Molto si è scritto sulla Resistenza nell'Italia centrosettentrionale, mentre poco o nulla si sa della contemporanea vita nel Regno del Sud, e delle esperienze di soldati e civili, uomini e donne, gente di campagna e di città negli anni della Liberazione. L'autore in questo libro ci consegna una testimonianza diretta e autobiografica su una fase della storia nazionale piuttosto trascurata. E' la scoperta di una realtà sociale e politica in una fase di transizione e di scontro nella rievocazione di un'esperienza personale e di un ripensamento collettivo dei modi e dei nodi dell'unificazione d'Italia.
Mentre la pallida luce dell'alba si diffondeva sulla Manica, un corpo d'invasione composto da centotrentamila unità si apprestava a sbarcare sulle coste della Normandia. Era il 6 giugno 1944, il D-Day, "il giorno più lungo", che avrebbe cambiato il corso della seconda guerra mondiale e della storia del Novecento. "È suonata l'ora per la quale siamo nati" proclamava il "New York Times", l'ora che lasciava intravedere l'inizio della fine della Germania nazista. Ma per i soldati stivati nei mezzi da sbarco, paralizzati dal freddo e dalla paura, che a migliaia sarebbero caduti sulle spiagge presto divenute celebri di Omaha e Utah, l'assalto alla Fortezza Europa era solo all'inizio. Sarebbe trascorso un altro anno prima che nella Berlino circondata dall'Armata rossa il cadavere di Hitler bruciasse in uno squallido cortile. Un anno di combattimenti atroci, di battaglie epocali e di luoghi destinati a rimanere per sempre nella memoria e nella coscienza dell'Occidente: il porto di Cherbourg, la valle del Rodano, i boschi delle Ardenne, le lanche del Reno, la foresta di Hürtgen. La strada verso il cuore del Terzo Reich sarebbe stata ancora lunga e lastricata di incomprensioni, dissidi strategici, rivalità personali oltreché di innumerevoli vite spezzate. Un lungo cammino che avrebbe confermato, ancora una volta, che la guerra non è mai lineare, ma è un'impresa caotica, disordinata, fatta di errori e di slanci, di successi e di rovesci.
Cresciuto nella fede evangelica su cui fondava un'idea laica di libertà, Willy Jervis - ingegnere all'Olivetti di Ivrea, all'epoca definita "covo" di antifascisti - è figura di rilievo nella storia partigiana, in particolare delle valli del Piemonte. Dopo l'8 settembre 1943 costituì a Ivrea i primi gruppi partigiani. Ricercato, entrò in clandestinità, aderì al Partito d'Azione e aiutò a espatriare in Svizzera, grazie alle doti di alpinista, gruppi di ebrei e prigionieri anglo-americani. Catturato, imprigionato e torturato nel 1944 fu trucidato dai nazifascisti.
Il carro pesante tedesco Tiger fu una potente macchina in grado di dominare i campi di battaglia d'Europa. Fra i più temuti sistemi d'arma della Seconda guerra mondiale, si guadagnò fama di invincibilità che venne incrinata soltanto con l'entrata in servizio dello Sherman Firefly ("lucciola") nell'estate del 1944. Progettato dai britannici proprio per opporsi al Tiger, il tank alleato era basato sull'M4A4 Sherman statunitense, ma equipaggiato con un potente cannone da 17 libbre (76,2 mm) che lo trasformò in un mezzo letale. Il libro descrive la progettazione e lo sviluppo di questi due antagonisti, ne analizza punti di forza e debolezze, ne valuta armamento e addestramento degli equipaggi. Le illustrazioni con vista "dal mirino" portano il lettore "dentro" al veicolo corazzato durante una famosa battaglia che gli anglo-americani vinsero grazie alla loro superiorità numerica, tattica e ingegneristica.
La svolta di Salerno, la questione di Trieste, la costituzionalizzazione dei Patti Lateranensi, l'attentato del 14 luglio 1948, il caso Vittorini, la rivolta di Budapest. Sono solo alcuni degli argomenti affrontati da Palmiro Togliatti nelle sue lettere, di cui questo volume - un'assoluta novità raccoglie un'ampia selezione, dal suo rientro in Italia alla morte. Grazie al profilo e ai ruoli d'eccezione dei suoi corrispondenti (da Pietro Badoglio a Benedetto Croce, da Alcide De Gasperi a Romano Bilenchi, da Pietro Nenni a Vittorio Valletta, da Stalin a Giuseppe Dossetti) e alle caratteristiche delle lettere prescelte, l'Epistolario costituisce una lettura piacevole e vivace. Ogni lettera, corredata da un apparato di note brevi ed essenziali, è accompagnata da un'introduzione che la inquadra storicamente. Nella loro sequenza, le lettere e le introduzioni dei curatori compongono il racconto straordinario di un ventennio di vita italiana, fra cronaca e storia, vent'anni di lotta per l'egemonia nell'Italia della guerra fredda. Prefazione di Giuseppe Vacca.
Raccolta di testimonianze dei protagonisti di un momento storico estremamente importante per la nostra storia.
Tratti da un manoscritto inedito, questi Appunti costituiscono il primo racconto partigiano di Fenoglio. Scritto presumibilmente tra la fine del '45 e l'inizio del '46, Fenoglio inizia qui a elaborare narrativamente i propri ricordi, in particolare degli ultimi mesi del 1944. Il protagonista si chiama Beppe e il richiamo autobiografico è evidente; tuttavia si delinea già nettamente il tono epico della narrazione e la lingua neorealistica prelude a quella dei "Ventitre giorni della città di Alba". Questi Appunti costituiscono un primo saggio di quello che sarà il clima e la temperatura emotiva del Fenoglio maggiore e contribuiscono a fare chiarezza sull'annosa questione cronologica delle opere dello scrittore piemontese.
Un viaggio alle origini della nostra democrazia che assume un significato attuale in un momento di crisi della nostra democrazia. Provincia di Lucca, settembre 1944. La guerra è finita, ma per la maggior parte della popolazione la pace è ancora lontana. Per lungo tempo ancora la sopravvivenza resta la principale preoccupazione. Quali sono i riflessi politici di questa diffusa condizione di disagio? Con quali difficoltà e con quali limiti nasce in questo contesto ed è accettato dalle masse popolari il sistema democratico? Il libro cerca di rispondere a questi interrogativi attraverso uno studio articolato dal 1944 al 1948. Descrive la formazione culturale e politica della classe dirigente antifascista, lo sviluppo dei partiti di massa, intesi come luoghi di partecipazione politica e di integrazione sociale, l'azione delle prime Giunte Comunali e le prime competizioni elettorali e soprattutto pone al centro della riflessione la relazione tra la soddisfazione dei bisogni primari della popolazione e la costruzione di forme di convivenza e istituzioni democratiche.
Siamo capaci, noi italiani, di elaborare, metabolizzare e comprendere l'Olocausto che ci ha colpiti? Siamo in grado di tramandarne la memoria? Che uso abbiamo fatto, noi, pubblicamente, nella nostra dimensione culturale condivisa, dell'immane sterminio che ha coinvolto gli ebrei e i non ebrei del nostro paese, non certo meno che altrove? Quali ricadute nelle nostre vite, quali insegnamenti, quali comportamenti ci deve imporre la storia di quell'orrore? Sono domande dure come macigni, sono le fondamenta stesse dell'Italia repubblicana. È su queste domande che si possono porre le basi di una società che vuole voltare pagina e ricostruire se stessa dopo il ventennio fascista e una guerra al massacro. A sessant'anni di distanza, questo è il primo libro che affronta nel dettaglio il tema di quanto si è sedimentato dell'Olocausto nella nostra identità, attraverso i libri degli intellettuali, le canzoni popolari, il cinema, la televisione, i monumenti innalzati o quelli che non sono mai stati inaugurati; ma anche attraverso l'operato del nostro Parlamento e delle sue leggi. Robert Gordon ha studiato in profondità la storia dell'elaborazione della Shoah in Italia, e ce ne offre qui un quadro complesso, ripercorrendo questi sessant'anni su più livelli, evidenziando la figura centrale di Primo Levi, ma anche il diffuso sentimento autoassolutorio degli italiani, che ancora oggi vivono spesso se stessi come esecutori "riluttanti" di ordini altrui, faticando a farsi carico del proprio passato.