Gli scritti contenuti nel presente volume, vale a dire la Risposta al finto Eusebio cristiano, Le nozioni di peccato e di colpa (parte prima), Sulla definizione della legge morale, Sulla teoria dell'essere ideale e Le nozioni di peccato e di colpa (parte seconda), vennero composti da Rosmini tra gli anni 1841-1843. In questi scritti i temi fondamentali del Trattato della coscienza morale vengono riconsiderati e difesi dagli attacchi dei suoi detrattori; non si dimentichi, infatti, che dalla pubblicazione del Trattato, avvenuta nei primi mesi del 1840, cominciò ad imbastirsi una dura polemica nei riguardi di alcune posizioni rosminiane, la quale col tempo si venne intensificando, sino a coinvolgere teologi, moralisti, cardinali e papi.
Nel 1834 vengono pubblicati, con il titolo Frammenti di una storia della empietà due saggi incentrati sullo studio critico delle posizioni di Benjamin Constant e dei Sansimoniani in materia di religione. In essi Rosmini analizza il proliferare di seducenti e apparentemente nuove dottrine religiose provenienti dalla Francia, tendenzialmente anticattoliche, che portavano il germe pericolosissimo dell'eresia, e presentavano, pur sotto la maschera di concetti ormai di moda, quali quelli dell'eguaglianza, della fratellanza e della libertà, innegabili vizi riconducibili ad una più che conclamata gnosi spuria. Rosmini, che pur non ebbe mai il timore di leggere scritti di autori affiliati alla massoneria, che proliferavano in quegli anni, era convinto che servisse mettere ben in chiaro dove si nascondesse l'empietà degli asserti sostenuti da costoro. Molte delle teorie elaborate in questo clima, infatti, si concentravano sulla proposta di una presunta "nuova visione religiosa", che avrebbe dovuto soppiantare il Cristianesimo e, in modo particolare, il Cattolicesimo, presentato dai suoi nemici come ingombrante, inutile e contrario al progresso dell'intera umanità.
Perché fra le opere rosminiane trova posto uno scritto di un altro autore? Perché, la risposta è del padre rosminiano Cirillo Bergamaschi, «è vero che l’opera non è di Rosmini, (…) ma le annotazioni rosminiane contenute nel testo valgono forse più dell’opera stessa e meritano di essere pubblicate così come sono. (…)». Questi preziosi interventi rosminiani, infatti, oltre a correggere alcune imprecisioni teoretiche, teologiche ed ermeneutiche presenti nell’opera, risultano per noi utilissimi al fine di comprendere il modus operandi di Rosmini nella cura di un’opera non sua.