Il tempo investe l'intera nostra esistenza. Nel suo divenire percorriamo svariati itinerari in cui la nostra vita si snoda sull'onda di sentimenti, pensieri, progetti e obiettivi gioiosi, inevitabilmente inframezzati di imprevisti, ostacoli, sofferenze, sconfitte e delusioni. In un simile contesto, lungo le età della vita, il tempo riveste un ruolo fondamentale nella costruzione della nostra personalità. Anche se centrale nel nostro agire di ogni giorno, il tempo continua a rimanere un grande enigma dell'universo. Il suo volto ci appare affascinante, ma anche inquietante nella sua sconfinata pluralità di significati. Il tempo è circolare, lineare e virtuale, fisico e psichico, in continuo divenire a cui si è tentati di porre un freno. In una società in rapida evoluzione domina prepotentemente il tempo presente. Siamo talmente immersi nel tempo dell'accelerazione e dell'immediatezza che lo stesso tempo libero ha bisogno di essere liberato. A ciò si sta cercando di reagire scoprendo il valore del tempo dell'attesa, della lentezza e della tensione, mai sopita, tra il tempo e l'eternità. Abituati a vivere sul registro spensierato del tutto e subito, l'inquietante pandemia del Covid-19 ci ha obbligati a mettere ordine nel nostro vissuto caotico del tempo e a riconoscere che il tempo ha una successione e una durata nella sua triplice dimensione di passato, di presente e di futuro. E là dove si riscontrano quadri psicopatologici sappiamo che è possibile risolverli sperimentando il tempo dell'analisi.
La concomitanza di due eventi: la beatificazione di Teresio Olivelli, martire della Resistenza (3 febbraio 2018, Diocesi di Vigevano) e la commemorazione del centenario della nascita del filosofo Alberto Caracciolo (San Pietro di Morubio - VR, suo paese natale, 21 gennaio 2018) ha riportato alla luce una vicenda lontana nel tempo, ma tuttora densa di significati e degna di essere ricordata. La forza morale, l'intensità di vita, l'alto senso di carità che illuminano la vicenda terrena di Teresio Olivelli possono infatti essere di aiuto come esempio capace di orientare in modo più profondo l'esistenza degli uomini d'oggi, certamente più sfiduciati e forse più inclini a una prospettiva laica, ma pur sempre alla ricerca di un senso fondamentale del vivere.
L'essere felici non dipende tanto da fattori esterni o da particolari tecniche, ma dal nostro cuore. Sono le buone radici della nostra infanzia che ci rendono capaci della felicità. C'è una felicità sana, propria degli ottimisti che, possedendo una buona fiducia di base, si sentono amati e sono pronti a dare amore. E c'è una felicità malata, propria dei cercatori del piacere scambiato per felicità, dei dipendenti da psicofarmaci o da droghe, degli euforici, degli iperattivi, degli iperadattati che, per evitare la critica ed essere accettati e amati, si sentono inconsciamente obbligati a esibire la maschera della contentezza. Ci sono coloro che, pur desiderandolo, si sentono in colpa o hanno paura di essere felici. Ci sono i pessimisti che si sentono tagliati fuori dal mondo della felicità, ma essa può loro dischiudersi, se saranno aperti a un serio e impegnativo itinerario psicoterapeutico. Aspirare a essere felici è una potente molla dell'esistenza. Rivela che non abbiamo perso la fiducia in noi stessi e nei nostri simili e che la speranza non è spenta nei territori della nostra psiche. Ciò aiuta a crescere, anche quando l'anagrafe ci colloca nella terza o nella quarta età.
La dimensione dell’ascolto è una condizione essenziale per lo sviluppo di una buona relazionalità. Purtroppo gli attuali ritmi di vita stanno rendendo aleatori sia l’ascoltare se stessi che l’ascoltare l’altro e l’essere dall’altro ascoltati. Eppure, ognuno di noi porta dentro di sé lo struggente bisogno di vivere tutte e tre queste esperienze. Se viene meno anche solo una di esse, corriamo il rischio di diventare stranieri a noi stessi e all’altro.
Naturalmente l’ascolto, perché sia fonte di benessere, deve essere un buon ascolto. Solo così sono possibili l’incontro, il dialogo e la comprensione interpersonale e sociale.
L’ascoltare è un’arte difficile. È certamente più difficile del parlare. E lo è soprattutto oggi. La nostra infatti è una società in cui tutti parlano ma pochi ascoltano. E quei pochi che sono disposti a farlo sembrano privilegiare l’ascolto virtuale, nuovo muretto e nuova piazza in cui trovano spazio i vari social network.
Il buon ascolto è per sua natura circolare, per cui chi ascolta è anche ascoltato e chi è ascoltato, ascolta. Ciò favorisce la capacità di ascoltare se stessi senza cadere nel narcisismo e di ascoltare l’altro senza cadere nel conformismo. Evolutivamente, in principio è l’ascolto. La parola viene dopo. Non c’è nessun Io parlo se non è preceduto da un Io ascolto.
Se, dunque, avremo imparato ad ascoltare, sapremo anche parlare.
Vittorio Luigi Castellazzi, psicologo clinico, psicoterapeuta-psicoanalista, da più di trent’anni insegna Tecniche proiettive e psicodiagnosi della personalità all’Università Salesiana di Roma. Già docente di Psicopatologia dell’infanzia e dell’adolescenza presso la medesima Università, ha tenuto corsi di Psicologia dello sviluppo e di Psicopatologia dello sviluppo all’Università Lumsa e all’Università degli Studi di Roma-Tre. È membro di varie società scientifiche nazionali e internazionali, tra cui la Society for Personality Assessment e l’International Rorschach Society. Ha fondato la «Scuola Rorschach e altre tecniche proiettive» dell’Università Salesiana.
Ha pubblicato presso le Edizioni Las: Psicoanalisi e infanzia. La relazione oggettuale in M. Klein (1974); Psicopatologia dell’infanzia e dell’adolescenza: Le Psicosi (1991) – La Depressione (1993) – Le Nevrosi (2° ed. 2000); Introduzione alle tecniche proiettive (3° ed. 2000); Quando il bambino gioca. Diagnosi e psicoterapia (2° ed. 2006); L’abuso sessuale all’infanzia (2007); Il Test del Disegno della Figura Umana (3° ed. 2010); Il Test del Disegno della Famiglia (5° ed. 2010); Il Test di Rorschach. Manuale di siglatura e d’interpretazione psicoanalitica (2° ed. 2010). Per i tipi delle Edizioni Magi ha pubblicato Dentro la solitudine. Da soli felici o infelici? (2010). Il suo volume La stanza della felicità (Edizioni S. Paolo, 2002), è stato tradotto in spagnolo, portoghese e polacco.
L’atteggiamento nei confronti della solitudine, oggi, è piuttosto contraddittorio. La si cerca, ma allo stesso tempo la si teme
Si sogna il ritiro in luoghi di meditazione nella speranza di ritrovare se stessi, ma una volta immersi nel silenzio ci si sente afferrati da un inquietante smarrimento, per cui si ritorna in tutta fretta alle detestate relazioni di sempre.
Mentre ci si preoccupa di favorire ed eventualmente curare le relazioni interpersonali ai fini di un maggiore benessere, non si registra uguale attenzione all’importanza del raggiungimento della capacità di stare soli con se stessi.
In realtà, soltanto chi è in grado di sperimentare la solitudine senza angoscia non corre il rischio di annullarsi nell’altro o di rivolgersi all’altro in modo fagocitante, strumentalizzante, ricattatorio o vittimistico. Il riconoscimento e l’accettazione di sé, che una positiva esperienza di solitudine comporta, sta alla base della disponibilità a riconoscere e accettare gli altri. Il successo di una buona relazione con gli altri poggia dunque sulla capacità di essere soli.
La presente lettura ci aiuta a scoprire l’importanza della solitudine senza perdere di vista il valore della relazione con gli altri.
Vittorio Luigi Castellazzi, psicologo clinico, psicoterapeuta e psicoanalista, da più di trent’anni insegna Tecniche psicodiagnostiche proiettive e diagnosi della personalità all’Università Salesiana di Roma. Già docente di Psicopatologia dell’infanzia e dell’adolescenza, ha tenuto corsi di Psicologia dello sviluppo e di Psicopatologia dello sviluppo all’Università Lumsa e all’Università degli Studi di Roma-Tre. È membro della Society for Personality Assessment e dell’International Rorschach Society. Ha fondato la «Scuola Rorschach e altre tecniche proiettive» dell’Università Salesiana.
Oltre a numerosi articoli e saggi comparsi nei lavori collettanei, è autore di numerosi volumi, tutti editi per i tipi delle Edizioni Las, tra cui ricordiamo Psicoanalisi e infanzia. La relazione oggettuale in M. Klein (1974), Psicopatologia dell'infanzia e dell’adolescenza: Le Psicosi (1991) - La Depressione (1993) - Le Nevrosi (2a ed. 2000), Introduzione alle tecniche proiettive (3a ed. 2000); Il Test di Rorschach. Manuale di siglatura e d'interpretazione psicoanalitica (2004); Quando il bambino gioca. Diagnosi e psicoterapia (2a ed. 2006); L'abuso sessuale all'infanzia (2007); Il Test del Disegno della Figura Umana (3a ed. 2010); Il Test del Disegno della Famiglia (4a ed. 2008). Il suo volume La stanza della felicità (2002) è stato tradotto in spagnolo, portoghese e polacco.
Non esiste società priva dei concetti di bene e di male. Nessuna società è senza peccato. Ogni cultura ha i suoi, con il suo catalogo privilegiato. L'elenco dei sette peccati capitali, stabilito dalla Chiesa nella tarda antichità, è senz'altro uno dei più famosi. L'accidia, l'ira, la superbia, la gola, l'avarizia, l'invidia e la lussuria non sono atti proibiti, ma passioni che ci rendono schiavi. Con un umorismo graffiante Aviad Kleinberg esplora gli aspetti più profondi dell'animo umano. Che c'è di male ad essere un po' pigri? Che ne sarebbe della grande cucina se nessuno fosse goloso? E dell'economia di mercato senza l'avarizia? Il libro fa sfilare profeti e filosofi, poeti e teologi, tutti pronti a lanciare la prima pietra: uno sguardo singolare e divertente sulla fragilità umana.
Non farsi del male e magari farsi anche un po' di bene senza decidere che cosa deve essere il bene degli altri. Ecco la tolleranza. Accettare di scendere a compromessi con qualche aspetto della nostra concezione di ciò che è giusto. Ammettere che non tutti i corollari dei nostri principi fondamentali sono essenziali e irrinunciabili e assoluti. Fare la fatica di graduare l'importanza, l'essenzialità di diritti e doveri. Non solo per ciò che riguarda il privato, ma anche in ciò che è eminentemente pubblico. Non è sempre divertente. Del resto, in un mondo che fosse tutto armonia e felicità e giustizia, cosa diavolo ci sarebbe da tollerare?
In questa autobiografia, frutto di lunghe interviste e conversazioni registrate a Monaco di Baviera nel 1989 e integrate con altri scritti dell'autore, i grandi eventi storici e politici vissuti da Jonas in prima persona ci vengono restituiti con l'immediatezza e l'autenticità di chi giorno per giorno li trascrive in appunti di diario, annotando anche la giornata di sole, la cena con gli amici, l'aneddoto divertente, l'attrazione occasionale per una bella donna. Leggendo queste pagine è così possibile ricostruire la figura a tutto tondo di un filosofo che con la sua riflessione ha posto l'accento sulla responsabilità per la vita, sostenendo con forza che la sopravvivenza dell'uomo sarà sempre più legata alla sua capacità di salvaguardare la natura e il pianeta Terra.
"Soltanto avvicinandosi alle rive dell'inconscio, laddove le fiabe sono nate, è possibile comprenderle". Vivere è una partenza continua, un mutamento incessante, un assumere forme sempre nuove in modo tanto sorprendente che dall'esterno neanche i servi della morte riescono a riconoscerle. "Il compare" e "Comare Morte" svelano l'essenza della professione di medico e "Ucceltrovato" la dimensione immortale dell'animo umano. In questo trittico di fiabe sono custodite verità illuminanti sulle proprie vocazioni personali, sui limiti che il destino impone, sui rapporti con l'eternità, e con la sua rivale, la morte.
Questo libro raccoglie uno dei più interessanti, ma anche dei meno noti, epistolari del Novecento, quello tra il filosofo Martin Heidegger e la moglie Elfride. Si tratta di una eccezionale testimonianza, che svela particolari inediti della vita privata di Heidegger, ritenuto universalmente uno dei più complessi e controversi filosofi del secolo scorso, il cui pensiero appassiona ancora oggi milioni di studiosi. Le lettere scritte da Heidegger alla moglie permettono di ricostruire la figura del grande pensatore tedesco, rivelando il lato nascosto di una personalità ricca di passione ma anche incline alle più comuni debolezze umane. Il libro, pubblicato nel 2005 in Germania ha suscitato un grande scalpore per le rivelazioni che conteneva sulla vita privata del grande filosofo (per esempio si è scoperto che il "figlio" Hermann in realtà era nato in seguito ad una relazione adulterina della moglie).
Perfino nel mondo delle fiabe sono pochi i racconti che esprimono tanta sofferenza e crudeltà incomprensibile. Quello narrato ne La fanciulla senza mani è un mondo in cui nessuno dei personaggi coinvolti ha intenzione di causare dolore all'altro, eppure una tragica necessità impone un'azione mostruosa: la mutilazione della propria figlia. In seguito, fatali falsificazioni di messaggi provocano la fuga e l'esilio. Perché mai - sembra chiedersi la fiaba - bisogna sopportare una simile sofferenza prima che, come per miracolo, giungano salvezza e felicità? Perché spesso è necessario un lungo periodo di separazione e di esilio prima di ritrovarsi insieme a casa?
Il testo si presenta nella forma di un dialogo tra un archeologo e uno storico sul problema dell'origine di Roma dal punto di vista del diritto, della politica e dello Stato. Carandini discute di istituzioni e ordinamenti dell'età di Romolo sullo sfondo del paesaggio e dei monumenti pubblici di Roma usati come pietre di paragone per saggiare la validità delle notizie tramandate da Catone, Cicerone, Livio sulla "cosa pubblica" della prima Roma.
La rilettura simbolica di "Biancaneve" e Rosarossa" svela la storia di una crescita interiore in un'armonia oramai dimenticata. Ne deriva un'immagine del mondo più saggia di quella di molti filosofi, la visione dell'uomo più grandiosa delle opinioni di tanti antropologi, la comprensione dell'anima che va oltre la spiegazione che ne danno gli psicologi. Vi si celano una sapienza più grande di qualsiasi scienza, intuizioni che superano qualunque analisi, immagini che, partendo dalla nostalgia delle origini, parlano dei sogni dell'umanità.
Nei momenti veramente fatali della vita (come una disgrazia o un’invalidità), davanti alle più inspiegabili ingiustizie dell’esistenza (come una catastrofe naturale o una morte violenta) l’uomo si chiede da sempre «perché?». «Destino» è la risposta più antica a questa domanda, parola vuota ma densa, che riguarda la durata della vita, la natura della morte, la qualità degli eventi fortuiti e le caratteristiche soggettive dell’uomo. Il destino è inspiegabile quando distribuisce malformazioni fin dalla nascita; è assurdo quando uccide neonati per mano di madri folli; è imprevedibile quando dispensa fortune al Superenalotto; è strapotente quando rovina risparmi e investimenti; è inflessibile quando vanifica le cure per un malato. L’idea di destino incontra l’ostilità di chiunque rivendichi la volontà umana di auto-determinarsi e rigetti l’ipotesi di una vita determinata a priori. Esso è immaginato in un altrove che si estende al di là dell’uomo: tessuto dagli dèi o scritto nelle stelle, pianificato da anime già morte o ereditato geneticamente prima ancora di nascere. La sua realtà è avversata da chi cerca dentro l’uomo la ragione e il senso dell’esistenza. La psicologia analitica individua nell’inconscio una categoria che è dentro l’uomo, ma è estranea alla sua conoscenza, che interviene nelle scelte dell’individuo ed è più potente delle sue intenzioni coscienti. Inconscio potrebbe essere un altro nome per indicare il destino. Come il destino, l’inconscio impronta l’inclinazione per certi lavori o a perdere il posto, la propensione ad ammalarsi o a morire di morte violenta; custodisce il nucleo soggettivo di ogni persona e la sua pulsione a individuarsi, la sua specifica mission e ogni altra caratteristica individuale. È depositario di un individuale Piano di Vita, che si realizza attraverso un intreccio di coincidenze apparentemente casuali, ma sensate e significative, che punteggiano la personalissima Via del Destino. L’io dell’individuo non ha il potere di annullare l’inconscio, ma ha la responsabilità di partecipare alla realizzazione della propria Via del Destino. La sua libertà è limitata, ma tanto determinante da poter scegliere, perfino, fra la possibilità di vivere per niente o morire per qualcosa.
Claudio Widmann, analista junghiano, vive e lavora a Ravenna. È Direttore dell’icsat (Italian Committee for the Study of Autogenic Therapy) e docente di discipline inerenti il simbolismo e l’immaginario presso Scuole di Specializzazione in Psicoterapia. È autore e curatore di saggi che trattano temi attinenti la psicologia junghiana, tra cui, per i tipi delle Edizioni Magi, sono stati pubblicati: Il viaggio come metafora dell’esistenza, Il simbolismo dei colori, La psicologia del colore, Le terapie immaginative e La simbologia del presepe.
"Cinque anni della mia vita è il racconto, pubblicato da Alfred Dreyfus nel maggio 1901, degli anni trascorsi dalla data del suo arresto, lunedì 15 ottobre 1894, a mercoledì 20 settembre 1899, data della sua liberazione; cinque anni durante i quali egli fu, nelle sue stesse parole, "soppresso dal mondo dei vivi". Nell'arco di poche settimane Dreyfus, ricco ufficiale di stato maggiore, si trova arrestato, interrogato da un comandante in pieno delirio, giudicato, degradato di fronte alle truppe, trasferito, in forza di una legge fatta solo per lui, alla volta di certe isole della Guayana, dapprima nella galera comune, all'isola Reale, poi in una galera riservata a lui e ai suoi guardiani muti: l'isola del Diavolo." (Pierre Vidal-Naquet)
Jellouschek, terapeuta della coppia, effettua un'analisi sia della vita a due che del rapporto che ognuno dei componenti della coppia ha con se stesso, con la società, con gli altri, con grandi temi universali. Con la vita, insomma. Per capire che vivere in due è un'arte che consiste nel concretizzare nella quotidianità la visione del grande amore e che è possibile imparare gli strumenti e le conoscenze necessari per raggiungere questo scopo.