Quale poteva essere il frutto di una politica di promozione cinematografica nel caso di un'azienda come l'Eni? Rispondere alla domanda fa capire la logica di un'azione pubblicitaria che non puntava solo a diffondere un prodotto. Il volume, mettendo alla portata degli storici e degli studiosi del cinema una documentazione spesso trascurata, da una parte svela aspetti sconosciuti della direzione dell'Eni, delle preoccupazioni di Enrico Mattei, della produzione di documentari industriali, dall'altra mette in luce come i film dell'Eni vadano più in là di una semplice apologia dell'azienda, aprano una finestra su un Paese in piena mutazione, alle soglie di una rapida crescita industriale e di cambiamenti sconvolgenti.
Una riflessione sulle forme estetiche della società di massa a partire dall’esperienza personale dell’autore: un percorso di lunga frequentazione dei media dello spettacolo, e una più recente attenzione verso i media della vita quotidiana e gli scenari tecnologici della condizione – sempre più postuma e oggettivamente marginale – dell’essere umano a fronte del mondo. Scritti a cavallo tra la fine del Novecento e l’inizio del nuovo millennio, i saggi raccolti in questo libro – La bellezza per te e per me, La Casa della Bellezza, Le lacrime di Bambi, Sensi, sensazioni, sentimenti – presentano connessioni tematiche che risulteranno sicuramente evidenti al lettore. Nuovi sono la loro collocazione e il loro assemblaggio, attualissimo è il nodo cruciale che li lega insieme: il rapporto tra sapere estetico e vocazione imperialista del soggetto moderno.
Che la bellezza sia fonte di dolore e di felicità lo sappiamo: abbiamo imparato sulla nostra pelle cosa significhi essere belli o brutti, quanto sia dolorosa l’esperienza di essere esclusi dalla sfera della bellezza in un mondo che ne è dominato e quanto esaltante l’avventura di apparire belli o di conquistare l’attenzione di chi ci sembra bello, avvenente, vincente. La bellezza è un premio o una punizione comune.
La scena che ci inquieta è quella duplice e parimenti dolorosa in cui sentiamo che il nostro corpo, il suo apparire alla presenza dell’altro, non viene giudicato bello, oppure il corpo, che a noi appare bello, si ritrae e ci nega. Avvenuta l’alchimia del desiderio, belli o brutti che si sia, la recita segue il copione sociale di una continua approssimazione alla bellezza. Su questa dinamica hanno prosperato le fabbriche ed i mercati dell’abbigliamento, della cosmetica, della ginnastica, della chirurgia estetica.
L’interpretazione freudiana del piacere non ha potuto fare molto a questo proposito. Ne ha preso atto. Così come le teorie critiche sulla civiltà dei consumi: negazioni di ciò che è innegabile.
L’esperienza ci insegna che la bellezza domina i nostri comportamenti e governa la felicità o l’infelicità delle nostre sensazioni. Quanto più la bellezza è prossima al nostro desiderio, compatibile con le nostre esigenze, tanto più siamo felici. Siamo stati educati sin dall’infanzia a questo meccanismo. A esso sono stati connessi i valori del benessere, della ricchezza, del successo, della sopravvivenza.
Qualunque politica, qualunque regime, qualunque apparato ha dovuto accettare il meccanismo della qualità formale dei processi e dei prodotti. Ci si è preoccupati di metabolizzare le dissonanze soltanto dentro questo grandioso scenario: tra Hollywood, la Corazzata Potëmkin e le grandi parate naziste esiste uno stesso cerimoniale.
Dopo decenni di subalternità culturale agli altri linguaggi audiovisivi, la serialità televisiva ha conquistato l’attenzione di spettatori, professionisti e studiosi della comunicazione proponendo universi immaginari estremamente innovativi nei contenuti e nelle forme. Operando in profondità sul tempo del consumo e sulla stessa struttura dei processi di affabulazione, le nuove tv-series (da E.R. a C.S.I., da Dr. House a Lost, da Sex and the City a Prison Break) superano il cinema nella capacità di aderire ai profili identitari del pubblico, restituendone aspettative e inquietudini. I saggi contenuti in questo volume indagano le trasformazioni della fiction televisiva nell’epoca del web e nel crepuscolo dei tradizionali modelli di serialità.
Interrogata da filosofi e scrittori su ciò che in essa testimonia dell’uomo, del suo desiderio, della sua verità, l’avventura astronautica esibisce la densità delle proprie implicazioni antropologiche, etiche, estetiche, politiche. L’avvento della possibilità di inoltrarsi nello spazio extra-atmosferico si rivela ancorato a presupposti lontani e latore di effetti enigmatici. Rivolgendosi alle parole che Heidegger, Arendt, Lévinas, Blanchot hanno dedicato alla conquista dello spazio, La verità errante vaglia i temi della trasformazione della relazione umana con la Terra, dell’ambiguità dell’agire tecnico, della sospensione di ogni miraggio “cosmico”.
Tecnologie come internet, il cellulare e la tv digitale non si limitano ad arredare il mondo in cui siamo ma esprimono e danno corpo al mondo che siamo. Non ci offrono, cioè, solo la possibilità di svolgere in modo più efficiente le nostre tradizionali attività su scala globale, ma ridefiniscono i territori e gli spazi di interazione simbolica in cui si producono le nostre pratiche, il nostro modo di dare senso al mondo, la nostra stessa soggettività. Piattaforme di integrazione o di conflitto fra vecchi e nuovi comportamenti culturali e comunicativi, fra vecchie e nuove identità, fra tradizione ed innovazione, i media digitali delineano un nuovo e più versatile volto del mondo che siamo. Il libro contiene un saggio di Mihaela Gavrila.