La teologia, e ancora di più quella ecumenica, è chiamata a far proprio l'invito pubblico a ripensare la pace in tempo di guerra. Domande rilevanti ed urgenti arrivano infatti dai conflitti, dalle ferite, dalle relazioni imprigionate dentro la violenza. C'è bisogno di una riflessione e una pratica ecumenica che sappia indicare nuove strade, nuovi paradigmi, perché la pace rimanga un orizzonte a cui tendere e un'esperienza da vivere. Il testo in una prima parte muove da domande all'ecumenismo come scuola di pace, si concentra sul carattere pubblico della pace e non ha timore nel denunciare le responsabilità delle religioni e delle chiese nella crisi della globalizzazione. In una seconda parte, raccogliendo i contributi del progetto promosso dalla PUA (Pontificia Università Antonianum) propone degli excursus a partire dai differenti contesti di guerra e conflitto dove la pace è cercata, magari sognata e a volte trovata anche con il concorso delle chiese. Voci ecumeniche e del mondo del dialogo ci aiutano a guardare al futuro dando ragione della speranza che canta: "misericordia e verità si incontreranno, giustizia e pace si baceranno" (salmo 84).
L’esperienza della pandemia e ancora più drammaticamente quella della guerra, chiedono alle religioni di contribuire a un dibattito pubblico capace di futuro. Due convinzioni sono, quindi, a fondamento della ricerca offerta dal volume collettivo sulla compassione: riconoscere e valorizzare il magistero delle diverse tradizioni religiose sul tema; ritenere che la compassione debba diventare risorsa sociale e carità politica. Una ricerca interreligiosa e interdisciplinare come quella proposta in questa raccolta interpreta la compassione come virtù e sentimento che si iscrivono in profondità nella condizione umana e insieme come dimensione dal carattere “politico”. La compassione, infatti, è chiamata a concretizzarsi e dare un ordine del mondo che sia umano e giusto. Essa si propone a pieno titolo come passione capace di muovere l’etica. La ricerca conferma, cioè, che c’è un nesso tra l’idea (religiosa) di un Dio misericordioso e l’idea (politica) della giustizia sociale. Il testo, presenta l’idea e la pratica della compassione nelle varie tradizioni religiose, ricordandone le fonti storiche e scritturistiche e insieme evidenziandone l’attualità.
Diversamente dalla "cartografia coloniale" con cui ancora si guarda a sud, le chiese di Africa, Asia e America Latina reclamano prima di tutto il diritto ad essere "chiese fonte" e non "chiese calco". Oltre al motivo demografico (due terzi dei cattolici vivono in queste comunità), esiste però un diritto epistemico: quello di pensare diverso. Le voci dei teologi e delle teologhe del sud chiedono di superare gli epistemicidi culturali e religiosi perpetrati dal pensiero e pratica coloniale. Per superare la prospettiva coloniale, però, serve non un pensiero post-moderno (che indaga la modernità a partire da essa), ma un pensiero e una pratica decoloniale (che indaga il potere moderno a partire dalle cosiddette "ferite coloniali" per poterle superare). Si tratta di porre fine alla triplice ingiustizia che il sud ha subito: oltre a quella sociale ed ecologica, anche quella cognitiva.
Le esperienze con persone, comunità e mondi culturali diversi, così come il rigore e l'intelligenza di riflettere su di esse, sono una cifra con cui leggere la riflessione offerta dal teologo Carlo Molari (1928-2022). Una lunga vita, la sua, a servizio del dialogo. Il testo che offriamo ai lettori riprende una ricerca pubblicata nel 2013 e ora introdotta con una biografia ragionata dell'autore e completata con una rassegna bibliografica aggiornata sul tema del dialogo interreligioso. Riproporre il volume di Molari, recentemente scomparso, oltre a rispondere a un debito affettivo e intellettuale nei suoi confronti, serve anche a ribadire la necessità di una riflessione aperta e nuova sul pluralismo religioso, "sapiente volontà divina" secondo il Documento di Abu Dhabi firmato assieme da papa Francesco e dal Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb. Sulle orme di Molari invitiamo a percorrere sentieri nuovi.
Se ogni identità è data e realizzata dalla qualità e dalla quantità di relazioni diventa evidente che i fattori della comunicazione, veicolati dai nuovi media e dalle relazioni che questi intessono, rappresentano un elemento fondante e determinante per la costruzione identitaria personale e sociale. Il volume intende analizzare, in una prima parte, le caratteristiche di queste tecnologie e le loro applicazioni nella quotidianità. Di fronte all'homo digitalis, assistiamo ad una trasformazione non solo tecnologica, ma anche culturale, psicologica e perfino filosofica. Cresce il rischio di subordinare la nostra identità al consenso "social": esistiamo solo nella misura in cui mostriamo la nostra privacy sulle piattaforme di condivisione. Esistiamo se condividiamo? Sì, ma è vera condivisione? Il volume, poi, propone una parte finale dove indagare la produzione e le conservazioni di immagini e ricordi in un mondo digitale, tanto più sapendo che a governare e gestire la nostra vita e quella della società ci sono gli algoritmi, padroni incontrastati della nostra privacy, capaci anche di anticipare i nostri desideri, perché ci conoscono più e meglio di quanto noi pensiamo e immaginiamo. Una volta indagato, con competenza e senza sconti, la costruzione identitaria ai tempi dei social media, l'autore è convinto che occorra ribadire con forza l'hic et nunc, il qui e ora, l'unicità della nostra identità primaria, contro ogni facile individualismo o nazionalismo, etnicismo, o una qualsiasi altra comoda etichetta identitaria, ma anche contro la sempre più forte tentazione di esistere grazie alla certificazione di un consenso misurato su like e follower.
Oggi è ancora opportuno studiare a scuola le religioni? Quali sono i limiti di questa disciplina in Italia? E come insegnare religione in una società che, con il passare degli anni, è sempre più abitata da differenze culturali e religiose? Se nel nostro Paese si è ormai chiusa la stagione della religione, è solo perché si è aperta quella delle religioni, al plurale. Conoscere le religioni diventa perciò uno dei requisiti fondamentali per sviluppare una «cultura del vivere-insieme» in grado di favorire una cittadinanza più democratica, riducendo così i conflitti causati dalla mancanza di comprensione reciproca. La scuola, pur con tutti i suoi limiti, oggi rappresenta il primo spazio pubblico in cui emergono le differenze, comprese quelle religiose.
L'agile testo intende fare il punto sulla grande trasformazione culturale dell'Europa, dovuta alla crescente visibilità di una diversità religiosa, per molti aspetti, inedita ed inattesa. Tale tema sarà affrontato, da un lato, descrivendo le principali caratteristiche della nuova mappa religiosa europea e, dall'altro, analizzando, i vari modelli adottati dagli Stati dell'Unione per riconoscere e gestire la crescente diversità religiosa. Lo scopo, in buona sostanza, è di fornire sia una bussola per leggere il cambiamento religioso in atto, sia per interpretare l'impatto che tale mutamento ha in campo sociale e politico. La bussola sarà anche un glossario di base utile per classificare e distinguere i vari fenomeni e dati presentati nel testo. L'orizzonte europeo permetterà, infine, a chi legge di comprendere la peculiarità del caso italiano, cui sarà dedicato un apposito capitolo, rispetto soprattutto ai Paesi del Nord Europa. Nel corto respiro della sua storia nazionale, infatti, un Paese di tradizione cattolica si misura con una diversità religiosa elevata, mostrando difficoltà e paure, ma anche la capacità d'inventare luoghi e momenti d'incontro fra persone di differenti fedi.
"La realtà è superiore all'idea" è uno dei principi che guidano il pensiero di papa Francesco. Ne parla, per la prima volta, nell'esortazione apostolica del 2013 Evangelii gaudium, al n. 231, quando affronta il tema del bene comune e della pace sociale. Bergoglio, evidentemente, intende metterci in guardia dal rischio di guardare la realtà attraverso le lenti non di rado distorte delle nostre categorie concettuali, talvolta frutto del nostro immaginario più che di un'esperienza diretta. Bene, esattamente come "la realtà è superiore all'idea", così la prassi dialogica - dal dialogo della vita quotidiana a quello segnato da vie spirituali - è sempre superiore a qualsiasi pur superba teorizzazione. Per dirlo con una frase chiave del bel film di Ermanno Olmi del 2007 Centochiodi, messa in bocca al protagonista, un professore di religione in piena crisi, "tutti i libri del mondo non valgono un caffè con un amico".
Alla ricca letteratura filosofica e teologica “provocata” dall’esperienza globalizzata dell’emergenza sanitaria del virus, appartiene a buon diritto il testo del teologo Andrés Torres Queiruga che si interroga sul tema. Se non esiste soluzione al mistero dell’esistenza del male, una risposta è, però, chiaramente priva di senso: quella che lo riconduce a Dio. Se non si vuole restare imprigionati nel paradosso di Epicuro - se Dio non vuole impedire il male, non è buono; se non può, non è onnipotente - bisogna necessariamente cambiare prospettiva. Quello che intende fare il testo di Queiruga. La domanda sollevata dalla “catastrofe vitale” interroga il futuro della riflessione teologica e forse anche la pertinenza culturale del cristianesimo in epoca post-moderna. Un mondo-senza-male è impossibile: da questa consapevolezza deve ripartire anche la teologia e quella branca del suo sapere chiamata tradizionalmente Teodicea. La domanda che essa pone, allora, deve cambiare e, secondo Queiruga, essa diventa: perché pur sapendo che il mondo è finito, cioè esposto al male, Dio lo crea nonostante tutto? Il testo vuole dare il suo contributo al dibattito circa il futuro del cristianesimo (e della religione in generale).
In un esercizio di "teologia comparata" o comunque di confronto attento e fecondo, l'autore propone una lettura originale della felicità navigando tra diverse proposte religiose. Mentre la felicità orientale insiste sulla liberazione interiore e sulla negazione dei desideri, l'ebraismo prima e il cristianesimo poi interpretano la libertà non come "uscita" dal mondo, ma come sua trasfigurazione: sono esperienze di felicità, ad esempio, anche l'amore e la gioia per la terra, le feste, la convivialità...La felicità però non è a buon prezzo. La sua scuola è la sofferenza come sa la ..sapienza orientale e quella raccontata con l'esperienza di Giobbe; essa ancora diventa motivo di scandalo per tutti coloro, come denuncia l'ebreo Gesù, che intendono la felicità come mantenimento dei propri privilegi, impedendo agli altri, specialmente ai poveri, di essere felici, cioè di vivere una vita degna e piena.
L'autore ci accompagna in un viaggio • affascinante e per nulla scontato attingendo al pozzo della sapienza spirituale di diverse tradizioni culturali e religiose. Confermando, in fondo, che quella sorgente può dissetare tutti anche se ognuno pratica percorsi differenti.
Insegnamento prezioso anche per il dialogo interreligioso che invita le religioni ad essere una "buona novella": beatitudine non come negazione, ma come trasformazione di vita.
Xabier Pikaza
Nato a Orozko (Paesi Baschi) nel 1941, teologo e pensatore cattolico, specializzato in teologia biblica e storia delle religioni. Intende il cristianesimo come esperienza fondamentale di comunione e dialogo tra uomini, popoli e culture.
È stato religioso dell'Ordine della Mercede e cattedratico dell'Università pontificia di Salamanca
(1973-2003), dove ha insegnato fenomenologia della religione e sacra Scrittura. È sposato con M. Isabel e si dedica a investigare e dirigere corsi di religione, cultura e cristianesimo.
Tra i libri che ha pubblicato: ApocaIipsis (Verbo Divino, Estella 1999); Antropologia biblica (Sigueme, Salamanca 2005); Diccionario de las tres religiones (Verbo Divino, Estella 2008); Gran Diccionario de la Biblia (Verbo Divino, Estella 2007); Historia de Jesus (Verbo Divino, Estella 2015) e Comentarios a Marcos y Mateo (Verbo Divino, Estella 2013 e 2017).
Vivere, praticare e riflettere sulla fede a partire dal contesto asiatico invita ad introdursi in un altro linguaggio e ad avvicinare una diversa esperienza religiosa. Vista dall’Asia, allora, diventa evidente che Dio si manifesta in molte maniere. Per poterlo “vedere” però è necessario andare oltre il paradigma ellenistico e riscoprire la creazione, tra altre cose, come pienezza cosmica e divino-umana. Se l’approccio occidentale pone Dio al di fuori e al di sopra dell’universo come creatore, confermando una concezione dualistica, l’approccio orientale cerca Dio all’interno, nella profondità del cuore, dello spirito. Oltre la metafisica greca, la teologia asiatica muove dalla non-dualità, dall’advaita. In questo si pone come importante contributo per la ricerca spirituale “oltre le religioni (storiche)”. Di questo sguardo e di questa riflessione sulla fede ha estremo bisogno anche il credente occidentale.
Viviamo in un mondo pluralista con molte religioni, culture, lingue, gruppi etnici. Dovremmo essere capaci di conoscere, accettare e apprezzare gli altri. Dovremmo dialogare e collaborare per il bene di tutti. È necessario portare le persone a capire che l'unico Dio può essere raggiunto in maniere diverse. Le strade diverse dipendono dalla storia, dalle circostanze geografiche e culturali. La sfida non è solo quella di rispettare e di tollerare queste differenze, ma di celebrarle. Le religioni non salvano. Ma Dio sì. Dio può far uso di ogni mezzo per raggiungere le persone. Dio può parlare tramite santi e profeti in ogni religione. Con contributi di Brunetto Salvarani e Gaetano Sabetta.
L'impresa, strumento di crescita economica e di sviluppo, è anche luogo dell'identità e dell'appartenenza, agente essenziale di trasformazione sociale e civile. Un attore consapevole dei processi di innovazione che dall'economia si allargano alla società. Una risorsa, in tempi di tensioni, rancori, ascensore sociale bloccato e disuguaglianze. In una stagione di crisi delle democrazie liberali e delle relazioni tra democrazia e cultura di mercato, sarebbe riduttivo pensare all'impresa esclusivamente come a una macchina che genera profitto. Ecco perché diventa rilevante parlare di «impresa riformista», ovvero l'impresa come soggetto «politico» attivo. «Politico» non certo nel senso delle politics, gli atti concreti di governo e di attuazione di riforme, ma in quello della policy, i progetti, le strategie economiche, sociali, culturali. Non «un partito delle imprese», ma l'impresa come soggetto che vive nella società e che contribuisce a determinarne le trasformazioni. Da ascoltare e non ostacolare, nei suoi processi di costruzione di lavoro e sviluppo. Sta purtroppo crescendo nel paese un diffuso clima anti-imprese, che trova alimento in ambienti di governo. Un clima sbagliato, in contrasto con gli interessi di fondo dell'Italia, nel contesto di una grande riforma necessaria dell'Europa. La via è quella di una scelta di cultura e di pratica d'impresa che va oltre l'orizzonte del pur indispensabile fare profitti e lega, al valore per gli azionisti, l'impegno su un sistema di valori d'innovazione positiva, attenzione ambientale, solidarietà, responsabilità sociale.
Il libro si propone di sviluppare una linguistica ecclesiologia che abbia il pluralismo religioso come sua semantica, il dialogo come sua sintassi e una nuova maniera di essere cristiani come sua pragmatica. Se, come scrive l’autore, il pluralismo religioso è, tanto per la chiesa quanto per la società, questione di vita o di morte, il futuro della chiesa asiatica dipende dalle risposte che si daranno a tale situazione inedita.
Il pluralismo religioso si impone come una componente irriducibile che interpella tutte le religioni in un esercizio fondamentale di dialogo. Le opzioni oggi sono molto chiare: o la rivalità o il dialogo tra religioni come condizione per la pace tra le nazioni. Ci sono persone che, abitando le frontiere, hanno scelto la via del dialogo. Il volume presenta alcune storie di vita segnate da tale vocazione dialogale.
Il dialogo con il mondo islamico è una delle più grandi interpellanze del XXI secolo. Il testo vuole ripercorrere le vite di alcuni di questi "dialoganti" cristiani che tanto influsso hanno avuto nella vita ecclesiale di ieri (l'apertura al dialogo del Vaticano II) e di oggi (le esperienze di dialogo delle comunità cristiane in Algeria e in Siria). Massignon, Abd-el-Jalil, Gardet, Anawati, de Beaurecueil, De Chergè e infine Dall'Oglio sono i "cercatori" presentati. Essi con allegria e coraggio hanno vissuto la sfida di ospitare nel cuore il mondo dell'alterità.
Allo stato attuale della conoscenza, l’umanità si sente pellegrina, sempre in cerca di una nuova comprensione della verità, una nuova interpretazione, una ipotesi più vera o una verità più profonda, sempre in cerca di una verità al di là del detto. E anche se abbiamo perduto la certezza che avevamo, per esempio, nel tempo del pensiero mitico, continuiamo a pensare di essere adesso più vicino alla verità …. Un’analisi disincantata, radicale a volte, eppure necessaria del linguaggio religioso e della sua semantica a cinquant’anni dal Concilio Vaticano II. In vista del suo futuro.
Il tema cruciale del libro è l'invenzione del capitalismo e dei suoi diversi "spiriti": quello protestante e quello cattolico. In particolare l'autore ricostruisce le ragioni storiche e filosofiche, di matrici nordiche, che hanno portato al capitalismo attuale. Perché il modello latino dell'economia sociale o civile ha avuto diversa sorte? L'idea smithiana di scambio economico come reciproca indifferenza e quella di mercato come luogo delle relazioni anonime e impersonali reggono ancora l'intero impianto dell'economia contemporanea. Si è passati dalla condanna dello "sterco del demonio o mammona" al culto del denaro, trasformato in una vera e propria religione. I capitalismi, però, non sono tutti uguali - o almeno non lo erano fino a un'epoca recente. L'Europa, in particolare, aveva generato una sua propria via al capitalismo. Un capitalismo sociale, un'economia di mercato civile che dobbiamo riscoprire di fronte ai fallimenti del capitalismo finanziario.
L'insuccesso della rivoluzione siriana e della primavera araba non significano di certo la fine dei nuovi movimenti. Dall'uscita della prima edizione di questo libro (2012), ne sono sorti altri: in Brasile (con il Movimiento Passe Livre che occupa l'Avenida Paulista, una protesta che andrà avanti per mesi); e poi Gezi Park a Istanbul, l'occupazione di Maidan Square a Kiev, la rivoluzione degli ombrelli a Honk Kong, le proteste in Messico, Podemos in Spagna, il Movimento 5 Stelle in Italia. C'è una cosa che, pur nella diversità, hanno in comune: sono tutti inestricabilmente legati alla creazione di reti di comunicazione autonome, supportate da Internet e da trasmissioni wireless. Castells è in grado di rispondere onestamente e criticamente alla domanda che molti osservatori ponevano a questi movimenti: "E allora, quali sono gli specifici esiti, quali i risultati tangibili sul piano sociale? Quale è stato, ammesso che ci sia stato, il loro impatto sui sistemi politici e sulla politica concreta?". Ed è in grado di denunciare anche gli aspetti più ambigui di movimenti che utilizzano la Rete, quali ad esempio il Movimento 5 Stelle, una delle novità di questa edizione.
Se la rivoluzione dei big data ha un genio che la presiede, questi è certamente Alex Pentland. In anni di esperimenti innovativi ha distillato scoperte che oggi spalancano le porte di un campo scientifico completamente nuovo: la fisica sociale. La fisica sociale si occupa del flusso delle idee e di come le reti sociali le diffondano e le trasformino in comportamenti. Finora le ricerche dei sociologi sono dipese da set di dati limitati e da indagini che ci dicono ciò che le persone dichiarano circa i propri pensieri e comportamenti, piuttosto che ciò che veramente pensano e fanno. Siamo rimasti ancorati all'uso di categorie quali le classi sociali o il mercato. In realtà, gli esseri umani rispondono in modo molto più potente a stimoli sociali che implichino la gratificazione degli altri e rafforzino i legami, invece che a stimoli che implichino solo il loro proprio interesse economico. Pentland conduce i lettori oltre la soglia della più importante rivoluzione nello studio del comportamento sociale, verso un modo completamente nuovo di guardare alla vita stessa. Prefazione di Filippo Barbera, postfazione di Cosimo Accoto.