Tra cielo e terra: siamo "framezzo". Si insinua insistente la tentazione di vivere su questa strada come se fossimo in patria, ma siamo ancora in viaggio. Quando ci sembra di sprofondare nell'abisso del non senso, quando lo sconforto toglie la gioia del respiro, proprio allora la preghiera si fa «santa» perché finalmente non «pretendiamo» più né questo né quello, ma invochiamo lo splendore della Parola.
L'Altissimo non disdegna il nostro incedere faticoso.
Impariamo l'esistenza procedendo come chi non vede, con esitante toccare (At I7,27). Ma nell'Amore eternamente antico e nuovo, i passi incerti si trasfigurano in movenze di danza: avanti, indietro e di lato, in ritmo fiducioso; e le nostre pagine incompiute divengono tessere di un mosaico il cui disegno è lassù. Non c'è bisogno di correre con affanno, non di gridare. La Verità è praeexistens e come il Sole a tutti si dona sovrabbondante, se appena apriamo gli occhi.
Agli sfiduciati che si sentono precipitare nell'abisso del non-senso ricorderemo che hanno invece raggiunto il «momento opportuno» perché il cuore invochi: abyssus Abyssum invocat (Sal 42,8). Comprenderemo che la profezia è data non come ai pagani, non laccio di fuorvianti divinazioni, ma guida per il nostro oggi, lume per decidere il presente.