La depressione è il disturbo mentale più diffuso al mondo e i suoi esiti possono essere molto gravi, comportando disabilità e suicidio. Solo in Italia colpisce quasi 3 milioni di persone ed è un'importante causa di morte tra i giovani. L'approccio cognitivista lavora da sempre per sviluppare trattamenti psicoterapeutici efficaci sia per l'acuzie sia per le ricadute depressive, e per ampliare l'accessibilità della cura a un numero sempre maggiore di persone sofferenti. Negli ultimi anni la terapia cognitivo comportamentale si è arricchita di nuovi sviluppi e protocolli da integrare per aumentarne l'efficacia, soprattutto nella cura della ricorrenza depressiva. Questo manuale, scritto da professionisti che da vent'anni collaborano allo studio dei disturbi depressivi, ha un duplice obiettivo: da un lato descrivere la psicoterapia cognitiva dell'acuzie depressiva e della ricorrenza, dall'approccio standard CBT agli sviluppi più recenti; dall'altro, presentare un modello cognitivista di comprensione del disturbo e della sua cura, basato su rappresentazioni e scopi perseguiti dalla persona. La mente depressa si blocca nella reazione depressiva e non procede nel doloroso processo che partendo dalla perdita o dal fallimento arriva all'accettazione. Non rinuncia al bene o all'obiettivo irrimediabilmente perduti ma, assumendo che non ci sia speranza di recuperarli, non fa niente per riaverli indietro, cerca solo di "perderli il meno possibile". La cura integra la CBT con le strategie di ultima generazione, e mira a sbloccare e ad aiutare il naturale decorso della reazione depressiva, in un lavoro, dunque, in cui l'accettazione è sia strategia sia mèta della psicoterapia.
L'approccio cognitivista descrive la mente come un sistema di scopi e conoscenze che regolano sia le reazioni emotive, sia l'attività mentale, sia la condotta individuale. Così, anche i sintomi psicopatologici, nella maggior parte dei casi, possono essere considerati espressione di attività finalizzate al raggiungimento di un obiettivo, al pari di qualsiasi altra attività. Il manuale riunisce i contributi di psicoterapeuti che da anni si occupano di psicopatologia infantile e utilizzano l'approccio cognitivo comportamentale nella formulazione del caso e nella pianificazione dell'intervento. Gli autori considerano anche eventuali spiegazioni legate all'espressione di un danno neurale o alla conseguenza di un deficit cognitivo e fondano il proprio intervento su alcuni punti salienti: la consapevolezza che le difficoltà psicopatologiche dell'infanzia e dell'adolescenza debbano essere inquadrate in una prospettiva temporale comprendente la fase di sviluppo che il soggetto sta attraversando e il percorso evolutivo del processo psicopatologico; l'importanza dell'individuazione dei meccanismi di mantenimento ovvero di quei processi ricorsivi di aggravamento e di cronicizzazione della sofferenza psicopatologica; la rilevanza che assumono le esperienze di attaccamento e la storia di vita del soggetto, elementi utili a comprendere i fattori di vulnerabilità individuale; il coinvolgimento dei genitori nel processo terapeutico e l'importanza dell'intervento su più setting contemporaneamente.
Il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) comporta profonde sofferenze e gravi difficoltà esistenziali e relazionali, inizia in età precoce e tende a cronicizzare, compromettendo l'intera esistenza. In Italia ne soffre circa un milione di persone, e costituisce quindi un importante problema sanitario: la psicoterapia, in particolare la terapia cognitivo-comportamentale, è di efficacia dimostrata e complessivamente più risolutiva degli psicofarmaci. Questo volume, scritto da professionisti che da vent'anni collaborano allo studio e alla terapia del disturbo ossessivo-compulsivo, presenta un modello di comprensione del disturbo e della sua cura ben definito e fondato sui risultati della ricerca sperimentale. La lettura è strettamente cognitivista, basata sui concetti di rappresentazione e scopo. Il DOC consiste fondamentalmente nei tentativi di prevenire o neutralizzare una colpa che, a causa di esperienze infantili, è rappresentata come catastrofica. Tali tentativi generano, al di là delle intenzioni della persona, conseguenze intrapsichiche e interpersonali che mantengono e aggravano il disturbo stesso. La cura utilizza come strategia principale l'accettazione dei rischi percepiti dalla persona e la riduzione della sua vulnerabilità al senso di colpa.
Gli oggetti che possediamo rappresentano parte di noi e della nostra storia. Tutti abbiamo cose da cui troviamo difficile separarci, anche se non hanno nessun valore intrinseco, per esempio il primo quaderno di scuola, la T-shirt autografata dal nostro cantante preferito, la prima edizione di un libro che amiamo. Per la maggior parte di noi questo speciale attaccamento riguarda solo pochi oggetti e non crea nessun problema. Per alcune persone, invece, l'attaccamento agli oggetti diventa un vero disturbo mentale: buttare è così difficile che continuano ad accumulare cose di nessun valore anche quando questo compromette la qualità della vita, la vivibilità della casa, i rapporti con gli altri. Dal 2013 l'accumulo patologico è stato riconosciuto come disturbo autonomo e inserito con il nome di "disturbo da accumulo" nel DSM-5. Si tratta di un disturbo molto diffuso: ne soffre tra il 2 e il 5 per cento della popolazione. La definizione di una nuova categoria diagnostica pone i clinici davanti alla necessità di approfondirne la conoscenza e mettere a punto le più efficaci strategie di trattamento. Il volume è rivolto a tutti coloro che si occupano di salute mentale, ma si presta anche a essere letto da chi semplicemente vuole comprendere meglio il disturbo (i soggetti che ne soffrono o i loro parenti).
Dalla filosofia alla teologia, l'interesse nei confronti del perdono attraversa ambiti differenti. Solo di recente però si è affrontato il tema del perdono in una prospettiva psicologica e psicoterapeutica, evidenziandone le potenzialità curative. Si pone un problema fondamentale, quello della definizione condivisa del costrutto: cos'è il perdono? Se una vittima non prova più rabbia e non intende vendicarsi, significa che ha perdonato? È davvero sempre possibile passare dallo stato emotivo-cognitivo-comportamentale della vendetta a quello del perdono? Quali sono i fattori che ostacolano il processo? E quelli che lo facilitano? Esistono situazioni in cui il perdono è psicologicamente impossibile? È sempre utile perdonare? Può avere la pratica del perdono applicazioni di natura clinica? In questo volume, studiosi di differenti discipline affrontano per la prima volta il tema del perdono, del perdono di sé, della rabbia, della vendetta in ambito psicologico e psicoterapeutico. Sono messe in evidenza le potenzialità curative del perdono, contribuendo alla comprensione di un processo che permea in modo così significativo molti aspetti dell'esistenza umana. Contributi di Viviana Balestrini, Barbara Barcaccia, Cristiano Castelfranchi, Alessandro Couyoumdjian, Valentina D'Urso, Antonio Malo, Francesco Mancini, Maria Miceli, Francesca Giorgia Paleari, Sara Pelucchi, Nicola Petrocchi, Angelo Maria Saliani. Prefazione di Robert Enright.