«Siccome l’importanza della Sacra Scrittura è di essere per gli uomini un interprete del divino e la sua esigenza è di voler insegnare al credente tutto dall’inizio, è ovvio che i suoi termini ed espressioni risuonino ripetutamente nei luoghi sacri. Ma pure nei discorsi quotidiani e profani si ode talvolta un’espressione biblica che dal sacro si è smarrita nel mondo – smarrita perché il modo in cui viene usata mostra a sufficienza che non ha lasciato volontariamente casa sua, bensì che è stata rapita. Chi la impiega non è commosso dall’espressione biblica, non risale indietro col pensiero per trovare il suo luogo serio nel contesto sacro, non atterrisce all’idea che è un sacrilegio usare in questo modo l’espressione anche se l’uso, lungi dall’essere un’impudenza, è agli occhi degli uomini soltanto una leggerezza perdonabile». Questo incipit di uno dei discorsi edificanti vale anche per gli altri diciassette pubblicati da Soren Kierkegaard a suo nome tra il 1843 e il 1844 – qui per la prima volta tutti tradotti in italiano –; e ancor più vale quanto posto in premessa a spiegazione del titolo: «Discorsi, non prediche, poiché il suo autore non ha autorità per predicare; Discorsi edificanti, non discorsi di edificazione, poiché il parlante non presume affatto di essere maestro». Con questo spirito Kierkegaard, il quale si era prefisso nella vita «una cosa sola, rendere attenti alla dimensione cristiana», li compose in controcanto alle contemporanee opere pseudonime – le celebri Enten - Eller, Timore e tremore, Il concetto di angoscia, per citarne alcune –, che vengono così illuminate di luce nuova.
L'occasione dello scritto qui reso in italiano con il titolo "La nostra epoca" fu l'uscita, nel 1845, della novella anonima "Due epoche", verso la quale Kierkegaard mostrò interesse letterario. Parallelamente alla stesura della Postilla conclusiva non-scientifica alle "Briciole filosofiche", iniziò a scriverne una recensione nel 1846, pubblicandola poi accresciuta di una riflessione conclusiva dove abbandona la finzione letteraria per la realtà, la critica estetica per la filosofia politica, e il riferimento alla novella per privilegiare il tempo storico. Un testo, successivamente ripreso in Germania con il titolo "Kritik der Gegenwart" (1914), che rappresenta una profetica analisi dell'età moderna, e pare destinato a essere un seme fecondo non solo per la Kierkegaard-Renaissance ma per la stessa cultura europea.
Parigi, settembre 1920. Il «Mercure de France» pubblica un saggio sulla natura del bolscevismo dalle conclusioni sorprendenti: il movimento alla guida di una delle esperienze politiche che segneranno il ventesimo secolo, la Rivoluzione russa, viene giudicato idealista, brutale, parassitario e, soprattutto, reazionario. Oggi, a un secolo da quegli avvenimenti, presentiamo la prima traduzione completa del suo testo, finora inedito nella nostra lingua, preceduto da un'ampia introduzione di Dario Borso. «I monarchi uccisero la monarchia, i democratici uccisero la democrazia, in Russia i socialisti e i rivoluzionari uccidono, e hanno già quasi ucciso il socialismo e la rivoluzione. Che cosa avverrà dopo? Il periodo di accecamento è finito, il Signore in corruccio ha smesso di stregare gli uomini? O abbiamo ancora da vivere a lungo nell'antagonismo reciproco, continuando l'opera orrenda di autodistruzione?».