La pubblicazione del seminario "La vie la mort", tenuto da Jacques Derrida tra il 1975 e il 1976, potrebbe segnare in maniera decisiva l'interpretazione dell'intera opera del filosofo franco-algerino. Derrida vi affronta la decostruzione dell'opposizione tra la vita e la morte quale matrice che orienta e struttura la tradizione del pensiero Occidentale in chiave metafisica. È infatti in questa prospettiva che si muove, fin dal titolo, in cui, tra "la vita" e "la morte", non vi è alcun segno di congiunzione, o di altra articolazione, che potrebbe implicitamente ratificare la distinzione e quindi l'opposizione tra due termini presupposti come di per sé autonomi e l'uno dall'altro indipendenti. Tuttavia, Derrida non si limita a decostruire la tradizione della cosiddetta «filosofia della vita», fino ad affrontare la questione del cosiddetto «biologismo» di Nietzsche, attraverso la lettura di Heidegger; in questo seminario, Derrida si confronta per la prima e unica volta con il discorso scientifico e in particolare con "La logica del vivente" (1970) di François Jacob.
Questo libro presenta i principali concetti elaborati da Bernard Stiegler nell'arco della sua intensa e provocante attività di ricerca. Il filosofo francese legge la realtà e la soggettività contemporanee monitorando il ruolo delle tecnologie, che, attingendo a una metafora già usata da Platone e da Derrida con riferimento alla scrittura, non esita a definire pharmakon (rimedio e, a un tempo, veleno). Un'analisi a tutto campo e radicale, in grado di articolare un'originale e impegnata comprensione critica dell'ambiente tecnologico nel quale siamo immersi. Paolo Vignola e Francesco Vitale, accreditati studiosi di Stiegler in Italia, accompagnano il lettore all'approfondimento di una delle voci più interessanti del panorama intellettuale contemporaneo.
Nel presente saggio l'autore sonda le fondamenta della costruzione kantiana della "Critica del giudizio" scritta per gettare un ponte sull'abisso che separa natura e libertà. La produttività libera e spontanea dell'artista, eguale a quella di Dio, in tanto eleva l'uomo, in quanto appunto sacrifica la natura, la condizione irriducibile della sua finitezza.