Un nuovo libro che faccia l'apologia della pace non serve. Serve, e molto, ogni contributo che aiuti lo sviluppo del pensiero critico intorno a una sfida radicale per tutta l'umanità, in merito alla quale si addensano tradizionalmente pregiudizi, forme di stupidità, trivialità, discorsi interessati e parole dette in malafede. Dare un contributo di questo tipo è lo scopo di queste pagine scritte da due autori con competenze diverse, ma qui accomunati nel tentativo di offrire spunti di meditazione che vadano oltre l'esistente. Possono venire alla luce un'esistenza, una società e una storia che si svolgano nella libertà dal principio di potere e di guerra? «Da parte nostra», scrivono gli autori, «la risposta non può che essere positiva, ma potrà esserlo solo se si accetta il rischio di pensare altrimenti, superando i luoghi comuni del pensiero convenzionale e facendo nostro il valore essenziale della responsabilità». Dichiarare impossibile la pace è già un gesto che equivale ad abdicare alla nostra umanità. Non esiste una posizione asettica. Il tipo di pensiero che sviluppiamo è inscritto nel nostro modo di esercitare la responsabilità storica per la condizione dell'umanità e del pianeta. Più si accetta questa responsabilità con coraggio e fedeltà e più si riesce a cogliere la verità della pace.
"Il libro offre una contestualizzazione storica e culturale del rapporto tra Chiesa e mondo del lavoro, specie industriale, negli anni del post Concilio, focalizzando l'esperienza peculiare dei preti operai in fabbrica e raccogliendo la testimonianza di molti di loro, impegnati in un'opera di evangelizzazione audace e spesso non compresa nella Chiesa stessa. I testi pubblicati in questo volume danno la possibilità di conoscere la rappresentazione che alcuni preti operai torinesi hanno dato di se stessi e della comune esperienza vissuta dalla fine degli anni Sessanta e continuata anche dopo il termine del periodo di lavoro manuale. Sono pagine scritte in epoche diverse, ma che, pur nella loro disomogeneità, offrono uno spaccato di una vicenda per molti versi discussa e lacerante. Quegli «spezzoni di chiesa in classe operaia», di cui i preti operai torinesi si sentivano parte, hanno segnato la storia del cristianesimo in epoca contemporanea, a Torino in modo particolare, in alcuni casi molto più di quanto all'epoca fosse percepito dagli stessi protagonisti. L'«antico sogno nuovo» di una comunità cristiana non più padrona, ma serva, ai margini del potere perché centrata sul Vangelo, povera e per questo libera, ha trovato nell'esperienza dei preti operai un tentativo di realizzazione. Le contraddizioni e le tensioni sono costitutive di quella storia che, attraverso l'opera di recupero della memoria raccolta in questo libro, è in parte restituita ai lettori di oggi". (Marta Margotti). Prefazione Cesare Nosiglia.
Quando uscì nel 1997, Homo videns di Giovanni Sartori suscitò un ampio dibattito sull'onda delle preoccupazioni causate dalla nuova configurazione del sistema mediatico. La televisione aveva realizzato il suo processo di egemonizzazione del contesto comunicativo, mettendo in secondo piano o ai margini gli altri media. Si parlava di videocrazia, di un'invasività della presenza dell'immagine televisiva in grado di condizionare o addirittura cancellare ogni altra esperienza. La radicalità della tesi sartoriana ha suscitato consensi e critiche, ma ancora oggi, a oltre vent'anni di distanza, Homo videns offre spunti di riflessione sui principi a cui le tecniche e le pratiche giornalistiche si ispirano e sulle ricadute che producono sulla società. Da tempo, il grande strumento di comunicazione in grado di incidere sull'opinione pubblica non è più la televisione, ma la Rete. Le riflessioni di Sartori si possono tuttavia estendere ai media che l'hanno sostituita in quel ruolo egemone e pervasivo? Per verificarlo, le analisi esposte in Homo videns sono state qui sottoposte alla rilettura di prestigiosi giornalisti e intellettuali (Luciano Fontana, Peter Gomez, Giuseppe Laterza, Venanzio Postiglione, Barbara Stefanelli, Sergio Romano), che in queste pagine fanno luce sui rapporti tra media e società contemporanea.
L'ideale apostolico di Daniele Comboni rivive oggi nei due Istituti da lui fondati, i Missionari Comboniani e le Suore Missionarie Comboniane (Pie Madri della Nigrizia), e nei due sorti in epoca recente, le Missionarie Secolari Comboniane e i Laici Missionari Comboniani: in tutto oltre tremila uomini e donne consacrati all'animazione missionaria e all'evangelizzazione e promozione umana dei «più poveri ed abbandonati» in una quarantina di paesi d'Africa, delle Americhe, dell'Asia e dell'Europa. A questi tremila e più missionari si deve aggiungere il notevole numero di parenti e amici, sostenitori e zelatori, che mutuano da Comboni l'amore e l'interesse per le missioni. Tutti assieme formano quel movimento missionario, con la partecipazione attiva dei laici, che Comboni stesso aveva sognato e in parte realizzato durante la sua vita.
Il 10 ottobre 1941, nel corso della Conferenza di Praga voluta da Reinhard Heydrich, Reichsprotektor di Boemia e Moravia, i nazisti istituiscono il ghetto di Terezín, che con il tempo verrà a costituirsi quale «laboratorio diabolico» a servizio della propaganda di regime. Nei quattro anni di funzionamento vengono internate circa 140.000 persone, tra loro 15.000 bambini. Al momento della liberazione gli adulti sopravvissuti sono 3800, i bambini 142. Nel «ghetto modello» creato dai nazisti si tengono 2430 conferenze, 600 spettacoli teatrali e musicali e si allestiscono i laboratori d'arte per bambini. Leggere l'universo Terezín, definito «fucina di cultura» da Chaim Potok, significa conoscere una realtà di fame, violenza, morte e orrore, ma soprattutto riscoprire la forza vitale della dignità umana, della cultura come valore, dell'educazione come responsabilità.
"Nessuno avrebbe potuto immaginare che così poco tempo dopo la sua nascita, Vatican Insider - il portale multilingue de "La Stampa" dedicato all'informazione sul papa e la Santa Sede, ma anche sulla Chiesa nel mondo e più in generale sulle religioni - divenisse oggetto di studio. Il nostro tentativo è stato quello di proporre buona informazione sul Vaticano, in un'epoca in cui le informazioni si moltiplicano, grazie a siti e blog, ma non sempre a questa sovrabbondanza di offerta corrisponde altrettanta qualità. Vatican Insider è una realtà piccola, ma tutt'oggi unica nel panorama mediatico internazionale. Abbiamo vissuto anni cruciali per la vita e la storia della Chiesa. Nessuno poteva immaginare, quando siamo nati, che avremmo dovuto documentare la prima rinuncia per vecchiaia di un papa in duemila anni. Nessuno poteva immaginare che dopo questa rinuncia sarebbe stato eletto il primo vescovo di Roma proveniente dall'America Latina, che con la sua attività sta dando molto lavoro ai giornalisti. Che tra le tante voci esistenti ci sia stata anche quella di Vatican Insider, dei suoi articoli, delle sue analisi, dei suoi reportage durante i viaggi papali o dai luoghi più sperduti dove i cristiani vivono esperienze belle o meno belle, dove vengono perseguitati, o dove nascono insperate esperienze positive di convivenza tra fedi e culture diverse, è un fatto certamente positivo e incoraggiante." (Dalla Introduzione di Andrea Tornielli)
La maggior parte degli studi sulla storia della Sindone si pone soprattutto il problema della sua autenticità. L'autore di questo libro, in oltre trent'anni di ricerca, ha dato il via a una nuova corrente di studi sul Telo custodito a Torino, che pone la ricerca storica in un'altra prospettiva: ricostruire, attraverso le testimonianze documentali, il valore e il significato che la Sindone ha avuto per uomini e comunità nei diversi contesti storici, sociali e culturali attraversati. Un approccio innovativo per comprendere il valore che ha avuto e ha l'immagine impressa sul Lenzuolo, con il suo rimando immediato e ineludibile a Gesù Cristo. "Le vicende della Sindone vengono lette e interpretate studiando il ruolo che la Sindone ha rivestito nei confronti degli uomini che nel tempo ne sono venuti a contatto." (Dalla presentazione del card. Christoph Schönborn)
Come possono due persone, quasi della stessa età, con formazione simile e con lo stesso interesse professionale per la scienza, approdare a posizioni divergenti riguardo al mistero che precede la scienza stessa, cioè l’origine e l’esistenza del cosmo e di noi stessi?
Per rispondere a questa sorta di “giallo filosofico”, i due autori hanno sviluppato in queste pagine un dialogo serrato sugli aspetti principali della religione, senza la pretesa di porre fine a questioni secolari, ma con l’intento di meglio definire e comprendere le reciproche posizioni.
Pur partendo da prospettive opposte (cristiano l’uno, agnostico l’altro), infatti, attraverso il dialogo – come ci hanno mostrato Platone e Galileo – si possono scoprire nuove vie di accesso alla verità filosofica o scientifica.
Anche noi, come il Sigismondo di Calderón de la Barca, ci troviamo a vivere in un mondo complesso e inspiegabile, meraviglioso e terribile, che ci apre a mille interrogativi.
Senza i tre quarti del pianeta ricoperto dal mare probabilmente nessuno di noi esisterebbe, ma delle sue acque abbiamo fatto cattivo uso, trasformandole in pattumiera persino delle armi chimiche e alzandone pericolosamente il livello con l’inquinamento, che aumenta la temperatura e scioglie i ghiacci.
Non contenti, abbiamo sterminato senza criterio le specie che vi abitano, trascurando, tra le tante altre ancora non conosciute, la loro capacità di produrre farmaci.
Ma se ci preoccupiamo per i pirati che sono tornati a sequestrare navi ed equipaggi, per certi comandanti incapaci o criminali che fanno affondare le loro navi, per i governi che litigano per spartirsi un bene di tutti, ci rassereniamo un po’ pensando a quanto ci regala ogni giorno: grandi esempi di solidarietà umana, ottimi suggerimenti per una dieta sana, maree e onde che generano energia.
La soluzione per non rovinare definitivamente il mare esiste: basta utilizzare i suoi doni in maniera sostenibile, imparando a rispettarlo.
L’ascolto del pensiero di un uomo come Erasmo da Rotterdam, che in pieno XVI secolo proclamava la costitutiva ingiustizia della guerra e l’importanza dell’ascolto, dell’equilibrio e della moderazione, può essere importante per richiamare il cumulo di atteggiamenti e valori non vissuti ma di cui s’avverte oggi l’esigenza.
L’autore olandese riteneva la guerra un abominio e prediligeva – inascoltato sia dai cattolici, sia dai protestanti – la forza del dialogo per evitare conflitti sanguinari con le carestie e le malattie che vi seguono sempre. Il noto umanista era uomo pacato e dotato di capacità di accoglienza e dialogo in anni in cui vi erano guerre fra stati, violenze, povertà e divisioni provocate dai conflitti di religione.
Erasmo fissava tutto questo con sofferenza e con l’auspicio che potesse sorgere una società in cui la fraternità e la giustizia risplendessero maggiormente. Qui si vuole far emergere questa mite prospettiva erasmiana attraversata da una maniera di pensare e vivere con Dio e con gli altri che ha sempre inseguito il desiderio della pace per cercare di realizzarlo a livello religioso, politicosociale e educativo.
Nella voce di Erasmo riecheggia quell’esigenza etica che desidera tradursi in atteggiamenti sociali in grado di rendere concreta la civiltà dell’amore anche nel nostro tempo.
"La globalizzazione, e l'apertura di nuove prospettive che con essa si concretizza, rappresenta un valore aggiunto e una straordinaria opportunità per tutti: i nuovi legami tra i popoli, i mercati, la produzione, il trasferimento della tecnologia e delle merci, la circolazione e la diffusione del sapere. Ma occorre, per vivere in un mondo più giusto, creare le condizioni affinché questa nuova dinamica mondiale si traduca in una globalizzazione dei diritti, dei benefici, delle opportunità, in una redistribuzione delle ricchezze, in modo tale che coloro che stanno ai margini dello sviluppo possano trarre opportunità e occasioni per uscire dalla loro condizione di marginalità e trovare piuttosto una dignità di vita, di valore e di esistenza.Per mettere a disposizione delle parti più deboli del pianeta e delle nostre città le risorse e gli strumenti per crescere, occorre promuovere, anche e soprattutto a livello locale, politiche capaci di governare il cambiamento. Occorre costruire politiche per i giovani, i quali vivono naturalmente un'età di transizione, e realizzare reali attività di cooperazione decentrata.Ecco perché un progetto europeo come Mirando al Mundo, che ha trovato terreno fertile in Argentina, Brasile e Bolivia e che ha saputo tenere insieme entrambe queste politiche, può costituire un'esperienza singolare di promozione di una cultura globale e condivisa dei diritti e della democrazia, che diventi capace di leggere il mutamento, interpretarne le cause e governarne gli effetti anche sulle nuove generazioni." (Piero Fassino)
Ernst Jünger (1895-1998) può essere definito il "diarista del XX secolo": filosofo, romanziere, saggista, figura eminente della cultura tedesca del Novecento, ha coniato uno stile inconfondibile, aggressivo e sfavillante, che sembra far parlare lo spirito del mondo. Non soltanto nelle sue opere, ma anche nella vita ha incarnato i passaggi e le cesure della storia tedesca. Nella giovinezza acceso nazionalista, al fronte nella Prima guerra mondiale, fu critico del nazismo e divenne al termine della sua lunga esistenza un classico europeo. La prima biografia di Jünger edita in Italia fa ricorso a documenti di prima mano, offrendo un ritratto completo di quest'uomo affascinante e discusso.Il vero scrittore, come la vera ricchezza, si riconosce non dai tesori di cui è in possesso, ma dalla sua capacità di rendere preziose le cose che tocca. Egli è pertanto simile a una luce che, invisibile, riscalda e rende visibile il mondo.
Il concetto di democrazia ha attraversato una storia complessa e controversa e ancora oggi siamo alla ricerca di una definizione universalmente condivisa.
La cultura della democrazia ha conosciuto tuttavia progressive tappe di maturazione e di diffusione e può essere considerata aspetto irrinunciabile del nostro agire politico.
Nel dibattito in questione si è inserito a più riprese e con esiti controversi anche il pensiero cristiano, di cui una stagione di accorata verifica hanno rappresentato gli ultimi anni dell’Ottocento e i primi del Novecento.
Queste pagine si soffermano su un momento del contrastato confronto tra cristianesimo e democrazia, lasciando spazio ad alcune voci che ne hanno interpretato letture e approcci diversificati e talora nettamente divergenti.
Un’analisi che potrebbe suggerire qualche spunto per ripercorrere tappe ed esiti del progetto democratico e dei valori ad esso sottesi.
Autore
Walter E. Crivellin
Insegna Storia delle istituzioni politiche presso l’Università di Torino. Si occupa di storia politica e culturale, con particolare attenzione al rapporto tra istituzioni politiche e religiose.