Il libro è un oggetto amato ma ambivalente: il risultato che produce è soggetto talvolta al caso, spesso alla stoltezza dell'uomo che lo maneggia.
Sapienti di tutte le epoche si sono (insospettabilmente) espressi contro il libro e contro il lettore e hanno manifestato la propria frustrazione per l'eventuale e irrimediabile fraintendimento dei contenuti (per non parlare dell'affidabilità degli storici!).
Questo volume, dissacrante e francamente spassoso, ripercorre con leggerezza la storia della trasmissione scritta della conoscenza, affiancando nozioni filologicamente impeccabili riflessioni facete e curiosità poco note. Per esempio, sapevate che gli scribi egizi ("quel popolo dal girovita così sottile") usavano un inchiostro apposito per le parolacce? Il testo, accompagnato dalle illustrazioni di Marco De Angelis, piacerà senz'altro tutti i bibliofili, gli scrittori per professione e per diletto, gli insegnanti e i comuni lettori forti.
La riflessione sulla felicità è forse la componente più antica all'interno della filosofia di qualunque civiltà. Quando il giovane Agostino, a riposo durante un periodo di convalescenza, affronta questo tema ha dunque alle spalle una tradizione classica ingombrante. La leggerezza del De beata vita non tradisce questo fardello: si dipana piacevolmente in forma di dialogo entro una situazione conviviale. Lì si trova il concetto chiave dell'opera: il cibo che stiamo mangiando, si chiede Agostino, nutre il nostro corpo; tuttavia anche l'anima, insieme a esso, attraversa la vita - naviga fra onde impetuose che le fanno tanto desiderare la sicurezza delle coste - e a sua volta necessita di nutrimento. La grande modernità di questo scritto risiede nel riconoscere quello che oggi chiameremmo Ego come motore di un perenne languore, che ci tiene lontani dalla pace interiore. L'antidoto per sedare questa continua sensazione di mancanza non è semplicemente condurre una vita frugale, coltivare la conoscenza e praticare la moderazione: si tratta di perseguire quel modus che ci allinea con il ritmo del divino, il quale non teme la povertà, non teme la fame, non teme, in definitiva, la morte. Un testo che fornisce al lettore contemporaneo (assistito dal ricco apparato di note e dall'introduzione di Francesco Roat) spunti universali, restituendogli i mezzi per una libertà interiore che va oltre il credo del singolo.
Il simbolo della cristianità, il primo gesto che i fedeli apprendono da bambini; un segno dirompente che ricongiunge il divino e l'umano nel ricordo di una sofferenza che è al tempo stesso liberazione dal dolore terreno: l'atto di segnarsi nel momento del rito appare oggi un'abitudine acquisita sulla quale non ci si pongono domande. Come svela questo saggio, tuttavia, la croce si è fatta portatrice nei secoli di significati complessi, che vale la pena osservare in una prospettiva diacronica, storica e filosofica. A partire dalla discussione - agli albori del Cristianesimo stesso - fra l'opportunità di rappresentare il Figlio di Dio e l'oggetto che lo condusse a morte, il fervore spirituale e la religiosità popolare hanno costruito un intreccio ben più articolato e controverso di quanto si immaginerebbe, per condurre progressivamente al valore unificante del segno della croce come testimonianza di appartenenza a un credo che, al suo centro, non deve dimenticare di avere proprio Colui che su quella croce fu appeso. Arricchito dalla prefazione di mons. Giorgio Demetrio Gallaro, il testo interesserà tanto i credenti quanto chiunque sia desideroso di approfondire l'argomento in ottica laica.
La sconfinata produzione di Aldo Capitini - filosofica, pedagogica, politica e letteraria - costituisce una miniera inesauribile di riflessione e discussione: impregnata di una appassionata freschezza intellettuale, travalica il suo tempo offrendo spunti estremamente attuali. La sua personale religiosità si costruisce sull'idea di fondo che il Tutto lega l'Uno con ogni Altro, in quella che egli definisce "Unità-amore"; un Uno che è tuttavia libero in questa scelta di comunione e apertura, che si percepisce a un tempo spontanea e necessaria soprattutto nei confronti degli ultimi, degli oppressi e dei dimenticati. Lo studioso Roberto Fantini ripercorre con acutezza la visione religiosa e filosofica di Capitini, analizzandone il pensiero e la storia e illuminando la figura, non a tutti nota, di questo rilevantissimo teorico della nonviolenza e della nonmenzogna, che sfidò apertamente il Fascismo mantenendo una decisa indipendenza culturale.
Di padre Tito Brandsma, carmelitano, rettore dell'Università Cattolica di Nimega e libero pensatore, si conosce l'aperta opposizione al regime nazista che lo porterà alla morte; egli, infatti, venne giustiziato come oppositore politico a Dachau nel 1942. Per la sua tenacia nella fede, testimoniata con il martirio, è assurto agli onori dell'altare. Meno noto è un aspetto particolare della sua predicazione, ben espresso in questa conferenza che viene riproposta in una nuova edizione riveduta e arricchita: il concetto di rispetto e amore non solo verso i propri simili, ma verso le altre creature del cosmo. È fonte di profonda ispirazione lo sguardo pieno di meraviglia di un uomo che ha conosciuto da vicino gli abissi nei quali l'umanità si è avventurata in un periodo storico travagliato come quello compreso fra le due Guerre mondiali e che, tuttavia, sembra non perdere la fiducia nel disegno universale.
Chi è la Befana? Tutti sapremmo rispondere a questa domanda, ma nel farlo ci renderemmo conto di quanto la questione sia in realtà complessa. Carlo Lapucci si fa carico di dare tutte le spiegazioni: da dove arriva questa figura tradizionale, composta di tratti pagani e cristiani, mescolata con il culto dei defunti e la celebrazione delle stagioni, espressione di figure bibliche come di forze simboliche ancestrali? Quali sono, nelle varie versioni della leggenda, le sue caratteristiche, le sue abitudini, com'è fatta la sua casa, chi sono i suoi aiutanti? Con attenzione antropologica ma andamento leggero, questo piccolo saggio esamina e racconta ogni segreto sulla Vecchia dei camini.
Scaturito dall’immaginario medievale, ricco in figure demoniache cui spesso erano attribuite doti nella scrittura, il demone Titivillus si è visto assegnare nomi e ruoli differenti. Descritto come intento ad annotare su una pergamena peccati, pettegolezzi o omissioni liturgiche, oppure a distrarre la concentrazione di monaci e fedeli, in tempi più recenti - grazie a un fraintendimento o a un giocoso travisamento – questo personaggio si è trovato a incarnare il diavolo dell’errore tipografico. Nel prezioso saggio che avete fra le mani, l’autore illustra la storia poco nota di questo curioso «demone dei refusi».
Il giardino è un libro che si sfoglia per pagine, non un progetto che si stabilizza in un piano finale e mai un miraggio che tenda a un punto di equilibrio.
Il giardino è un sogno più volte ruminato, un vortice dinamico steso nel cielo come una macchia di storni, fluttuante di piccole evoluzioni imprevedibili.
Il giardino è un laboratorio dove osservare l’atelier darwiniano. Il giardiniere passeggia sempre al suo interno con un misto di stupore e riverenza, incapace di non azzardare progetti a venire.
Il giardino è attesa e, al contempo, il saper cogliere il piacere della parzialità dell’istante, non solo perché si proietta in un futuro distonico rispetto all’immaginazione, ma anche per il suo svolgersi e dissolversi, quel mettere in gioco piani differenti del dialogo ideativo in tempi diversi. Così il prato erboso sarà lucente e forte quando ancora le siepi stentano e gli alberi altro non sono che fantasmi sorretti da rigidi tutori…
«Le radici affondate nel suolo, i rami che proteggono i giochi degli scoiattoli, i rivi e il cinguettio degli uccelli; l'ombra per gli animali e gli uomini; il capo pieno di cielo. Conosci un modo di esistere più saggio e foriero di buone azioni?». (Marguerite Yourcenar)
I bambini provano una naturale attrazione verso gli animali: parlano lo stesso linguaggio, indifferente alle parole, della semplicità, della comunicazione diretta dei sentimenti e delle emozioni, che prescinde dalla preoccupazione di restare negli steccati definiti della logica e della razionalità; si somigliano, si capiscono e soprattutto si piacciono tanto. Questa disposizione amicale contiene in sé enormi potenzialità, perché, se lasciata libera di esprimersi e di espandersi, se recepita per il valore che è e debitamente alimentata, si trasforma in indiscutibile mezzo di sviluppo dell'empatia e diventa specularmente grande inibitore della violenza. L'apertura creativa che i bambini mostrano verso gli animali e la gioia che provano nelle relazioni che con loro intrattengono sono il miglior viatico per la costruzione di personalità adulte in cui il rispetto per gli altri, a fare inizio dai più deboli, sia la musica di fondo di ogni relazione.