La riflessione sull'escatologia cristiana - ossia l'intelligenza credente della destinazione umana - sembra essere giunta oggi a un momento di paralisi, stretta com'è in un gioco di pesi e contrappesi che insiste sulla contrazione schematica nei riguardi della morte e del giudizio. E la paralisi non si scioglie decidendo di dare più peso alla misericordia invece che alla condanna, all'amore invece che alla giustizia. Servono piuttosto l'umiltà e la generosità di un appassionato confronto con la rivelazione definitiva di Cristo, con la sua apertura alla ricchezza della parola di Dio che la istruisce, provocandoci ad accoglierne i salutari paradossi senza avere bisogno di mettere fra parentesi la tradizione dogmatica. Dialogando in questa direzione con la tradizione vivente della Chiesa, i tre autori del volume - un biblista come Franco Manzi e due teologi come Pierangelo Sequeri e Davide Bonazzoli - si concentrano sulla «vita del mondo che verrà» annunciata dall'ultima frase del Credo, partendo dalla domanda su come la creatura che Dio ha messo al mondo rimane 'vivente', secondo la pienezza di ciò che significa essere umani. E ci portano ad affacciarci su scenari interessanti in cui la vita terrena può essere interpretata come iniziazione alla destinazione eterna che rimane vita a tutti gli effetti, e il giudizio, lungi dall'essere visto come un verdetto dispotico, mostra invece una componente relazionale, nello stile proprio di Gesù, nel rapporto agapico tra il Risorto e l''io-anima' dotato di coscienza, volontà e sensibilità.
Conoscere il proprio destino, aprire uno spiraglio su quanto avviene dopo la morte è una curiosità comune a tutti gli uomini, una domanda che, pur in una cultura appiattita sul presente, assume spesso carattere di urgenza, diventa bisogno. Ricerche di senso ultimo che a volte sconfinano nell'affidarsi alla magia, agli oroscopi, a certi racconti di risvegli dal coma esprimono l'inestirpabile desiderio umano di vedere oltre l'incertezza del proprio futuro. Da questo desiderio, al quale tutte le religioni offrono una risposta, parte Giacomo Canobbio per ripercorrere quanto propone la teologia cristiana. Senza sottrarsi alle provocazioni della cultura attuale, egli si confronta con i risultati della ricerca scientifica così come con la riflessione filosofica, analizzando modelli di visione della morte e obiezioni anche autorevoli a una vita ultraterrena. Ne derivano spunti di riflessione sui 'novissimi', su destino e libertà, sull'anima umana, sulla necessità di un cammino di purificazione. E l'esito cui si viene condotti è che quel desiderio di ogni uomo di non perdere con la morte la ricchezza della vita è traccia del destino stabilito da Dio per noi: un destino di pienezza, di 'beatitudine'. La fede cristiana, ci dice Canobbio, risponde alle questioni che attengono al fine ultimo dell'esistenza umana procedendo dall'identità stessa di Dio, che è sommo bene e non può che destinarci al bene.