma appassionante impegno di consegnare al figlio una speranza, quella che prende avvio sotto il segno del battesimo. Così la loro cura apparirà riflesso della cura che il padre dei cieli non farà mancare nel corso della vita.
Maryanne Wolf, celebre neuroscienziata del cervello che legge, si presenta questa volta come scrittrice di narrativa, con tre racconti ispirati al rapporto tra Maria Maddalena e Gesù. Ogni storia, narrata in prima persona dalla Maddalena, propone una figura diversa di giovane donna nella Palestina del I secolo - Miriam, figlia di un rabbino; la prostituta Maddalena; Marit, incrocio di culture tra il padre notabile romano e la madre ebrea praticante -, ma tutte partono dalla difficoltà di essere donna in quel tempo storico e tratteggiano la coraggiosa crescita della protagonista grazie al suo carattere e alla sua intelligenza, ma soprattutto all'incontro con Gesù. Un incontro che dà vita e senso a una relazione forte, in cui amicizia, sentimenti e dolorosa condivisione, ma anche risate, ironia, confidenza rivelano la profonda, autentica umanità del Cristo. Proprio questo era l'intento di Maryanne Wolf: senza pretese teologiche o storiche, ma con un gran lavoro di ricerca sulla cultura e la vita del tempo, provare a immaginare come avrebbe potuto essere vivere vicino a Gesù. Chiosa l'autrice: «La mia speranza è condividere con i lettori la grande consolazione che ho provato nel contemplare la persistenza dell'amore in tre diverse forme, riflesse nella vita immaginaria di Maria Maddalena, che è simbolo di ciascuno di noi, e di Gesù, il cui modello per l'umanità continua a essere una fonte di conforto e speranza al di là della religione, per i credenti come per i non credenti».
La Chiesa di oggi sembra in cerca di un varco per il futuro. Mossa dal potente impulso riformatore di papa Francesco, diventa sempre più consapevole della necessità di un cambiamento al proprio interno per essere all'altezza di quanto richiestole dal vangelo di Gesù. Ma quali priorità deve assumere? Quali nodi deve sciogliere? Che forma dare all'istituzione ecclesiastica perché non finisca con l'oscurare il volto del Dio di Gesù, ma riprenda quell'arte di tenere accesa la luce della fiamma evangelica che sa attirare moltitudini? Sono le domande a cui la riflessione di Giuliano Zanchi offre una risposta lucida e persuasiva. Molto va ripensato delle figure che popolano la Chiesa: quella del laico, ancora in posizione subordinata rispetto al clero; quella della donna, marginale nei processi decisionali; quella del prete stesso, il cui profilo è diventato precario e incerto. Ma perché il vangelo possa parlare alla storia è necessaria anzitutto l'esistenza di una comunità. La testimonianza credente può darsi nel mondo solo grazie a una comunità di uomini e di donne che danno alla loro vita la forma del vangelo, solo attraverso il loro laborioso esercizio di quotidiana fraternità che si fa largo nei gesti di costruzione della città, della storia, della convivenza umana. Questa è la posta in gioco della presenza dei cristiani nel mondo. A questo essi servono.
Nasce dall'esperienza sul campo questo libro che esplora sentimenti e vissuti quotidiani in un percorso che parte da una serie di lezioni in ambito psicoanalitico, ma che sfocia in un originale approccio interdisciplinare, seguendo il filo conduttore delle grandi, fondamentali domande della nostra esistenza: chi è l'uomo e che cos'è la condizione umana. L'autore, un biblista con formazione umanistica, non fa riferimento solo a studi di psicoterapeuti e psicoanalisti, ma attinge a piene mani alla grande letteratura, con romanzi come "L'Avversario" di Emmanuel Carrère, "La vergona" di Annie Ernaux," La nausea" di Sartre, i racconti di Cechov, "Leggere Lolita a Teheran" di Azar Nafisi, per citarne alcuni: «libri che ci svegliano, libri che ci fanno bene facendoci male», come scrive l'autore. Ogni capitolo è dedicato a un tema: parola, narrazione, menzogna, invidia, vergogna, infine volontà. In comune hanno la loro radicalità umana. L'enigma dell'invidia, una passione che non dà alcuna felicità: perché l'uomo la prova? E perché non riconosce mai di essere invidioso? Il mistero della vergogna, emozione dolorosa, eppure importante regolatore dei comportamenti umani. La quotidianità della parola, che può stravolgersi in aggressione, violenza, manipolazione: come fare in modo che diventi carezza e non pugno, ponte verso l'altro e non fossato incolmabile? E che dire della menzogna nell'epoca della post-verità e nell'imperversare delle fake news? Un viaggio che inizia dalle storie narrate, ma a volte più vere del vero nella loro capacità di parlare delle contraddizioni che abitano il cuore di donne e uomini, per arrivare a illuminare alcuni fondamentali dell'esperienza umana.
Abbiamo bisogno di luce. Siamo in cerca di qualcosa che catturi il nostro sguardo e indirizzi il nostro cammino di vita costellato di ombre e qualche volta immerso nella notte più nera. Abbiamo bisogno di tornare a vedere le cose come sono, liberandoci dalle preoccupazioni della mente, dalla pioggia grigia della tristezza, per ritrovare la semplicità luminosa del nostro io profondo.
Dopo "Paideia", il monumentale saggio sulla formazione dell'uomo greco, divenuto uno dei cardini della riflessione culturale della nostra epoca, Werner Jaeger ricerca, nella conferenza del 1943 che qui riproponiamo, le radici dell'Umanesimo europeo. E le trova aprendo una via diversa rispetto alla convinzione consolidata secondo cui l'Umanesimo nasce da una rottura rispetto al Medioevo 'teologico' e a favore di un ritorno alla classicità centrato su una nuova concezione della natura umana. È vero, come ricorda qui lo stesso Jaeger, che gli umanisti rinascimentali ammiravano e desideravano far rivivere l'antica cultura della Grecia e di Roma e ritenevano il Medioevo un periodo barbaro che aveva interrotto il progresso della civiltà classica, ma il loro rifiuto era indirizzato principalmente alla forma degenerata della tradizione scolastica, con il risultato di offuscare la grande portata 'umanistica' di autori medievali - primo fra tutti san Tommaso, ma anche Dante - che seppero arricchire di universalità il pensiero di Aristotele e di Platone. Il cristianesimo, fondato sull'Incarnazione, trae da essa la ragione profonda della dignitas hominis, riprendendo il lascito greco della virtù come 'conversione' dal mondo dell'illusione sensibile al mondo dell'essere vero e unico che è il bene assoluto e desiderabile. Lungi dal rappresentare una rottura, il Medioevo emerge dunque come il compimento dell'anelito a quell'«Umanesimo integrale» che, pochi anni prima della conferenza di Jaeger, Maritain aveva così formulato: «L'uomo è chiamato a un destino migliore che a una vita puramente umana». Una lezione di grande respiro, questa di Jaeger, che giunge «come una freccia acuminata» (per usare le parole di Carlo Ossola nella Presentazione) a illuminare i 'secoli bui' e far risplendere ancora oggi la loro eredità.
Questo volume contiene saggi di cristologia patristica suddivisi in tre ambiti distinti: il primo ha come centro d’interesse l’ermeneutica della cristologia patristica; il secondo approfondisce l’esegesi patristica di alcuni tra i più importanti testi cristologici del Nuovo Testamento; il terzo si occupa di alcuni autori e problemi rilevanti per la storia del dogma cristologico. Il filo conduttore che unisce e rende attuali questi studi è il comune tentativo di leggere la cristologia dei Padri in costante confronto con le problematiche e i dibattiti teologici odierni intorno alla persona di Cristo, nella convinzione che sia vitale, per ogni rinnovamento della cristologia, tornare a esplorare le soluzioni dei Padri, grazie al cui contributo intellettuale ha preso forma la fede della Chiesa quale troviamo definita nei grandi concili antichi.
Raniero Cantalamessa, dell’ordine francescano dei Cappuccini, è nato a Colli del Tronto (Ap) nel 1934. Laureato in Teologia a Friburgo, Svizzera, e in Lettere classiche all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, è stato professore ordinario di Storia delle origini cristiane, direttore del Dipartimento di Scienze religiose dell’Università Cattolica e fondatore, con Giuseppe Lazzati, della collana «Studia Patristica Mediolanensia». È stato per un quinquennio membro della Commissione Teologica Internazionale. Dal 1980 è Predicatore della Casa Pontificia e in questa veste detta ogni settimana, in Avvento e in Quaresima, una meditazione in presenza del papa, dei cardinali, vescovi, prelati e superiori generali di ordini religiosi. Ha scritto diversi libri di teologia e di spiritualità, tradotti in una ventina di lingue, ed è chiamato a parlare in molte parti del mondo. Dal 1995, tiene su Rai Uno la rubrica di spiegazione del vangelo della domenica A sua immagine. Le ragioni della speranza.
Mariam, Zarifa, Madina, Shaza... Donne senza diritti, donne che vivono in prigioni di stoffa, donne che non possono più lavorare né completare gli studi. Donne che nell'Afghanistan dei taleban hanno solo una possibilità per esistere: scomparire. Sono alcune delle oltre quaranta protagoniste alle quali le giornaliste di «Avvenire» hanno dato voce nella campagna #avvenireperdonneafghane svoltasi nei primi mesi del 2023 sulle pagine del quotidiano e online. Storie intense raccolte insieme per la prima volta in questo libro: di sofferenza, come quella di Roqia, che da Kabul racconta come il suo sogno di diventare pilota è naufragato nei divieti dei fondamentalisti islamici; ma anche di tenacia, come quella che nella capitale vietata alle donne ha consentito a Meena di proseguire la sua attività di catering. In questo libro ci sono le lettere inviate dall'Afghanistan ad «Avvenire» da insegnanti che hanno perso il lavoro, da infermiere che invece resistono, da operatrici umanitarie che ogni giorno temono che un nuovo divieto possa sbarrare loro la strada. A impreziosire i racconti e le testimonianze, le intense immagini scattate dalla fotografa romana Laura Salvinelli, più volte inviata in Afghanistan a testimoniare con il suo obiettivo che la luce non abbandona mai le donne afghane, nemmeno nei momenti più bui. A queste immagini si sono ispirate scrittrici del calibro di Mariapia Veladiano, Ritanna Armeni, Marina Terragni, Tiziana Ferrario e Silvia Resta per le loro riflessioni sul dolore di essere donna, oggi, nell'Emirato islamico dei taleban.
Un paradosso percorre le nostre società liberali: con forza viene stigmatizzata ogni forma di dipendenza, avvertita come minaccia alla libertà del soggetto, e nello stesso tempo molti tipi di dipendenza, e non solo nella forma patologica dell'addiction verso sostanze, esercitano oggi come non mai una potente seduzione. E questa contraddizione non risolve, ma anzi cristallizza un problema che mette a rischio delle vite. Sempre attenta alle sfaccettature della condizione umana, Nathalie Sarthou-Lajus propone di superare il dualismo avidità/astinenza, dissolutezza/ascesi, per cercare un modo nuovo di comprendere e affrontare le nostre dipendenze liberandoci dall'alternativa troppo semplicistica tra libertà e alienazione. Del resto, già Platone ci aveva fornito la preziosa nozione di pharmakon, veleno e medicina insieme: un'ambivalenza su cui riflettere per capire la complessità della dipendenza senza demonizzare chi cade nella sua vertigine. La dipendenza è un debito contratto nei confronti di un 'prodotto', sia esso una droga, un'attività, una persona. Ma, a ben pensarci, il debito caratterizza tutta la comunità umana, e non solo in senso negativo: è ciò che crea il legame, anche simbolico. Nasciamo e subito dipendiamo da altri, e nel gioco del vissuto di questa dipendenza si forma e si dispiega la nostra identità. Accanto all'angoscia del proprio possibile annullamento, sperimentiamo anche un benefico allargamento dell'io. L'ideale stoico dell'indipendenza totale è estraneo da subito alla condizione umana, al bisogno che abbiamo gli uni degli altri. Può allora esistere, dice Sarthou-Lajus, una 'dipendenza felice', che mantiene il legame con il mondo e ci permette di vivere con gli altri e per gli altri, dalla cui esperienza possiamo peraltro partire per un percorso di vicinanza e di comprensione dell'addiction. Un'altra vertigine, opposta a quella dell'autodistruzione, da assaporare nella poesia come negli affetti, nella cura reciproca come nella fede.
Storica rivista dell'Ateneo dei cattolici italiani, "Vita e Pensiero", sin dalla fondazione nel 1914, si è proposta come autorevole luogo di confronto e dibattito per la cultura del Paese. Nella consapevolezza che quella che stiamo vivendo è per tutti una stagione ricca di opportunità e rischi, da affrontare con coraggio intellettuale e gusto per la ricerca del vero, dal 2003 "Vita e Pensiero" è stata ripensata nell'impostazione grafica e nel lavoro redazionale. Oltre a temi quali lo sviluppo tecnologico e economico, il progresso delle neuroscienze e della genetica, i nuovi paradigmi della politica e delle relazioni internazionali, l'evoluzione dei mezzi di comunicazione di massa, dedica una particolare attenzione all'attualità, ospitando articoli e interventi di docenti dell'Università Cattolica e di significative voci "esterne", capaci di offrire chiavi di lettura originali sui fenomeni sociali e culturali di oggi e di domani.