Una classica storia del teatro latino, dalle origini all'età imperiale. Beare illustra tutti gli autori e i generi teatrali, e ricostruisce gli aspetti concreti dello spettacolo: le caratteristiche degli edifici teatrali, i costumi e gli apparati scenici, l'accompagnamento musicale, la composizione del pubblico e i suoi comportamenti.
La caduta di Costantinopoli è uno degli eventi leggendari della storia universale : come l'assedio di Troia, la servitù babilonese, l'incendio di Gerusalemme, la conquista di Città del Messico. In un ristretto spazio di terra, abbiamo di fronte due eroi: il giovanissimo Maometto II, ora violento e avido di potere, ora consapevole della vanità di ogni gloria umana; e l'ultimo imperatore di Bisanzio, Costantino XII, malinconico e solitario, conscio che il suo destino e il destino della sua città sono ormai segnati. Intorno a loro, echeggia un fittissimo coro : il coro dei greci che stanno per perdere la loro patria, dei turchi che vanno all'assalto accompagnati da una musica furiosa di tamburi e trombe, dei mercanti europei che vedono minacciati i loro privilegi commerciali, e dei prelati cattolici che temono l'Islam ma continuano a scorgere nella Chiesa Ortodossa l'antica rivale.
La raccolta in due volumi, curata da Agostino Pertusi, non ha paralleli in alcun paese del mondo. Essa comprende racconti in ogni lingua e di ogni specie: i diari dei mercanti veneziani e genovesi, le epistole del cardinale Isidoro di Kiev, le memorie dei greci sopravvissuti alla catastrofe, dei giannizzeri serbi, del patriarca di Costantinopoli, il testamento di papa Nicolò V, le lettere degli umanisti occidentali che vedono in pericolo la rinata religione delle lettere cristiane. Tra tutti i testi emergono i racconti di tre scrittori grandissimi : Nestore Iskinder, il fosco e apocalittico storico russo, che considera la sua patria come l'erede di Bisanzio; Tursun Beg, lo scrittore turco che trasforma gli orrori della conquista in una colorata favola da "Mille e una notte", e Ducas, il greco che piange sulla città caduta, sull'imperatore scomparso, sui giovani morti, sulle donne violate, su santa Sofia profanata.
Quando chiudiamo il grande libro di Pertusi e tutte le testimonianze discordanti si combinano nella nostra me- o moria, abbiamo un'impressione indimenticabile. Crediamo di aver partecipato anche noi all'assedio: con tale minuzioso amore erudito il commento di Pertusi ricostruisce ogni particolare e ogni istante delle giornate terribili ; e tutti i difensori della città sembrano ancora fermi al loro posto, dietro le porte o sopra le mura, nei loro inutili gesti di eroi condannati.
Indice - Sommario
Introduzione
Nota bibliografica
Cronologia
Parte prima - I TESTIMONI DELLA CADUTA DI COSTANTINOPOLI
NICOLÒ BARBARO, Giornale dell'assedio di Costantinopoli
ANGELO GIOVANNI LOMELLINO, Lettera sulla distruzione di Costantinopoli
ISIDORO DI KIEV, lettere a Nicolò V, al cardinal Bessarione, ai fedeli di Cristo, al doge di Venezia, a Filippo di Borgogna
"FAMILIARIS" DI ISIDORO DI KIEV, Lettera al cardinal Capranica
LEONARDO DI CHIO, Lettera sulla presa di Costantinopoli
JACOPO TEDALDI, Informazioni sulla conquista di Costantinopoli
GIACOMO CAMPORA, Orazione al re Ladislao d'Ungheria
UBERTINO PUSCULO, Costantinopoli
GIORGIO SPHRANTZÈS, Memorie
SAMILE, Lettera a Osvaldo, borgomastro di Hermannstadt
TOMMASO EPARCHOS E GIOSUÈ DIPLOVATATZES (?), Relazione sulla presa di Costantinopoli
GENNADIO SCOLARIO, Lettera pastorale sulla presa di Costantinopoli
COSTANTINO DI OSTROVICA, Memorie di un giannizzero
NESTORE ISKINDER, Racconto di Costantinopoli
AQ SEMS ED-DIN, Lettera a Mehmed II
TURSUN BEG E IBN KEMÂL, Storia del signore della conquista
Cartine
COMMENTO
- Elenco delle abbreviazioni usate nel Commento
- Nicolo Barbaro
- Angelo Giovanni Lomellino
- Isidoro di Kiev
- "Familiaris" di Isidoro
- Leonardo di Chio
- Jacopo Tedaldi
- Giacomo Camperà
- Libertino Pusculo
- Giorgio Sphrantzès
- Samile
- Eparchos
- Gennadio Scolano
- Costantino di Ostrovica
- Nestore Iskinder
- Aq Sems ed-Din
- Tursun Beg
Prefazione / Introduzione
Dall'introduzione
I. La grande paura del mondo
I turchi erano una vecchia conoscenza, sia dei bizantini sia degli occidentali, ma soprattutto dei bizantini. Dai tempi della prima espansione dei Seldjukidi in Asia Minore (c. 1065) alla grave sconfitta subita dai bizantini a Mantzikert (1071) e alla costituzione del Sultanato di Rûm (1080), fino e oltre i tempi delle crociate, le conquiste turche costituirono una fonte di grave preoccupazione per l'impero bizantino e per gli occidentali. Ma il problema si fece quanto mai pressante quando la forte dinastia degli Osmani si impossessò del potere. L'avanzata di Urkhan verso le regioni europee avvenne in poco più di un trentennio: 1331, assedio e caduta di Nicea; 1336-7, assedio e caduta di Nicomedia e di Pergamo; 1340, arrivo sulle coste del Bosforo; 1344-6, battuta d'arresto: alleanza di Urkhan con l'imperatore Giovanni VI Cantacuzeno, fidanzamento e matrimonio di Teodora, figlia di Giovanni VI, con lo stesso Urkhan; 1346-8, bande turche in Tracia e in Macedonia; 1352, nuova alleanza di Giovanni VI con Urkhan, il figlio del quale mette in fuga Giovanni V Paleologo ; 1352-4, i turchi saccheggiano la Tracia, si impossessano della fortezza di Tzimpé e poi, approfittando di un terremoto, conquistano Gallipoli, che domina lo stretto; 1358, Giovanni V Paleologo, fallita una dimostrazione navale davanti a Focea, è costretto a riconoscere al sultano osmano le città della Tracia da lui conquistate; 1359, i turchi giungono fin sotto le mura di Costantinopoli; 1361, occupano Tchorlu, Didimoteichos, Kir Kilisse, vincono la battaglia di Lulle Burgas, conquistano Andrinopoli; 1364-5, la capitale turca è trasportata da Brussa, in Asia Minore, a Didimoteichos e poi ad Andrinopoli (Edirne). L'impero bizantino - o meglio, quello che rimaneva ancora dell'impero bizantino - era ormai chiuso in una morsa di ferro. Demetrio Cidone, ministro di Giovanni V (dal 1356 al 1358), vede già a quell'epoca con molta chiarezza la situazione. Egli non riesce a comprendere l'atteggiamento degli occidentali, sordi all'appello del papa Urbano V. Scrivendo all'amico Simone Atumano nel 1364, lo ragguaglia sulle opinioni che corrono negli ambienti di Costantinopoli: nessuno spera nell'aiuto occidentale; le promesse del papa sono considerate parole vane; gli stessi turchi chiedono, facendosi beffe dei bizantini, se hanno qualche notizia della crociata; anche lui, Cidone, teme di doversi associare all'opinione generale. È profondamente angosciato, e con grande lungimiranza politica scrive:
"Sappi comunque che, se essi non pongono in atto ora le loro minacce contro gli infedeli e tutto l'anno se ne va in risoluzioni e in preparativi, la capitale sarà presa: questo insegnano i fatti, come se fossero dotati di parola. E una volta che la [nostra] città sarà presa, essi saranno costretti a fare la guerra contro i barbari [= i turchi in Italia e sul Reno, e non soltanto contro di questi, ma anche contro coloro che abitano la Meotide [= Mar d'Azov], il Bosforo [Cimmerio = stretto di Kertch] e tutta quanta l'Asia. Quando infatti l'impero [bizantino] sarà scomparso, tutti questi popoli diventeranno gli schiavi dei vincitori, e questi [= gli asiatici] non saranno contenti se, caduto l'Oriente in schiavitù, vedranno gli altri popoli che stanno in Occidente vivere felicemente; si vendicheranno assieme ai barbari contro coloro che, pur avendo avuto la possibilità, non vollero impedire la sciagura, e faranno di tutto perché anch'essi siano fatti schiavi assieme a loro..."
Le idee che Cidone esprime all'amico, perché se ne faccia interprete presso i latini, sono da lui largamente sostenute in patria contro le diffidenze dei suoi connazionali, sia nella "Esortazione ai bizantini" nell'autunno del 1366, alla vigilia della inconcludente spedizione di Amedeo VI di Savoia, sia nella "Esortazione a non restituire Gallipoli", nel 1371. Quando infine, tornato da Venezia, trova sul trono Manuele II, successo alla morte del padre (1391), Cidone è sempre più allarmato della situazione politica e sociale, e scrivendo a Teodoro Paleologo, despoto di Morea, dice:
"Tutto qui è sconvolto e difficilmente si troverebbe quaggiù in terra un esempio simile di caos: i barbari [= turchi] si sono impadroniti di tutto, fuorché le mura della città, sono per sé stessi la causa della sua miseria, impongono tributi così gravi che le entrate tutte insieme non sarebbero sufficienti a pagarle, per cui occorrerà colpire di tasse anche la povera gente, se vorremo soddisfare, almeno in parte, l'ingordigia dei nostri nemici. Tutti però pensano che ciò sia impossibile e che non riusciremo mai a porre un freno alla loro cupidigia; guardano ormai alla schiavitù come all'unica cosa che sia in grado di liberarli dai mali interni... Inoltre continua ad infierire l'antico male che tutto ha distrutto: la lotta tra gli imperatori per questo spettro di potere, e la necessità, per loro, proprio a causa di tale lotta, di porsi a servizio del barbaro, perché solo così hanno la possibilità di sopravvivere..."
In questi anni anche il rappresentante di Venezia a Costantinopoli informa il suo governo sulla possibilità che l'impero passi in mano turca e sul generale malcontento della popolazione della città che desidererebbe un aiuto concreto da parte dell'Occidente. In effetti, i tentativi di parte turca di impossessarsi della capitale bizantina non mancarono, sia nel 1397-9, quando Bajezid Ilderim, dopo la vittoria di Nicopoli, pose il blocco a Costantinopoli - e lo storico Ducas ci informa che la popolazione presa nella morsa della fame desiderava che la città fosse conquistata -, per fortuna senza gravi conseguenze; sia più tardi, nel 1422, quando Murad II, per vendicarsi dell'appoggio dato da Manuele II al pretendente Mustâfa, pose l'assedio attorno a Costantinopoli e cercò di impossessarsene dando l'assalto alle mura, con un esercito, per buona sorte dei bizantini, troppo esiguo. Un testimone oculare di quest'ultimo tentativo, Giovanni Canano, così descrive - dopo la vittoria - l'arrivo di Murad II davanti alle mura:
"Venne furibondo, selvaggio, smargiasso, superbo, altero, orgoglioso; sollevando sprezzantemente al cielo il sopracciglio, egli riteneva di stare al di sopra di tutti, presumeva che ogni cosa dipendesse da lui e che l'universo intero fosse soggetto al suo comando..."