Con la forza del mito, così Rudolf Steiner interpretava la metastoria di Caino e Abele. Abele era il prediletto di Dio, offriva in sacrificio animali, cioè qualcosa che già vive, in cui vi è già la vita. Caino offriva i frutti della terra, il frutto del suo duro lavoro, creando in qualche modo il "vivente dal non vivente". "Abele era un pastore: si dedicava alla vita che già c'era. È il simbolo della forza divina ereditata che nell'uomo agisce come saggezza, che non conquista da solo, ma che fluisce in lui. Caino crea il nuovo da ciò che l'ambiente gli offre". Da una parte chi ascolta, guarda, riceve quello che lo circonda, dall'altra chi è attivo, chi produce. "Abele [...] accoglie l'elemento divino che lo compenetra, che fluisce nelle sue intenzioni, e tutto questo è simboleggiato dal suo essere 'guardiano' [...] che nutre e cura la vita, come l'intuizione cura la vita della sapienza divina. Caino ha la sapienza maschile che accoglie dall'esterno, che si occupa del suolo per coltivarlo. La materia è all'esterno e lui diventa il 'coltivatore dei campi'". I suoi doni hanno richiesto l''Arte Reale', il sapere, la saggezza dell'uomo. La chiesa cattolica, la casta sacerdotale, è della stirpe di Abele. La Massoneria, come società iniziatica che raccoglie e forma 'artigiani', 'operai', come Hiram, come Tubalcain, è di quella di Caino. Chi sa e chi ricerca. La fede e la filosofia. La Mystìca Aeterna era la Loggia di Steiner di cui proponiamo i rituali in prima edizione italiana. Steiner aderì infatti al Memphis Misraim per circa nove anni e ne fu addirittura a capo, in Germania, raccogliendo attorno a sé seicento 'fratelli'. Un'avventura della coscienza che, in tre gradi, si rischiara finalmente Spirito.
Il Barone Tschoudy, allievo a Napoli di Raimondo Di Sangro, Principe di Sansevero e Maestro Venerabile della sua Loggia, la «Perfetta Unione», non aveva dubbi: la Massoneria era una via alchemica per il compimento della Grande Opera. Nella prima metà del Settecento si fece questo, e forse per la prima volta: si affiancò alla successione di gradi massonici il lavoro operativo, senza il quale la Massoneria rischia di diventare un contenitore vuoto. Questi "Rituali alchemici", tratti da un manoscritto del 1766, ci danno un'idea di questa grande stagione in cui nelle logge si faceva vivere la 'scienza integrale', un sapere filosofico dove potevano incontrarsi senza contraddirsi religione, arte e scienza.
La storia più bella dell'umanità è quella del suo farsi. Il diventare altro-da-sé. Bédarride continua in questo secondo (e ultimo) volume il suo kolossal dello Spirito, dove tutti sono attori e dove gli spettatori sono al centro dell'agire. Alla conquista (definitiva) dell'archetipo eterno che tutto comprende.
C'è qualcosa di folle che attraversa la storia dell'uomo, l'idea che ci sia qualcosa dietro la storia, che possiamo dare un nome alle cose ma che c'è qualcosa dietro le cose, che continuerà a sfuggirci. Si dice che esista una "pietra" che ha il potere di mettere tutto in discussione, e l'errore degli alchimisti è stato proprio quello di cercarla. Perché il paradosso è che più la si cerca più si allontana l'oggetto della ricerca. Una rivoluzione che parte dal linguaggio, perché anche il linguaggio presuppone ci sia un soggetto e un oggetto, un "homo faber", un "artigiano", e una "cosa" da fare. L'"Opus chemicum" ci dice e dà un metodo, ma è quello che potremo davvero fare nostro dopo aver capito che ricercatore, ricerca e cosa ricercata sono la stessa cosa. Postfazione di Gabriele La Porta ed Egidio Senatore.