“Montesquieu fu uno dei pochi pensatori del suo tempo a cogliere una delle caratteristiche centrali della storia morale dell'umanità, ossia il fatto che i fini perseguiti dagli uomini sono molteplici e svariati, e spesso reciprocamente incompatibili. (...) Egli capì inoltre che, data l'enorme varietà delle situazioni, e l'estrema complessità e multiformità dei casi particolari, nessun singolo sistema morale, e a maggior ragione nessuna singola meta morale o politica, poteva fornire la soluzione universale di tutti i problemi umani ovunque e in ogni tempo. Il tentativo di imporre siffatti sistemi, non importa quanto degni e nobili e quanto largamente creduti, sfocia immancabilmente nella persecuzione e nella privazione della libertà. (...) Sono davvero libere soltanto quelle società che vivono in uno stato di 'agitazione', di equilibrio instabile, e i cui membri hanno la facoltà di perseguire - di scegliere tra - una varietà di fini o mete. (...) Montesquieu non era un relativista riguardo alla verità. Insieme con gli spiriti più illuminati del suo tempo, credeva nella possibilità di scoprire la verità oggettiva, in tutti i campi. Ma, a un livello ancor più profondo, era convinto che le società che non accordano la libertà di scegliere tra ideali diversi - fatte salve le debite precauzioni contro la guerra aperta tra i rispettivi partigiani - fossero inevitabilmente destinate a decadere e a perire. Quest'avversione all'imposizione di qualunque ortodossia, indipendentemente dalla posta in gioco e da quanto elevati e venerati siano gli ideali dei suoi fautori, distingue Montesquieu dai teologi come dagli atei, dai radicali idealisti come dagli autoritari della sua - e della nostra - epoca. (...) Nel fare le leggi bisogna soprattutto avere il senso, che soltanto l'esperienza o la storia possono affinare, di che cosa si accorda con che cosa: i rapporti delle leggi con la natura umana e le istituzioni umane nella loro interazione con la coscienza degli uomini sono infatti enormemente complessi, ed è impossibile calcolarli mediante sistemi semplici e nitidi: regole atemporali, rigidamente imposte, sfoceranno sempre nel sangue. Nonostante le sue concezioni aprioristiche dei princìpi interni della crescita sociale e della giustizia assoluta vista come una relazione eterna esistente in natura, Montesquieu emerge come un empirista molto più autentico, riguardo tanto ai mezzi quanto ai fini, di d'Holbach o di Helvétius o perfino di Bentham, per tacere di Rousseau o di Marx.” (Isaiah Berlin)
Il volume contiene una nuova traduzione, riccamente annotata e con il testo originale a fronte, di tutte le opere che Montesquieu diede alle stampe durante la sua vita. Vale a dire: le Lettres persones (1721), il Tempie de Guide (1725), le Considérations sur les causes de la grandeur des Bomains et de lem décadence (1734), il Dialogue de Svila et d'Eucratc (1745), l'Esprit des lois (1748), la Défense de l'Esprit des lois (1750) e il Lysimaque (1754).
Il "Dizionario filosofico", di cui si offre al lettore italiano la prima traduzione integrale, raccoglie tutte le voci che compongono le "opere alfabetiche" di Voltaire: il "Dictionnaire philosophique portatif", le "Questions sur l'Encyclopédie", nonché le voci con cui contribuì all'impresa enciclopedica di Diderot e d'Alembert, alcuni lemmi destinati al "Dictionnaire de l'Académie française", e numerosi altri brevi testi, pubblicati sparsamente nel corso della sua vita (o rimasti inediti alla sua morte). Nelle centinaia di voci di varia lunghezza e consistenza che lo costituiscono si trova (o, piuttosto, si ritrova) la maggior parte delle idee che Voltaire ha meditato, soppesato, discusso, contestato, rimuginato per più di cinquant'anni, disseminandole in un'infinità di scritti di ogni genere: dalla teologia all'economia politica, dalla filosofia del diritto alla critica biblica, dall'astronomia alla metafisica, dalla geografia alla morale, Voltaire passa in rassegna tutti gli argomenti, teorie e dottrine che alimentarono il dibattito intellettuale del suo secolo, e su cui ritenne di non potersi esimere dall'esprimere la propria opinione. Egli stesso, nel 1760, presentava il "Dictionnaire philosophique portatif" come un "resoconto che rendo a me stesso, seguendo l'ordine alfabetico, di tutto ciò che devo pensare su questo mondo e sull'altro, il tutto a uso mio e, forse, dopo che sarò morto, delle persone perbene".
"Come nella musica della lira e dei flauti e nello stesso canto vocale occorre mantenere un'armonia tra suoni distinti, la cui monotonia o dissonanza non può essere sopportata da orecchie esperte, e questa armonia è resa appunto concorde e regolare per l'accordo di suoni estremamente differenti, così con l'intreccio delle classi superiori e medie ed infime secondo un criterio di contemperamento la città armoniosamente risuona dell'accordo di differenti suoni; e quella che dai musici è chiamata armonia nel canto, quella è, nella città, la concordia, garanzia solidissima ed ottima di integrità in ogni Stato, la quale non può sussistere a nessun patto senza la giustizia". (Cicerone, De re publica, II 69).