
«Lo scapolare è un particolare segno dell'unione con Gesù e Maria. Per coloro che lo portano è un segno del filiale abbandono alla protezione della Vergine Immacolata. Nella nostra battaglia contro il male, Maria, nostra Madre, ci avvolga con il suo manto». (papa Benedetto XVI)
Che valore hanno, nel mondo di oggi, i comandamenti dell'Antico Testamento? Un interrogativo che aggancia il presente alle origini non solo della spiritualità, ma della cultura condivisa dall'Europa e dal Medio Oriente nel corso dei secoli. Questo volume scava molto in profondità nella questione, pur con un linguaggio e una struttura accessibili a tutti. A ciascuno dei dieci comandamenti l'autore dedica un capitolo, nel quale si pone in dialogo con altrettanti esponenti (donne e uomini) delle tre grandi religioni monoteiste che si riconoscono nel Decalogo. Percorrendo queste conversazioni, improntate a una prospettiva interreligiosa, il lettore è invitato a interrogarsi a sua volta sulle grandi domande che le Tavole sollevano, oggi più che mai: i comandamenti possono dirsi "ragionevoli" (un vocabolo, questo, che farà da filo conduttore sotterraneo per molte delle interviste riportate nel libro)? I loro significati sono cambiati nel tempo, con il mutare della percezione di elementi come la proprietà, l'etica del lavoro, il matrimonio e il ruolo della donna? In che rapporto ci mettono rispetto alla finitezza della vita, in una contemporaneità che tende a negare la morte? I valori che professano entrano in conflitto con i progressi della scienza? Ritroviamo ancora, in essi, il Dio che pensiamo di conoscere (o dal quale ci siamo distaccati)? Con quali paradigmi deve misurarsi l'essere umano del nuovo millennio? Ciascuno degli intervistati offre considerazioni e prospettive illuminanti, intrecciate con elementi di psicologia, sociologia, teologia e storia delle religioni. Ciò che colpisce, tanto i credenti quanto chi non lo è, è un'interpretazione comune del Decalogo come uno strumento di libertà: la vita spirituale - emerge dalle pagine - non va intesa come una dinamica di ricompensa, oppure di colpa e punizione, nella quale ciò che conta è soddisfare un precetto. Va anzi vissuta come un percorso di scelte che conducono verso la libertà, la pace, la fratellanza. L'essenza dei comandamenti, se ridotta all'osso, parla infatti di ciò che ci unisce, non di ciò che ci divide e classifica.
Potremmo disgiungere la nostra identità (personale e geografica) dal cibo che mangiamo? No di certo. E non è forse vero che nel nostro immaginario, quando pensiamo a una civiltà lontana nel tempo o nello spazio, parte dello scenario è costituito da ciò che c'è nel piatto? Una chiave di lettura straordinaria per comprendere un popolo o un'epoca si cela proprio nel modo in cui l'essere umano processa ciò che la natura fornisce, preparandolo, mescolandolo, cuocendolo, conservandolo. E offrendolo ai propri ospiti, mentre sullo sfondo la grande Storia accade. Questo volume approccia con metodo scientifico l'arte culinaria medievale: scopriamo tutto ciò che è possibile saperne, e ci viene esposto con rigore da dove sono attinte le informazioni di cui disponiamo. Si parla del legame fra dieta e religione (a cominciare dai giorni di magro, su cui scopriamo curiosità sorprendenti), del diverso apporto della civiltà romana rispetto a quelle identificate come barbariche. Si racconta delle convinzioni mediche del tempo, in fatto di nutrizione. Sono descritte le esigenze delle dispense delle abbazie e di quelle dei signori, considerando anche la disponibilità locale degli ingredienti: vicino al Trasimeno, per esempio, l'anguilla era un ingrediente assai apprezzato. D'altro canto, se la cucina popolare rimase relativamente simile nel corso degli anni, quella nobiliare fu sorprendentemente aperta alle novità e alle contaminazioni, includendo - oltre agli elementi autoctoni - spezie di Paesi lontani acquistate a caro prezzo. Ecco dunque qualcosa che sembra attraversare tutte le epoche: l'idea che la propria tavola debba riflettere lo status, l'appartenenza a un ceto o a una categoria di persone. "La storia dell'alimentazione è storia culturale: storia di come l'uomo abbia definito sé stesso e il mondo che lo circonda in base al cibo, alla sua preparazione, ai complessi rituali con forte valenza sociale e culturale, nonché religiosa, che definiscono il sistema alimentare alla base di numerose culture".
Dodicesimo della collana, questo volumetto affianca due racconti collegati al tema del Natale, uno appartenente alla letteratura del passato e uno, invece, contemporaneo e inedito. Siamo all'inizio del Novecento: un dicembre di guerra e di malinconia, nel quale il Bambino non può occuparsi di portare doni ai poveri, impegnato - mente Elia alla sorellina - a consegnare coperte di lana ai soldati in trincea. Ma sulla Terra rimangono gli uomini, i bambini specialmente: la loro capacità di desiderare la gioia, nonostante tutto, scavalca la Storia, la diffidenza e la solitudine per creare nuovi legami. In capo a un secolo eccoci invece di fronte a un'umanità agiata e sfiorita, priva di una direzione comune. Gente schiacciata dal peso monetario delle cose, infastidita dallo scarto, pervasa dal senso di un qualcosa che cade sprecato, calpestato. Eppure, al di sotto di questa patina greve, brilla un istinto che non si può del tutto spegnere: quello di portare insieme un carico; di condividere, almeno per un istante, un significato. L'accostamento fra ieri e oggi stempera e rimarca insieme le contraddizioni della festa, portatrice di "un gelo / più caldo del calore di giugno, di una bellezza / più bella di quanto il mondo possa mostrare", come recita la poesia di Christina Rossetti in apertura.
Per comprendere una cultura, non c'è via più diretta delle immagini che ci ha trasmesso. Che cosa ci rivela la rappresentazione della Vergine, secolo dopo secolo, ritratta nel momento in cui dà alla luce Gesù? Quali fonti hanno marcato le fasi della sua evoluzione rappresentativa, insieme alle varianti più significative? L'Autrice ripercorre l'iconografia antica fino ai giorni nostri, analizzandola tanto dal punto di vista dogmatico (la postura, la presenza di elementi simbolici) quanto sul piano storico, come specchio della percezione del mistero della maternità nel tempo, incrociando l'arte con le fonti testuali, facendo ricorso quindi a testimonianze interdisciplinari frutto di un'ampia ricerca. Accanto alla figura di Maria, un archetipo che attraversa l'arte degli ultimi duemila anni, vengono prese in esame le altre presenze femminili, espressive della cura del Bambino nel giorno della sua nascita. Corredato da una ricca bibliografia e un corposo apparato di note, questo secondo volume della collana fa seguito all'analogo studio dedicato al ruolo di san Giuseppe nell'iconografia natalizia. Un'occasione di riflessione inedita sui significati del Natale, per arricchire il proprio percorso culturale e spirituale, e offrire ad altri la stessa opportunità.
Il libro è un oggetto amato ma ambivalente: il risultato che produce è soggetto talvolta al caso, spesso alla stoltezza dell'uomo che lo maneggia.
Sapienti di tutte le epoche si sono (insospettabilmente) espressi contro il libro e contro il lettore e hanno manifestato la propria frustrazione per l'eventuale e irrimediabile fraintendimento dei contenuti (per non parlare dell'affidabilità degli storici!).
Questo volume, dissacrante e francamente spassoso, ripercorre con leggerezza la storia della trasmissione scritta della conoscenza, affiancando nozioni filologicamente impeccabili riflessioni facete e curiosità poco note. Per esempio, sapevate che gli scribi egizi ("quel popolo dal girovita così sottile") usavano un inchiostro apposito per le parolacce? Il testo, accompagnato dalle illustrazioni di Marco De Angelis, piacerà senz'altro tutti i bibliofili, gli scrittori per professione e per diletto, gli insegnanti e i comuni lettori forti.
La riflessione sulla felicità è forse la componente più antica all'interno della filosofia di qualunque civiltà. Quando il giovane Agostino, a riposo durante un periodo di convalescenza, affronta questo tema ha dunque alle spalle una tradizione classica ingombrante. La leggerezza del De beata vita non tradisce questo fardello: si dipana piacevolmente in forma di dialogo entro una situazione conviviale. Lì si trova il concetto chiave dell'opera: il cibo che stiamo mangiando, si chiede Agostino, nutre il nostro corpo; tuttavia anche l'anima, insieme a esso, attraversa la vita - naviga fra onde impetuose che le fanno tanto desiderare la sicurezza delle coste - e a sua volta necessita di nutrimento. La grande modernità di questo scritto risiede nel riconoscere quello che oggi chiameremmo Ego come motore di un perenne languore, che ci tiene lontani dalla pace interiore. L'antidoto per sedare questa continua sensazione di mancanza non è semplicemente condurre una vita frugale, coltivare la conoscenza e praticare la moderazione: si tratta di perseguire quel modus che ci allinea con il ritmo del divino, il quale non teme la povertà, non teme la fame, non teme, in definitiva, la morte. Un testo che fornisce al lettore contemporaneo (assistito dal ricco apparato di note e dall'introduzione di Francesco Roat) spunti universali, restituendogli i mezzi per una libertà interiore che va oltre il credo del singolo.
"Se voi vi sentite tanto superiori da non riuscire a interessarvi di minatori e di serve, smettete di leggere. D'ora in poi, io mi rivolgo ai minatori e alle serve di tutto il mondo". Così Tom Hanlin, che sperimentò in prima persona la fatica e i rischi del lavoro in miniera, presenta il suo romanzo, imponendoci di accostarci a esso con il giusto sguardo (e, forse, solo se ne siamo degni). Di questo prolifico autore John Steinbeck aveva un'altissima opinione, e definì Una volta sola nella vita "meraviglioso". È in effetti impressionante la modernità e la portata letteraria e sociale di quest'opera che appare subito diversa da ogni altra: una scrittura asciutta nella quale ogni vocabolo pesa di molti significati; così crudelmente precisa da far sembrare il nero delle parole più nero ancora sulla pagina, come carbone. Una storia all'apparenza semplice ci porta a riflettere (in un modo che ci sembrava quasi d'aver dimenticato) sulla scoperta di sé come individuo in una collettività - talvolta entrambi a pezzi - e sul sentimento di amore come fragile tramite di questo processo. Straordinario connubio quello con la traduzione letteraria di Giorgio Manganelli, la cui particolarissima voce non fa che aggiungere sfaccettature al testo, che può essere oggi finalmente riscoperto in questa nuova edizione.
Dopo molti anni, due amici si ritrovano in una trattoria del centro di Chișinău, capitale della Repubblica Moldova, a ricordare il loro passato e la scomparsa, prematura e tragica, di Florin Montana, pittore di grande talento e loro carissimo amico. Improvvisamente dal racconto del vissuto riemergono amori, sogni, invidie e misteri irrisolti, che li obbligano a vivere un'avventura giocata tra diverse capitali europee e in vari ambiti umani e artistici. I due allestiscono una pièce in bilico tra finzione e realtà. Paradossalmente, il filo conduttore di questa insolita esperienza sarà l'imperatore Nerone, uomo di potere, artista e, soprattutto, anima complessa, travagliata da conflitti e infiammata da feroci ambizioni.
È la mattina del 25 dicembre. Lo scrittore e giornalista Paolo Valera, la cui voce data per sovversiva gli valse il carcere alla fine del XIX secolo, ci fa entrare nella cupa atmosfera del reclusorio di Finalborgo: lì l'astio che grava sul cuore dei detenuti si scioglie appena un poco al giungere dei messaggi d'auguri delle famiglie, e di una colazione condivisa con i forzati dimenticati da tutti. In quello stesso momento esce di prigione il protagonista del racconto contemporaneo di Eleonora Carta: graziato dall'annuale amnistia natalizia, assapora la consapevolezza di essere libero e vivo. Una certezza che subito vacilla: la libertà si trasforma in un viaggio allucinato oltre i confini delle leggi fisiche, che lo condurrà davanti a una delle immagini più tenacemente radicate nell'immaginario religioso occidentale. Quale altro accompagnamento potrebbe celebrare al meglio questo insolito connubio, se non il suono senza tempo delle ciaramelle di Giovanni Pascoli? I suoi versi aprono il libro, rassicurandoci subito sul fatto che, in qualunque epoca e condizione ci troviamo, l'atmosfera del Natale sarà sempre la stessa.