Senso della miseria e saggezza fanno dei versi di Orazio un classico, la cui memoria è contesa fra "classicisti" e "romantici". A tali schieramenti non può, però, ridursi: nelle Odi (30-13a.C.) Orazio consegna a Roma un'opera degna dei Greci, in cui modelli di poesia ellenica sono armonizzati con il mondo dell'età augustea. Letture discordanti ne riflettono piuttosto la polimorfa poetica: cantare l'immagine pubblica della potenza di Roma ma coglierne anche la sfera privata, perlustrando l'enigma del tempo e della fragilità umana. Sono forse questi i temi, perenni come il fluire della storia, che consentono di afferrare l'invito del cantore del carpe diem ad appropriassi del presente.