In questo suo libro ormai classico, J. Alberto Soggin delinea, con fresca chiarezza, un quadro singolarmente affascinante delle istituzioni religiose e sociali, delle feste, dei rituali e delle cerimonie principali di Israele in epoca biblica - dalle origini alla seconda rivolta contro Roma -, inserendolo, in rigorosa prospettiva storica, nel contesto del Vicino Oriente.
"In principio Dio creò il cielo e la terra": comincia così la Genesi biblica, il libro dell'Antico Testamento che più di ogni altro ha impregnato di sé la religione, la storia, la cultura tutta della nostra civiltà. Nei suoi 2500 anni di vita è stato l'inizio e la fine di ogni domanda su Dio, sulla realtà e sull'umanità, per la religione ebraica come per quella cristiana. E ancora oggi continua a svolgere un ruolo chiave nei dibattiti in tema di scienza, politica e diritti umani. Dopo aver raccontato l'origine del libro (la "genesi della Genesi") come combinazione di fonti e storie provenienti da antiche tradizioni, l'autore ne delinea le diverse modalità interpretative, da quella letterale a quella simbolica o figurale, accompagnando il lettore in un viaggio che muove da san Paolo, passa per Lutero, Spinoza, Galileo e Darwin, e giunge a Giovanni Paolo II e al suo tentativo di armonizzare teologia e scienza come due forme di conoscenza. È la storia di un testo complesso, contraddittorio, incoerente, e tuttavia divino.
Il libro del Levitico è il cuore del Pentateuco perché esprime le preoccupazioni teologiche fondamentali della redazione Sacerdotale, che di esso costituisce la struttura di base. Dopo avere descritto nei primi capitoli della Genesi il passaggio da una creazione «molto buona» (Gen 1,31) a una situazione di ritorno al caos, il Pentateuco indica le linee fondamentali della risposta di YHWH alla decadenza della sua creazione: la formazione, per mezzo della discendenza di Abramo, di un popolo con cui stringere un?alleanza. Al libro del Levitico è affidata la regolazione del culto: dalla consacrazione del personale che celebra alle regole sulla purità, per mezzo delle quali il popolo di Israele è determinato e racchiuso in un confine sacro che lo distingue dalla realtà circostante e che servono da preludio al rituale del grande giorno dell?Espiazione, che permette la permanenza del rapporto tra Yhwh e il suo popolo nonostante le infedeltà di questo.
Un prezioso commento alle Scritture, in prima edizione italiana, corredato da introduzioni e note di approfondimento. Il volume raccoglie per la prima volta in una traduzione italiana originale tutto quanto rimane dell'esegesi di Origene sul Libro del profeta Ezechiele, vale a dire 14 omelie nel latino di Girolamo e più di 200 frammenti greci di provenienza per lo più catenaria, molti dei quali tratti dal perduto commentario origeniano. Ogni omelia è preceduta da un'introduzione ed è puntualmente corredata da note di approfondimento. I frammenti corrispondenti alle omelie sono proposti in parallelo con il testo latino per evidenziarne somiglianze e differenze; per gli altri, sono segnalate in nota le frequenti affinità con il Commento a Ezechiele di Girolamo, che spesso ha attinto da Origene. L'introduzione generale presenta uno studio sui criteri di traduzione di Girolamo e un saggio sulla figura del profeta in Origene.
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L'edizione quadriforme del libro dei Proverbi, utile per recepire il testo biblico in lingua originale e affrontare le difficoltà delle lingue antiche, propone:1) il testo ebraico masoretico (TM) della Biblia Hebraica Stuttgartensia, basata prevalentemente sul Codex Leningradensis B19A, datato circa 1008; 2) il testo greco nella versione dei Settanta (LXX) di Rahlfs, basata prevalentemente sul Codex Vaticanus (B) risalente al IV secolo dopo Cristo; 3) il testo latino della Nova Vulgata, redatta nel post-concilio e normativa per la liturgia cattolica; 4) il testo della Bibbia CEI 2008, normativa per la liturgia italiana, con paralleli essenziali a margine e segnalazione dei termini difformi dall'ebraico; 5) la traduzione interlineare italiana di ebraico e greco, eseguita a calco e orientata a privilegiare gli aspetti morfologico-sintattici del testo originale. Il volume prosegue la nuova sezione della collana.
Il Libro di Enoch è un testo apocrifo di origine ebraica la cui versione definitiva risale al primo secolo a.C., raggiunto oggi in pieno in una versione in lingua Ge'ez (antica lingua Etiope), da cui il nome Enoch etiopico. Il primo libro di Enoch è un apocrifo dell'Antico Testamento, non incluso nella Bibbia ebraica, non è parte della Bibbia in greco chiamato dei (Settanta) e non è parte di, almeno oggi, anche della Bibbia cristiana. Gli storici ebrei Flavio Giuseppe e Filone di Alessandria non lo menzionano tra i libri canonici del giudaismo nel primo secolo d.C., anche se sappiamo che in passato è stato spesso utilizzato nel mondo ebraico e anche i primi padri della chiesa cristiana, ci sono infatti alcune analogie tra passi e idiomi caratteristici del Nuovo Testamento, e questo libro. In epoca medievale si sono perse le tracce misteriosamente tranne qualche rara citazione, come quelli di Sincello e Cedreno del IX secolo non è più stato utilizzato, e 1 Enoch è rimasto un testo sconosciuto e misterioso fino a '700. La tradizione dice il patriarca Enoch autore di oltre trecento sessantasei libri.
Nella tradizione giudaica sono chiamati «Megillot», cioè «rotoli», il libro di Rut, il Cantico dei cantici, il Qoèlet, le Lamentazioni, il libro di Ester, che vengono letti nelle cinque principali feste dell'anno. L'edizione quadriforme di Megillot, utile per recepire il testo biblico in lingua originale e affrontare le difficoltà delle lingue antiche, propone:- il testo ebraico masoretico (TM) della Biblia Hebraica Stuttgartensia, basata prevalentemente sul Codex Leningradensis B19A, datato circa 1008;- il testo greco nella versione dei Settanta (LXX) di Rahlfs, basata prevalentemente sul Codex Vaticanus (B) risalente al IV secolo dopo Cristo;- il testo latino della Nova Vulgata, redatta nel post-concilio e normativa per la liturgia cattolica;- il testo della Bibbia CEI 2008, normativa per la liturgia italiana, con paralleli essenziali a margine e segnalazione dei termini difformi dall'ebraico;- la traduzione interlineare italiana di ebraico e greco, eseguita a calco e orientata a privilegiare gli aspetti morfologico-sintattici del testo originale.
"Questa esplorazione del Cantico è fatta di sentieri nel folto del bosco, colpi di sonda nell'oceano, aperture verso nuovi cammini. Una meditazione che si fa sorgente di vita." Bruno Forte
Carlo Maria Martini, attraverso una selezione di testi letti e "pregati" secondo il metodo della lectio divina, mette a nudo il cuore del rapporto Dio-uomo. Al centro vi è la figura di Geremia, un uomo capace di parlare con ardore travolgente; un uomo impegnato in un compito difficile, quasi ingrato, nel suo annunciare - tramite il monito della sciagura - la fedeltà di Dio. Il profeta, purificato dalla sofferenza, è annunciatore di una buona notizia: Dio fa alleanza con il suo popolo, lo fa di nuovo, lo fa con determinazione. Solo in Cristo questo annuncio troverà compimento perfetto, ma la voce del profeta - il grido di un uomo provato ma fedele, in una città "secolare" che non ascolta - rimarrà monito per sempre: è possibile fidarsi di Dio.
La pericope di Ger 10,1-16 assomma numerosi motivi di interesse, per via del suo singolare impianto letterario e teologico. Non sono molte infatti le pagine che nel Primo Testamento ci consegnano un ritratto a tutto tondo del Dio d'Israele: anzi, il tentativo "sistematico" di delineare la natura, presentando i suoi tratti distintivi in una serie di immagini in dissolvenza - con l'obiettivo che sfuma ripetutamente tra YHWH e gli Dèi degli altri popoli - è un caso unico nella Bibbia. A fronte di ciò, la netta discordanza tra le due forme attestate (TM e LXX) è la prova di una vicenda redazionale alquanto intricata, come anche si evince dalla testimonianza diretta dei manoscritti geremiani rinvenuti a Qumran. Gli esiti della ricerca toccano questioni cruciali, sul versante sia analitico che tematico. Circa la problematica testuale, tutti gli indizi spingono a collocare Ger 10 tra gli esempi di "profezia scribale", riconoscendo nella forma attestata dal TM il punto di arrivo di una riscrittura che presuppone la forma breve della LXX come tappa anteriore. Sul piano del senso, si intuisce la forza pragmatica della critica agli idoli, che interroga anche il nostro modo di concepire Dio e di corrispondere alla sua rivelazione storica, mentre affiora la rilevanza teologico-sapienziale di un messaggio universalizzante, capace di condurre Israele e le genti al riconoscimento di YHWH come Dio vero.
Le asperità della sezione di Es. 5,1-7,7, sono state interpretate, nelle indagini source-oriented, come discontinuità dovute alla complessa storia di formazione del testo. È questa l'unica possibile spiegazione? Prendendo atto in modo radicale del carattere narrativo della sezione e nel solco della teoria di Meir Sternberg, questo studio propone un'analisi dettagliata della sezione, evidenziando e illustrando alcuni elementi di poetica narrativa del dialogo, non ancora presenti nei manuali, e mostrando che, in una ricerca discourse-oriented, le asperità del testo contribuiscono alla dinamica narrativa basata su curiosità, suspence e sorpresa. Il close reading evidenzia anche che la continuità della sezione è legata all'emergere del tema della conoscenza di Dio (essenziale per la teologia del racconto) e alla presenza diffusa del fenomeno della citazione del discorso diretto. Rispondendo alla domanda di Mosè, infatti, il personaggio divino riconfigura la trama del racconto, inserendo l'intreccio di azione (la liberazione) in un più ampio intreccio di rivelazione (conosce Yhwh come colui che fa uscire dall'Egitto) e crea Mosè, in piena crisi vocazionale, suo mediatore mediante le citazioni. Le citazioni creano altresì una particolare dinamica narrativa, che permette al lettore di appropriarsi dei presupposti teologici della storia: la parola divina fa la storia; immessa nelle parola degli uomini può venir disprezzata o ravisata, tuttavia essa crea l'intreccio e lo conduce alla conclusione.
Molte volte l'indagine esegetica ha affrontato la relazione tra il Deutero-Zaccaria e i vangeli della passione. Ha senso affrontare il tema ancora una volta? Certamente no, se questo significa precisare nuovamente la dipendenza genetica dagli oracoli profetici delle tradizioni o delle redazioni evangeliche. Ma se l'obiettivo è invece quello di analizzare il senso e la funzione di questa relazione, allora il campo di lavoro è aperto e affascinante. Il presente studio si concentra cosi sui testi di Zc 9-14 riconosciuti come intertesti di Mt 21-27, per ascoltane le risonanze di significato dentro la comunicazione portata avanti dal primo vangelo. È anche mediante questa relazione intertestuale, infatti, che viene costruito il lettore modello di Matteo. In considerazione di ciò, l'approccio metodologico utilizzato nell'analisi è decisamente innovativo. Esso infatti si muove nell'ambito dell'intertestualità, intendendo quest'ultima però come un preciso strumento pragmatico provveduto dall'autore modello. L'analisi è funzionale ad una sintesi che rilegge complessivamente la strategia intertestuale nella sua funzione comunicativa; essa inserisce in particolare alla comprensione della dinamica teologica del "compimento", nonché ad una ridefinizione che il lettore modello è chiamato ad operare circa il volto del Messia e i tratti caratteristici della comunità radunata intorno a lui.