Bastarono poche stagioni di frenesia creativa, prima della morte a venticinque anni, per fare di John Keats il poeta romantico per eccellenza: un giovane in continuo fermento e in costante trasformazione, immerso nel labirinto del proprio tirocinio poetico, con una mente assetata di grandezza e bellezza, logorata da un inafferrabile languore esistenziale e sempre pronta all'intuizione folgorante. Ma chi era il vero John Keats? Per scoprire la fisionomia che si celava dietro la maschera dei versi, indispensabile è il suo esuberante epistolario, crogiolo di prosa e versi estemporanei, idee filosofiche e teorie poetiche, in cui Keats riversa sogni, speranze, delusioni, paure, frustrazioni, amori e gelosie, con irreprimibile spontaneità. Dal tono scanzonato del diario di viaggio nel Nord dell'Inghilterra e in Scozia alle note ardenti e tormentose della corrispondenza con Fanny Brawne, dalle lunghe missive affettuose al fratello George e alla cognata oltreoceano a quelle briose e colloquiali indirizzate a gli amici più cari e a poeti come Hunt e Shelley: sempre affiora e si espande una personalità complessa e insofferente, spesso geniale - e votata all'infinito: «Ciò che penso dell'amore ritengo infatti sia valido per tutte le nostre passioni: nella loro forma più sublime, sono tutte creatrici di bellezza assoluta». Questo volume offre la più ampia scelta delle lettere di John Keats (Londra, 1795-Roma, 1821) mai pubblicata in Italia, ed è corredato da accurate, illuminanti note di commento.
In questa ultima raccolta di Auden, scritta nel 1972 e uscita postuma due anni più tardi, il poeta creatore della poesia degli anni Trenta, passato per la Germania agli albori del nazismo, la Spagna della guerra civile e la Cina in fermento, quasi fuggito oltreoceano alla vigilia della seconda guerra mondiale, diventato cittadino americano e convertitosi al cristianesimo, pendolare poi per tante stagioni fra Ischia e gli Stati Uniti, residente a lungo in Austria -, torna a quella Oxford da dove era partito. E qui il vecchio Narciso, "finalmente libero dalla brama di altri corpi", con le sue carni ormai "quasi femminili", ringrazia anzitutto la Nebbia - "Sorella immacolata" dello Smog (conosciuto fin troppo bene a New York), "acerrima nemica della fretta" -, che dal suo cottage del Christ Church College ha avuto modo di riscoprire, apprezzandone di nuovo l'ovattata bellezza; scrive albate e notturni per gli amici, un discorso agli animali e un'ode al diencefalo, usa con disinvoltura sovrana metri, rime, misure, strofe e schemi d'ogni forma e sorta, parole desuete e tecnicismi, toni, registri e accenti i più disparati. Poi torna a ringraziare i poeti suoi maestri nell'arco di una vita: Hardy, Frost, Yeats, Graves, Brecht, per terminare con Grazio e Goethe.