Il periodo che va dal 1861 al 1887 rappresenta una fase cruciale nella storia d'Italia. Si tratta del momento in cui si avviano i processi di State e di Nation bulding tipici dell'Ottocento europeo. Nel 1861 finisce la storia di un paese politicamente frammentato e inizia quella di uno Stato unitario che, nei venticinque anni successivi, dovrà affrontare enormi problemi economici, politici e sociali. Partendo da una condizione di complessiva e grave arretratezza, la nuova classe dirigente, di Destra e di Sinistra, riuscì comunque a raggiungere importanti obiettivi. Nel contesto di un sistema politico e costituzionale più avanzato rispetto a quello degli Stati preunitari, furono creati un mercato, un esercito e un sistema scolastico nazionali, una giurisdizione e un apparato legislativo uniformi e una rete infrastrutturale più moderna ed efficiente.
Nel nostro Paese si gioca a calcio dai tempi in cui Federico Nietzsche baciò un cavallo a Torino. E, in quegli anni, una certa dose di follia e uno spirito anticonformista erano necessari anche per rincorrere in calzoncini una palla, sforzandosi di applicare le regole d'uno sport britannico chiamato association football. Quel gioco, per noi, è diventato nel tempo una faccenda maledettamente seria. Così, se si volesse eleggere un 'padre del calcio italiano' non ci si accorderà mai: il vogatore Bosio o il visionario Duca degli Abruzzi? Herbert Kilpin, il viscerale figlio del macellaio, o il compassato medico Spensley che, al peggio, imprecava in sanscrito? Per certo, furono tutti pionieri, e il gioioso contagio, originato a Torino e Genova, raggiunse ben presto ogni città del Paese, dando vita a squadre, competizioni e rivalità che ancor oggi infiammano i cuori. Ripercorrere l'infanzia del calcio comporta un viaggio emozionante ai confini del mito: qui si raccontano gli anni d'oro di Genoa, Pro Vercelli e Bologna, e i primi trionfi di Milan, Juventus e Inter. Si narra del caleidoscopio delle squadre attive a Roma, Firenze e Napoli all'alba del XX secolo, e degli esordi della Nazionale; di esotiche tournée, scissioni e disordini di piazza; di atti d'eroismo e burle indimenticabili e, ancora, di come il 'meraviglioso giuoco' sopravvisse all'inaudito massacro della Grande Guerra, per divenire fenomeno di massa nella prima, turbolenta, metà degli anni Venti...
Il nome di Giovanni Orcel non figura nei libri di storia della Sicilia più noti e diffusi. Eppure fu un dirigente sindacale (segretario dei metalmeccanici di Palermo) e politico di primo piano, impegnato nello scontro interno al movimento operaio con opportunisti e pseudosocialisti, aperto al dibattito che porterà alla nascita del partito comunista (1921), protagonista dell'azione di affrancamento dei lavoratori e degli strati popolari dal dominio mafioso e attore di esperienze unitarie tra città e campagna, condotte assieme a Nicolò Alongi, altro dirigente dimenticato, e come lui caduto per mano mafiosa nel 1920, quando già si profilava la minaccia fascista. Il libro delinea il contesto socio-politico e ricostruisce la vicenda umana e politica di Orcel con una documentazione inedita, basata sulla stampa dell'epoca e su atti d'archivio che ci offrono un'immagine sconvolgente ma prevedibile dell'inchiesta sull'assassinio, più intesa ad assicurare l'impunità agli assassini che a svelarne e perseguirne le responsabilità, con un armamentario già collaudato e destinato a replicarsi, all'insegna delle omissioni colpevoli e del despistaggio garantito. Come scrive Umberto Santino nel saggio introduttivo, questo lavoro si inserisce pienamente nel quadro dell'attività trentennale del Centro Impastato di Palermo, volta a dare un'immagine adeguata della realtà siciliana, ancora oggi mortificata da rappresentazioni dominate da generalizzazioni e stereotipi.