A partire da una sofisticata rielaborazione della tradizione politica americana, in cui si fondono tensioni individualiste e istanze comunitarie, il "jeffersoniano" Goodman affronta già alla metà del Novecento alcuni dei problemi cruciali delle società tardo-industriali, gli stessi con i quali facciamo i conti ancora oggi: crisi della democrazia rappresentativa, degrado urbano, marginalizzazione dei giovani, crescita della burocrazia, massificazione di bisogni, consumi e valori, crisi della ragione. E lo fa ricorrendo all'armamentario analitico del pensiero libertario, con soluzioni radicate nel qui e ora basate sul decentramento, la descolarizzazione, la disobbedienza civile, lo sviluppo della personalità, il potenziamento dei valori comunitari, la sperimentazione sessuale e familiare... Una miscela esplosiva che combina slancio utopico e progettualità pratica per rimodellare dal basso e in modo nonviolento la società.
A metà Ottocento il filosofo inglese John Stuart Mill (1806-1873), esponente della tradizione liberale, si era impegnato, in un dialogo con l'intellighenzia francese di tale orientamento (per esempio con Alexis de Tocqueville), nell'analisi dell'allora giovane democrazia americana, nei suoi presupposti filosofico-culturali come nella sua struttura di governo, alla ricerca di una chiave per comprenderne la specificità rispetto ai paesi europei. In svariati interventi Mill ha evidenziato la relazione tra religione e identità nazionale, la tendenza al decentramento politico, la preoccupazione per la libertà personale, i rischi impliciti nella "dittatura della maggioranza".