«Nella nostra anima c'è qualcosa a cui ripugna la vera attenzione molto più violentemente di quanto alla carne ripugni la fatica. Questo qualcosa è molto più vicino al male di quanto lo sia la carne. Ecco perché ogni volta che si presta veramente attenzione si distrugge un po' di male in se stessi. Un quarto d'ora di attenzione così orientata ha lo stesso valore di molte opere buone. L'attenzione consiste nel sospendere il proprio pensiero, nel lasciarlo disponibile, vuoto e permeabile all'oggetto, nel mantenere in se stessi, in prossimità del pensiero ma a un livello inferiore, e senza che vi sia contatto, le diverse conoscenze acquisite che si è costretti a utilizzare. Nei confronti di tutti i pensieri particolari già formati, il pensiero deve essere come un uomo in cima a una montagna che, guardando davanti a sé, al tempo stesso percepisce, pur senza guardarle, molte foreste e pianure sottostanti. E soprattutto il pensiero deve essere vuoto, in attesa, non deve cercare alcunché, ma essere pronto ad accogliere nella sua nuda verità l'oggetto che sta per penetrarvi» (Simone Weil)
Simone Weil è un punto di riferimento e di incrocio tra il pensiero laico, ebraico e cristiano e una delle figure più note della mistica contemporanea. In occasione del 70° anniversario della morte (31 agosto 1943), raccogliamo in questo volume alcune delle sue riflessioni più significative sull’amore di Dio.
«La forma velata dell’amore precede necessariamente la presenza di Dio e, spesso, regna essa sola nell’anima per lungo tempo; per molti, forse fino alla morte. Questo amore velato può attingere a gradi elevatissimi
di purezza e di forza. Ogni forma di cui questo amore è suscettibile, nel momento in cui tocca l’anima, ha la virtù di un sacramento».
L'AUTORE
Simone Weil (Parigi 1909 - Ashford 1943) israelita, fu insegnante di filosofia, fortemente interessata ai problemi sociali, militò nell’estrema sinistra. Lavorò come operaia in vari stabilimenti e partecipò, fin dall’inizio, alla guerra civile spagnola. Lasciò la Francia a causa della persecuzione nazista e, dopo un breve soggiorno negli Stati Uniti, passò a Londra gli ultimi anni della sua vita, militando nelle file della resistenza francese.
"Simone Weil ha convertito molti non cattolici, ha deconvertito molti cattolici": è sufficiente questa affermazione di un noto teologo per testimoniare quale rivoluzionario valore abbia assunto, nel Novecento, un pensiero che si dipana in una piccola costellazione di "libri duri e puri come diamanti, dal lento ritmo incantatorio, dal francese sublime" (secondo le parole di Costina Campo). Una costellazione al centro della quale si colloca "Attesa di Dio", raccolta di scritti - composti fra l'autunno del 1941 e la primavera del 1942 - apparsa postuma nel 1949 per le cure di Joseph-Marie Perrin, l'affabile padre domenicano che fu amico, confidente e destinatario delle sei lettere che, dettate da un ineludibile "bisogno di verità", costituiscono parte essenziale dell'opera.
La riflessione di Simone Weil sul male nella ricerca di un segno nascosto della misericordia di Dio.
Nessun filosofo può sottrarsi al rischio di rimanere preda dei paradossi che arriva a vedere e pensare, al rischio di esplodere in volo un attimo dopo averli sfiorati con le proprie ali. Come Kierkegaard testimonia e come Jean Luc Marion sottolinea "un pensatore senza paradosso è come l'amante senza passione, pura mediocrità". Il pensiero di Simone Weil non può che sottrarsi a qualsiasi sospetto in tal senso: la sua idea di Dio propone paradossi incalzanti cui la sua stessa vita rimase a lungo sospesa e il fatto stesso che per lei Dio possa manifestarsi solo tramite la sua assenza risulta fondamentale per poter comprendere il suo rapporto con la fede cristiana. L'esperienza della sventura ha proprio la prerogativa di rendere "Dio assente per un certo tempo", un tempo in cui, "bisogna che l'anima continui ad amare a vuoto, o almeno a voler amare, seppure con una parte infinitesimale di se stessa. Allora un giorno Dio le si mostrerà e svelerà la bellezza del mondo, come accade a Giobbe". La sventura è per la Weil un dispositivo semplice: raduna tutto il male e lo raccoglie in un unico punto per trasfigurare il dolore di cui l'essere umano è capace in una dimensione impersonale.