Si può parlare di giustizia oggi in Italia senza lasciarsi invischiare nella polemica? Si può "raccontare" il faticoso mestiere del magistrato senza difese d'ufficio ma smentendo, numeri alla mano, la vulgata che vuole farne un burocrate inefficiente o un potente intoccabile? E si può provare a capire le ragioni dello "stato d'insolvenza" della giustizia (con i suoi 9 milioni di processi pendenti) e a proporre soluzioni, forse imperfette, ma pragmatiche e non ideologiche? È ciò che questo libro cerca di fare. Prefazione di Ernesto Lupo.
Negli ultimi due decenni si è parlato poco di disuguaglianza, rispetto, per esempio, alla crescita, al debito pubblico, agli andamenti finanziari e, ovviamente, alla crisi scoppiata a fine 2008, che solo molto indirettamente viene collegata a essa. Certo è stato detto che la disuguaglianza è alta, ma poco altro: non si è mai discusso se sia accettabile, quasi che possa essere soltanto pesata e non valutata. Il punto importante è invece proprio analizzare e discutere, a livello culturale e politico, le disuguaglianze accettabili. Il libro lo fa, con riferimento all’Italia anche in confronto con altri paesi, ripercorrendo in modo rigoroso, documentato e accessibile i cambiamenti intervenuti nella distribuzione dei redditi negli ultimi anni e i meccanismi più profondi del fenomeno, inclusa la trasmissione intergenerazionale della disuguaglianza; fornendo dati assolutamente inediti sulla percezione e l'atteggiamento rispetto a essa, e indagando le ragioni per cui le alte disuguaglianze non generano le reazioni che ci si potrebbe aspettare.
Non occorre essere anticapitalisti o baciapile per cogliere l'attualità del dibattito sul rapporto tra etica ed economia, spesso viziato dalla confusione su tre ambiti che devono rimanere distinti, perché sono ciascuno cosa diversa: globalizzazione, mercato e capitalismo.Perché ci possono essere un capitalismo che non è liberale e una globalizzazione che non rispetta le regole; mentre non è mercato quello che rifiuta le regole e non si riconosce in un corpus di principi. Tale dibattito ha finito con l'arenarsi sulle secche del risentimento popolare verso le crescenti diseguaglianze, alimentato dalle iperboliche retribuzioni di manager, trascurando invece di approfondire gli aspetti fisiologici che dovrebbero contribuire a definire il sistema di mercato. In questo non si è sfruttata appieno l'occasioneofferta dalla crisi, che qualcuno ha auspicato possa trasformarsi, per la sua dimensione e il suo significato, in una sorta di "correttivo morale" dei comportamenti tenuti finora. Naturalmente, il punto è: come?
Il profondo mutamento di questi ultimi anni nella concezione del capitalismo è certamente dovuto al ripetersi di recessioni e crisi, l’ultima delle quali, a partire dal 2007, andrebbe collocata in una fase cruciale di transizione di un processo pendolare che, in meno di cent’anni, ha visto per ben tre volte capovolto il rapporto tra "mano invisibile" del Mercato e "mano visibile" dello Stato. La tesi degli autori è che l’ultima è una crisi sistemica, che si inquadra, tra l’altro, in una fase di trasformazione epocale del sistema internazionale, con la fine del predominio occidentale. Il perno dell’economia mondiale, infatti, si è da tempo spostato in Estremo Oriente, nell’Asia confuciana (Giappone, Cina e Corea in primis). Proprio da una lettura non convenzionale dell’evoluzione del rapporto tra Stato e Mercato in quest’area culturale e geoeconomica, con l’emergere e l’affermarsi di uno "Stato sviluppista", si possono trarre elementi conoscitivi e spunti di riflessione sul mutamento del modello di sviluppo occidentale, uscendo dalle secche, in cui si è regolarmente caduti, nel passato e nel presente, di un rapporto meramente oppositivo tra Stato e Mercato.
Nel 2050 sulla Terra vivranno più di 9 miliardi persone: la FAO stima che per nutrire tutti sarà necessario produrre almeno un miliardo di tonnellate in più di cereali. Il cibo sta diventando il problema più grosso e l'affare più ghiotto di questo secolo. Paesi come Arabia Saudita, Emirati Arabi, Libia, Corea del Sud, India e Cina, che dispongono di risorse, ma non di spazi sufficienti per garantire la sicurezza alimentare ai propri abitanti, hanno cominciato ad affittare o comprare terra agricola nei paesi in via di sviluppo: soprattutto in Africa e in Asia. Un bottino che interessa anche i signori della finanza, in cerca di nuove possibilità di guadagno, e soprattutto le aziende desiderose di afferrare "il miglior investimento della nostra vita", per usare le parole di Jim Rogers, guru delle materie prime. Dal luglio 2007 ad aprile 2OO9, quasi 20 milioni di ettari di terreni coltivabili sono stati oggetto di negoziati e accordi tra governi e società private. Un fenomeno che è stato definito "neocolonialismo". Il libro racconta chi sono i cacciatori di terra, dove agiscono e quali insidie, ma anche quali opportunità, si nascondano in questo rinnovato interesse per l'agricoltura.
"Il giudice Borsellino era un dipendente pubblico, il professor Biagi anche, così come gli uomini della scorta del giudice Falcone. E questi sono gli eroi. Enrico Fermi era un dipendente pubblico, così come lo è la maestra di mio figlio, che ha fatto un lavoro importantissimo e straordinario. E questi sono i campioni. Anche l'impiegato che ha accumulato centoventi giorni di assenza in un anno è un dipendente pubblico, così come lo è quello che si fa timbrare il cartellino dal collega compiacente. E questi sono i fannulloni. Come possono convivere nelle organizzazioni pubbliche persone tanto diverse? Semplicemente, non possono". Il libro descrive, con ampi riferimenti alla realtà, la situazione delle organizzazioni pubbliche e illustra alcune fondamentali proposte per il cambiamento delle stesse, nell'ambito del nuovo quadro di riforma del lavoro pubblico delineato dalla "legge Brunetta" (Legge delega 15/09). Un libro destinato a far discutere, che si inserisce a pieno nel dibattito sulla pubblica amministrazione, con una prospettiva però capace di superare gli stereotipi e, soprattutto, di concentrarsi sulle cose che si possono e si devono fare.
La dissoluzione dell'URSS ha gettato la Russia in una vera crisi d'identità. Proprio quando sembrava che finalmente stesse uscendo dalla crisi economica interna e risolvendo i rapporti esterni, è arrivata una crisi globale che rischia di complicare anche quella ricerca d'identità così critica per un paese ancora diviso tra Oriente e Occidente. Il volume passa in rassegna i rapporti con gli USA e l'Unione Europea, inclusa la breve guerra della Georgia, esamina la complessità e pericolosità dell'area caspica, proprio ai confini dell'UE, e analizza il "rapporto privilegiato" Italia-Russia. La gravita dell'impatto della crisi serve anche a dare un'idea della problematicità dell'economia russa. Segue un'analisi dei rapporti tra Russia, Asia, Africa e America Latina, del problema energetico e di quello non meno cruciale del percorso di oleodotti e gasdotti, e dei rapporti di Mosca con organismi internazionali e con la NATO. Indubbiamente le relazioni con questo paese sono difficili, ma assumere che si stia tornando alla guerra fredda può risultare fuorviante. Manca infatti un fattore essenziale, che fu alla radice della guerra fredda: l'ideologia marxista, che si voleva imporre ad altri, e che a sua volta aveva un potere d'attrazione nell'Occidente capitalista.
In questa età di crisi economica e finanziaria molte cose vanno ripensate se vogliamo immaginare e costruire un'economia di mercato e un modello di sviluppo sostenibili. Tra queste "cose" c'è senz'altro l'impresa. Non ci basta che produca qualità, reddito, occupazione; né che paghi le giuste imposte. È sempre più evidente che l'istituzione impresa è chiamata a un "di più" che la renda davvero amica della città, e in tal modo sia percepita come elemento costruttore del tessuto civile. L'idea che ispira il libro è la tradizione italiana dell'economia civile, che ha la sua origine nell'Umanesimo e poi nella Napoli del Settecento, possa offrire ancora oggi suggestioni e spunti per immaginare un'impresa civile che, pur restando impresa (e non necessariamente impresa non-profit), sia però luogo e strumento di incivilimento e di ben-vivere. Essa supera la contrapposizione non profit/for-profit, tipica della tradizione anglosassone, e recupera anche la tradizione italiana dell'economia aziendale. Un posto a sé occupa in questo contesto l'analisi dell'imprenditore come figura sociale che, diversa dallo speculatore, assume le caratteristiche dell'imprenditore civile.
Che cosa ci fanno centinaia di operai edili cinesi ammassati in cantieri-dormitorio organizzati come piccole Chinatown nel bel mezzo del deserto della Dancalia in Etiopia? E perché diventa sempre più frequente incrociare lo sciamare ordinato di funzionari di Pechino e businessmen di Shanghai negli hotel di Lagos o sulle rotte per Luanda? Il governo di Pechino sta estendendo la sua influenza nei paesi in via di sviluppo, esportando un modello organizzativo, sociale ed economico alternativo a quello dei paesi occidentali proprio a partire dal Continente Nero. Negli ultimi dieci anni l'Africa è diventata l'obiettivo strategico primario di Pechino e il vero banco di prova della capacità cinese di esportare, adattare e ripensare continuamente il proprio modello di sviluppo. Attraverso un percorso che si snoda sulle piste sabbiose del continente dal sottosuolo più ricco di materie prime, in questo libro viene analizzato in tutte le sue straordinarie contraddizioni l'impatto di un paradigma economico-sociale con il quale tutti sono chiamati a confrontarsi: il "Beijing Consensus".