Da dieci anni non passa giorno senza che qualcuno invochi l'esigenza di una nuova classe dirigente. Eppure quasi nessuno sembra accorgersi che, se tale espressione suona ormai logora all'orecchio dei più, non è per l'inettitudine o la disonestà dei singoli, ma anche e soprattutto perché l'età globale ha inesorabilmente compromesso le condizioni d'esistenza di una classe dirigente in senso proprio. Le oligarchie si sono sgretolate, dunque, in una società liquida e trasparente? Nient'affatto. Il nostro è il tempo opaco dei gruppi di interesse privato, che premono sui decisori pubblici in vista di un tornaconto particolare. Che cosa resta, quindi, della democrazia? Finché si ignorerà che le élites politiche sono essenziali per una democrazia libera e pluralistica, partecipata e consapevole, i partiti soccomberanno ai movimenti e il potere scivolerà indisturbato nelle mani di pochi giganti transnazionali.
Le difficoltà della politica in Europa e nel mondo occidentale si sono moltiplicate per la grave crisi sociale degli ultimi due decenni, fino a mettere a rischio la stessa espansione della democrazia. Il paradigma liberista, che affida soprattutto al mercato la responsabilità della crescita economica e dell'inclusione sociale, si è rivelato profondamente inadeguato. In questo panorama appare sempre più indispensabile definire nuove linee politiche, al di fuori di schemi consumati, e individuare nuove iniziative capaci di raccogliere le attese di emancipazione e di speranza sociale che esprimono le generazioni più giovani e quelle più anziane. In questo dialogo tra Michele Dau e Stefano Fassina prende vita un percorso che si propone di offrire un progetto tanto complesso quanto indispensabile per scongiurare derive populiste o soluzioni antidemocratiche. La situazione del Paese è troppo grave e richiede una ricostruzione morale e intellettuale, oltre che sociale, di una sinistra non estremista, ancorata alla radicalità civile della Costituzione amata dagli italiani, e all'esigenza di attuarla con coerenza, incisività e determinazione.
La caduta del muro di Berlino, simbolo dell'ordine bipolare sorto dalla seconda guerra mondiale, sembrò inaugurare una stagione in cui sarebbero venute meno molte altre frontiere, insieme alla liberalizzazione e integrazione dei mercati, la creazione di vaste zone di libero scambio, la nascita di una nuova unione politica e monetaria. Solo trent'anni dopo quella tendenza appare invertita e si assiste a una rivalutazione di confini e frontiere, a un'espansione del loro numero e persino alla loro reintroduzione là dove, come in Europa, erano state virtualmente abolite. Un illusorio ritorno di fiamma della sovranità nazionale, un fenomeno controtempo o la rivincita del peso della storia e del potere del luogo? Il fatto che le frontiere siano tornate di attualità, ci avverte l'autore nella sua analisi delle più pericolose linee di faglia che si sono aperte nel mondo contemporaneo, non significa però che esse corrispondano a ciò di cui l'attualità avrebbe bisogno.
Paralisi della rappresentanza, congelamento della competizione tra idee progettuali, ossessioni unanimistiche, allergia per il pensiero non allineato. Ciò che ci ostiniamo a chiamare governo è il mero esecutore e garante della forza normativa del fatto. Nel tempo esecutivo solo lo status quo è legittimo. Il resto è solo velleità, agitazione sterile e senza prospettive. Che è quanto dire che la frustrazione della democrazia è stata interiorizzata, è entrata nel midollo della società.
Il kushari è un piatto tipicamente egiziano. Mescolando ingredienti apparentemente inconciliabili fra loro, sembra sfuggire a qualsiasi logica culinaria. Eppure, se cucinato da mani esperte, gli ingredienti si fondono in una pietanza deliziosa. Quale miglior metafora per l'Egitto di oggi, che tenta di fondere mille anime in un'identità che alcuni vorrebbero monolitica, altri multicolore? Mille anime che potrebbero idealmente unirsi per dar vita a un sapore unico, o annientarsi fra acute discordanze. Il racconto appassionato di un Egitto inedito, che sbalordisce, spaventa e interroga, fatto di storie di giovani, militari, donne, islamisti radicali e minoranze religiose, sindacalisti in cerca di giustizia e trame di oscuri apparati dello Stato. Attraverso episodi cruciali che hanno interessato la società egiziana negli ultimi anni - dalla Primavera araba del 2011 al misterioso e "irrisolto" caso Regeni - l'autrice ci restituisce l'eterna dialettica tra spinte innovatrici e resistenza al cambiamento.
La democrazia appare fragile e vulnerabile. Dopo aver sanato le ferite delle guerre e dei totalitarismi del XX secolo, i suoi valori e suoi principi fondamentali sembrano perdere forza e significato: ne sono prova le difficoltà crescenti dell'integrazione europea, il dilagare dei populismi, la contestazione delle élite, la Brexit, la sorprendente elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti. Ma come funziona la democrazia? Come opera concretamente nella vita dello Stato, in relazione alle altre componenti dei poteri pubblici, in conflitto con la giustizia, l'autorità, l'efficienza, nella teoria e nella pratica del governo? Sono queste alcune delle domande a cui risponde Sabino Cassese, uno dei più noti giuristi italiani, in "La democrazia e i suoi limiti", al centro del quale sta l'interazione tra l'elemento democratico dei sistemi politici contemporanei e gli altri elementi che compongono lo Stato, nonché tra la democrazia nazionale e gli ordini giuridici sovranazionali. L'accento è sui limiti perché, se la democrazia è un limite del potere, è a sua volta limitata, sia per la sua intrinseca natura, sia per l'azione di altre forze. Accanto al tema tradizionale della democrazia come limite del potere, tuttavia, vi sono altri temi emergenti, che rispondono a problemi contemporanei. In primo luogo quello della partecipazione attiva dei cittadini alla vita dello Stato e delle sue istituzioni. Se nei Paesi occidentali un quarto della popolazione si astiene dal voto, se sempre più spesso sono le minoranze a decidere i destini politici di una nazione, se milioni di persone assumono atteggiamenti di protesta, occorre verificare il funzionamento della democrazia, i compiti dei partiti, le vie per far sentire nello Stato la voce dei cittadini, e contemporaneamente le procedure di selezione delle classi dirigenti e i modi di operare degli apparati pubblici.
Il 20 gennaio 2009, Barack Obama presta giuramento come 44° presidente degli Stati Uniti d'America. Dopo una delle campagne elettorali più partecipate e coinvolgenti di sempre, capace di mobilitare migliaia di cittadini in tutto il mondo in nome della pace, dei diritti civili, del disarmo nucleare, diventa il primo afroamericano a ricoprire il prestigioso incarico. A distanza di otto anni, ripercorriamo l'eredità storica e politica dei suoi due mandati in questi discorsi: dalle parole ferme e decise con cui viene data notizia della morte di Osama bin Laden alla battaglia senza precedenti contro i pericoli del cambiamento climatico; dalle commoventi e orgogliose frasi sui diritti dei neri nel cinquantesimo anniversario della marcia di Selma fino all'ultimo discorso pronunciato all'assemblea generale delle Nazioni Unite.
Col Trattato di Versailles, al termine della Grande guerra, la Germania è condannata a pagare in trent'anni 132 miliardi di marchi d'oro. Le conseguenze della miopia dei vincitori emergono presto: una Germania frustrata e indignata diventa il vivaio ideale per la nascita del nazismo. Dopo la Seconda guerra mondiale tutto cambia: il Piano Marshall finanzia la ricostruzione europea e, più tardi, nella conferenza di Londra del '53, i Paesi creditori decidono di cancellare metà del debito tedesco. Ma non esistono solo i debiti di guerra, ci sono anche quelli contratti in tempo di pace. L'Europa degli anni più recenti ha affrontato la questione senza riuscire a dimostrare unità. Il caso del debito greco esplode nel 2009, seguito da una crisi di rapporti greco-tedeschi: la Grecia accusa la Germania di non aver onorato i debiti contratti con la guerra, mentre i tedeschi accusano la Grecia di aver truccato i conti. L'Unione vacilla sotto il peso della crisi. Oggi, per capire le polarizzazioni e i contrasti sulle politiche dell'austerità è fondamentale isolare gli snodi storici che hanno definito i rapporti tra creditori e debitori in Europa. È quello che fa Sergio Romano attraverso gli ultimi centocinquant'anni, sottolineando come la fiducia reciproca tra i popoli abbia svolto una funzione fondamentale per superare i momenti di difficoltà e avviare la ripresa.
«Che cos'è il linguaggio? Quali sono i limiti dell'intelletto umano (se esistono)? E qual è il bene comune per ¡1 quale dovremmo lottare?» Ecco i tre quesiti che Noam Chomsky affronta nelle lezioni raccolte in questo volume, elementi essenziali della domanda delle domande: «Che genere di creature siamo?» Non si tratta certo di questioni da poco, ma se c'è qualcuno che ha sia la competenza scientifica sia la capacità didattica necessarie per trattare tali problemi coinvolgendo il lettore e rendendolo davvero partecipe del ragionamento, questi è sicuramente Chomsky. Che, senza avere mai la pretesa di offrire soluzioni definitive, rende semplice il difficile, e mettendo a nostra disposizione le sue enormi conoscenze ci mostra quanto spesso e quanto facilmente le ovvietà, così banali nel loro essere vere, possano essere ignorate o rifiutate, mentre l'errore diventa prassi, se non teoria, dominante. Partendo dal «linguaggio» e arrivando al «bene comune», il grande intellettuale americano si mostra qui per intero. Per una volta, in questo libro il linguista e il «politico» si incontrano, e dimostrano (se ce ne fosse bisogno) che si tratta di una persona sola: in Chomsky tout se tient. E mai come in queste pagine risulta evidente che lo scienziato che ha rivoluzionato la linguistica e l'appassionato militante perseguono un medesimo fine: la comprensione di ciò che l'uomo è nella sua natura più profonda.
Giorgio La Pira ha lasciato un segno indelebile nella storia di Firenze, dell'Italia, del mondo. Il libro presenta una raccolta sulla vita e le opere di questa straordinaria figura. Come si legge nella presentazione, infatti, da "contemplativo nell'azione", «La Pira concentrava costantemente la sua attenzione alla pace come unica via per la salvezza (non solo spirituale) dell'intera umanità e considerava la sua città d'adozione, Firenze, una "lampada sul candelabro" della contemporaneità che, seppur inscritta nel vecchio continente europeo, guardava con speranza alle nuove nazioni ed ai popoli nuovi con il desiderio ardente di vederli coprotagonisti della storia, [...] interpretando con chiarezza gli avvenimenti della storia, anticipandone profeticamente i potenziali sviluppi, operando pragmaticamente per orientare la politica verso scelte di giustizia», di pace e di unità. «I problemi [...] hanno una sola via per essere risolti: la via pacifica, la via politica; la via dell'incontro, la via del negoziato! [...] Poesia? Utopia? No, realtà storica che gli autentici uomini politici (quelli che hanno il senso della storia e il senso della scienza) possono misurare con esattezza quasi geometrica.
Tratto dalla Storia della letteratura italiana – considerata da René Wellek “la più bella storia letteraria che sia mai stata scritta” – il capitolo che descrive l’opera e il pensiero di Machiavelli mostra tutta l’arte di De Sanctis: alla ineguagliabile capacità interpretativa, fondata sull’analisi dei testi e sulla vasta conoscenza del contesto storico, il grande studioso irpino univa il suo stile inimitabile, fatto di folgoranti definizioni. Lo scrittore e giornalista Federigo Verdinois scrisse di lui in un suggestivo profilo (pubblicato all’interno di questo volume): “scolpisce più che non descriva”. Una forza “plastica” che fa sì che i testi di De Sanctis resistano al passare del tempo e siano ancora tra le vette più alte della nostra critica.
“Il Dio di Machiavelli è l’intelletto, l’intelligenza e la regola delle forze mondane: il risultato è scienza”.
"In quanti modi diversi si potrebbe raccontare la vera vita di Aldo Moro? Osserviamolo, per esempio, in un'immagine del 1941. È un giovane elegante, sorridente, che attende a piazza San Pietro di essere chiamato per un'udienza privata con il papa. Ma come è riuscito quel giovane - se scorriamo rapidamente un'immaginaria linea del tempo - a conquistare il potere in Italia e a mantenerlo poi per lunghissimo tempo? E perché poi, alla fine, è stato rapito e ferocemente ucciso? Ci sono domande essenziali che animeranno dall'interno ogni racconto della vita di Moro, quali che siano le forme o le scansioni temporali prescelte. Molti si sono concentrati sulla fine, sulla morte terribile, in grado di svelare - come il montaggio cinematografico per i film - il senso dell'intera sua vicenda. È una strada promettente, a patto di non credere troppo alla favola che Moro è stato ucciso perché stava preparando il compromesso storico con i comunisti." (Dalla Premessa)