Una tangente non è mai solo una questione di costi e benefici; ogni comportamento, più o meno lecito, è influenzato dal luogo e dall'epoca, dalle leggi in vigore e dalle norme morali: in una parola dalla nostra stessa cultura. Anche per questo leggere una commedia di Aristofane, un dramma di Shakespeare o un romanzo di Balzac può aiutarci a indagare sulla corruzione nella storia almeno quanto cronache, studi e documenti. A ben guardare, governanti e uomini d'affari accusati di malversazione nel corso del tempo sono altrettanti personaggi romanzeschi: dal latino Verre ai «barattieri» descritti da Dante, dal sovrintendente del Re Sole, Fouquet, al lobbista Jack Abramoff, dai venditori di cariche pubbliche nell'Italia spagnola ai gerarchi fascisti prezzolati, da Bonifacio VIII a Francis Bacon, dai boss della criminalità organizzata ai protagonisti dell'Iraqgate. Questo libro ne ripercorre le storie e le mette a confronto spaziando dalle civiltà mesopotamiche, dove ungere le ruote era considerato lecito, alla Roma di Giulio Cesare, in cui il favore interessato era un costume condannato ma ampiamente diffuso, dall'Europa di Lutero, che denunciò la decadenza della Chiesa, all'irrisolta questione morale dei giorni nostri. Una cavalcata tra i secoli che intreccia politica e letteratura, storia dei fatti e delle idee, e che illumina l'origine e l'evoluzione della «cultura della mazzetta» attraverso saggi e satire, testimonianze, favole e film, dal Principe di Machiavelli al Pinocchio di Collodi: per ricostruire la trama del grande romanzo della corruzione e comprenderne le mutazioni e i devastanti effetti ma anche per ribadire la necessità di continuare a opporvi la più cocciuta resistenza.
Occuparci della nostra nascita per noi è impossibile, il prima ci è sconosciuto. Ma di certo, da vivi, possiamo riflettere sulla nostra morte, anche se il poi ci è ignoto. Edoardo Boncinelli racconta di avere avuto consapevolezza della morte a cinque anni, mentre a Bologna nell'immediato dopoguerra, ospite di un centro profughi allestito alla meglio in una caserma, parlava con la mamma di persone che non c'erano più. Di colpo si rese conto che anche i nonni erano destinati ad andarsene, e pianse. Da allora la morte per lui è diventata un concetto acquisito, ma non angosciante. E proprio questo gli ha facilitato l'intensa meditazione che ci regala in questo libro. Da scienziato e pensatore profondamente libero e onesto qual è, Boncinelli ne indaga tutti gli aspetti e le possibili interpretazioni con una serenità di animo e una acutezza di analisi che restituiscono a questo evento la sua naturalità, privandolo delle sovrastrutture negative. Discute con argomentazioni lucide e stringenti le consolazioni della religione, dai miti delle origini al paradiso cristiano, alle credenze più diffuse. Esamina con passione e generosità divulgativa le risorse della scienza, fino a metterci a parte delle ultime ricerche della genetica e della biologia. Infine affronta l'autentico mistero dell'universo, la coscienza, nostra assoluta unicità, sintetizzando così il suo sentimento: «Verrà la morte e non chiuderò i miei occhi».
Nel gennaio del 1945 Primo Levi fu liberato da Auschwitz e da lì intraprese il lungo viaggio di ritorno a Torino attraverso l'Europa occupata dai russi e dagli americani. Vent'anni dopo raccontò quest'esperienza nella Tregua. Tra l'ottobre del 2004 e l'estate del 2005, Marco Belpoliti e il regista Davide Ferrario si sono messi sulle tracce dello scrittore per trarne un film, "La strada di Levi". In un percorso a tappe che li ha portati dalla Polonia all'Ucraina, dalla Bielorussia alla Moldavia, dalla Germania all'Austria, hanno visitato i luoghi in cui era passato Levi, documentando quello che vedevano e ascoltando le storie che quei posti e le persone che li abitavano avevano da dire loro. Da questa esperienza è nato anche il volume di Belpoliti "La prova": un taccuino di viaggio, un racconto fatto di parole, fotografie e disegni nei luoghi della Tregua per capire l'Europa che sarebbe venuta. Pubblicato con una nuova postfazione a distanza di dieci anni dalla prima uscita, il libro si muove agile tra storia e memoria, tra passato e presente, tra crolli e apocalissi presenti e future, e costituisce anche un modo per entrare nell'opera di Primo Levi attraverso un corpo a corpo con le sue parole, le sue idee, i suoi pensieri.
Un bambino ebreo di soli otto anni, cresciuto nel calore di una famiglia benestante della Bucovina, antica provincia dell'Impero asburgico, viene strappato all'improvviso dal suo mondo, dalla sua lingua, dagli affetti più cari e conosce le atrocità di un campo di concentramento nazista, la fuga, anni di solitudine tra i boschi, per approdare infine in Israele, dove diventa scrittore: "uno scrittore profugo di una narrativa profuga, che ha fatto dello sradicamento e del disorientamento un argomento tutto suo". Con le tre lezioni contenute in questo libro, presentate in forma definitiva alla Columbia University di New York, Aharon Appelfeld conduce il lettore al cuore della sua esperienza e della sua narrativa. Con lucidità estrema, e una prosa limpida e luminosa, affronta questioni cruciali, come il rapporto difficile eppure fecondo tra scrittura, memoria e immaginazione; tra arte e orrore; tra Shoah e fede religiosa. Grande è la fiducia nella letteratura e altissimo il compito che le viene assegnato: attingere la verità dai particolari, "riscattare la sofferenza dai grandi numeri, dal terrificante anonimato... ridare alla persona sfigurata dalla tortura il volto umano che le era stato strappato via". In chiusura, una significativa conversazione a tutto tondo con l'amico e scrittore Philip Roth offre l'occasione di ripercorrere momenti e pagine di una vicenda artistica ed esistenziale di rara intensità.
"Un giorno ricreerò quella magia." Claudio Abbado aveva sette anni quando, nel loggione del Teatro alla Scala, i Nocturnes di Debussy diretti da Antonio Guarnieri gli strapparono quella promessa. Ne aveva trentacinque quando della Scala divenne direttore artistico. E cinquantasei quando raccolse da Herbert von Karajan la direzione dei Berliner Philharmoniker. Una carriera luminosa fatta di musica, viaggi, curiosità, impegno: dagli esordi nella Milano degli anni Sessanta, tra utopie e contestazioni di piazza, ai 90.000 alberi chiesti nel 2010 al posto del cachet per tornare nella sua città; dal podio del Concerto di Capodanno con i Wiener a quello del concerto di compleanno di Fidel Castro a Cuba; dal rilancio del Festival di Lucerna alla creazione dell'Orchestra Mozart a Bologna. Tutto questo nonostante la malattia, accettata come una nuova occasione per rimettersi in gioco, quasi una nuova avventura. Nel vivido puzzle di memorie composto da Giuseppina Manin non c'è solo l'artista, ma l'uomo: un Claudio Abbado che ci appartiene e ci interpella più che mai. È vivo il suo messaggio di difesa della natura: lui stesso confessava di sentirsi, in fondo al cuore, "un giardiniere". Sono vive la battaglia per una musica libera e per tutti, e la filosofia del silenzio e dell'ascolto. Sono vivi i suoi passi nei luoghi che amava, dai magici boschi dell'Engadina alle coste ventose della Sardegna. Perché il viaggio, per i veri viaggiatori, non ha fine.
Forse ha ragione Blaise Pascal quando scrive che "tutta l'infelicità degli uomini proviene da una cosa sola: dal non saper restare tranquilli in una camera". Ma la felicità non dipende soltanto dalla nostra capacità di riflettere e meditare in solitudine, benché questo sia un ingrediente fondamentale. La socialità, l'altruismo, i legami d'amore e di amicizia contano altrettanto. La conquista della felicità è il nostro chiodo fisso, inutile negarlo. Solo che, come per un sortilegio, pare che siamo irresistibilmente orientati a cercarla dove non c'è. Armando Massarenti suggerisce una via per trovare, ognuno con i propri mezzi, l'equilibrio necessario. La scommessa di questo libro è mostrare che una formula, neppure tanto complicata, ce l'avevano proposta i filosofi antichi, elaborando massime ed esercizi pratici che disegnavano stili di vita improntati alla saggezza e al buon vivere. E l'efficacia di tale formula è oggi confermata dagli esperimenti e dalle nuove scoperte di neuroscienziati e psicologi morali: da qui la proposta di tornare ad attingere a una fonte che i secoli non hanno affatto inaridito. Così, dall'eros all'amicizia, dalla politica alla conoscenza, dalla bellezza alla morale, Platone e Aristotele, Eraclito e Democrito, Epitteto e Marco Aurelio, Epicuro e Lucrezio, Seneca e Cicerone ci insegnano ad abbandonare le vie sbagliate e gli errori più comuni per trasformarci in fortunati cercatori di felicità.
"Il tempo trascorso con un libro non è mai del tutto sprecato, nemmeno se l'esperienza non è stata felice: qualcosa da imparare c'è sempre." Fedele a questa affermazione alla base della sua "filosofia di lettura", Nick Hornby ci accompagna in un viaggio tra i suoi variegati acquisti libreschi, cogliendo l'occasione per parlarci non solo di libri, ma anche e soprattutto di amore, di figli, di sesso, di calcio, di musica... in una parola, di vita. Che si tratti di un poderoso saggio di oltre seicento pagine su sei anni di storia della Gran Bretagna, imprevedibilmente avvincente, o di un classico come Dickens (letto però su un e-reader per provare il brivido del contrasto...) oppure ancora di una serie di libri per ragazzi letti insieme ai suoi figli, i consigli e i commenti di Hornby sono sempre dettagliatissimi, fuori dagli schemi e molto divertenti. Piacevoli come e più dei romanzi di cui scrive. Certo, ci sono anche dei momenti di interruzione dovuti a cause di forza maggiore, per esempio i Mondiali di calcio. Capita allora che, sotto una montagna di cartelloni dei risultati e ricevute di scommesse, si ritrovino sparsi un po' dovunque avanzi di romanzi sbocconcellati, ma nulla che non si possa recuperare dopo il fischio finale e a televisore spento. Perché bisogna ricordare che "quello che mette la palla in rete, la persona che conta davvero, è il lettore. È lui a calciare, è lui a segnare".
Nell'agosto del 1941, a seguito di alcuni attentati contro gli occupanti tedeschi, tutti i francesi loro prigionieri vengono dichiarati ostaggi: in caso di ulteriori attacchi, saranno fucilati. È l'inizio di un'inaudita spirale di violenza che culmina nell'ottobre dello stesso anno in vere e proprie esecuzioni di massa, suscitando indignazione nell'opinione pubblica francese e crescenti riserve anche tra i responsabili del comando militare tedesco a Parigi, in conflitto con Berlino. Incaricato dal comando di documentare fatti e responsabilità a futura memoria, il capitano Ernst Jünger stila un resoconto degli eventi asciutto e puntuale. Al documento accosta però la traduzione delle ultime lettere degli ostaggi condannati a morte dopo l'attentato di Nantes del 20 ottobre 1941, strazianti eppure composte e coraggiose. Tanto basta per sublimare la cronaca trasformandola in un omaggio commosso alla dignità delle vittime, per rivelare, dietro il soldato, l'uomo e lo scrittore.
Il manoscritto di "Soggiorni" fu il regalo che Martin Heidegger fece alla moglie per il suo settantesimo compleanno. Heidegger era partito nella primavera del 1962. A lungo frequentata attraverso le parole dei pensatori, il canto dei poeti antichi e i versi di Hölderlin, la Grecia diventava finalmente la meta di un viaggio reale. Lo stile di queste pagine è insolito per un pensatore di cui conosciamo la scrittura densa e pregnante, scevra di riferimenti alla biografia e alle vicende personali. Ma il suo è anche un viaggio "di pensiero", di ricerca, intrapreso sull'impulso di un interrogativo preciso, che ritorna costantemente formulato nelle parole dei tragediografi e dei poeti. E quella Grecia delle origini che inizialmente sembra negarsi, affondata, lontana, sfigurata dal progresso e dalla tecnica, alla fine si rivela, e giunge il momento in cui il viaggio si trasforma in un "soggiorno".
Tutta l'opera di Rabindranath Tagore è costellata di massime, di riflessioni sulla vita, di rapide intuizioni, di brevi lampi in cui si manifesta una vera e propria sadhana, un percorso di vita ideale suggerito e guidato da una saggezza di radici profonde; una saggezza che proviene dalle Upanisad, si richiama alle visioni di armonia dei Rsi, i bardi dell'India antica. Questa scelta di massime cerca di ricostruire tale cammino desiderato verso una felicità possibile, in due pertinenti direzioni: la ricerca segreta di un equilibrio interiore, di un'armonia individuale e di tutto ciò che può aiutare a raggiungerla; e la scoperta dell'altro da sé fino all'arrivo a una meta possibile di tutta l'esistenza: la gioia che tutto pervade.
Ormai solo un dio ci può salvare è il titolo che la redazione del giornale tedesco "Der Spiegel" diede a un colloquio che si svolse tra Heidegger e due inviati del settimanale. Secondo la volontà di Heidegger questo testo - in cui risponde alle accuse di collusione con il nazismo - non doveva essere pubblicato se non dopo la sua morte. Grazie a esso, come scrive Marini nella sua introduzione: "Chi si accontenta di poter dire che Heidegger è stato 'nazista' può (gli è permesso) farlo; chi però vuol saperne di più, può (ha la possibilità di) andare oltre senza che... debba sentirsi trasformato a sua volta in un 'difensore del nazismo'". "Ormai solo un dio ci può salvare" è un contributo al chiarimento del "caso Heidegger", ma anche lo straordinario documento di un pensiero che - venerato o detestato che sia - domina la filosofia europea del Novecento.
Di dizionari filosofici ne sono stati scritti tanti, ma il più delle volte trattano di questioni come Dio, la sostanza, il destino, la libertà, e qualche volta persino con un tono oracolare, o quantomeno professorale. Invece, in questa «filosofia per dame» – che significa, illuministicamente, «filosofia per tutti», non solo per chierici o addetti ai lavori –, si tratta anche di temi non canonicamente metafisici, come il lasciarsi, lo stress, il marito pantofolaio, i corteggiatori forse molesti, le vacanze e i suoceri, fino alle più moderne e postmoderne gaffes sul web o amicizie di Facebook.
Temi classicissimi, in realtà, e spesso importanti, gravi quando non addirittura funesti, ma classicamente reputati poco filosofici, e ai quali questo dizionario cerca di dare delle risposte, il più possibile pratiche e attuabili, sfatando il mito secondo cui la filosofia dovrebbe soprattutto porre domande. L’ordine delle voci è ovviamente alfabetico, ma si gioca con i rimandi, che creano nessi psicoanalitici e spiazzamenti liberatori. Il vantaggio, in veste di filosofi, è che nel dare risposte «non si è costretti a essere ottimisti o confortanti. Al massimo si possono suggerire piccoli stratagemmi, giacché, come scriveva Gracián, la vita è milizia contro la malizia umana». E se poi la milizia non dovesse aver la meglio sulla malizia, resterebbe pur sempre l’estrema risorsa di Scarlett O’Hara: dirsi che domani è un altro giorno, e prenderla con filosofia.
Ogni dizionario che si rispetti è fatto di «definizioni », e definire «significa rinchiudere la sconfinata foresta dell’idea in un muro di parole». A Samuel Butler, autore di questo aforisma, è però toccato di ritrovarsi autore solo post mortem di un Dizionario dei luoghi non comuni scelti dai suoi taccuini. Neppure Armando Massarenti avrebbe mai pensato di comporre un Dizionario, sia pure sui generis come questo, se non lo avesse trovato già scritto ripercorrendo a ritroso il suo avventurarsi nella foresta, delle idee che hanno animato il dibattito culturale degli ultimi anni. Idee a prima vista piuttosto comuni, almeno per un dizionario filosofico-scientifico: argomentazione, assurdo, atarassia, bello, benevolenza e così via, fino a vendetta, verità, zero, passando per i meno usuali albi professionali, applauso o win for life. Ma di non comune in questo Dizionario non ci sono tanto le voci quanto la maniera in cui sono trattate.
Lo spirito in apparenza da bastian contrario va interpretato come una lotta per non farsi ingannare dal dibattito attuale, che tende più a confondere che a chiarire, per fare in modo che queste idee – a partire da agnosticismo, fino a giustizia o vita – smettano di essere confuse nel guazzabuglio della neolingua di stampo orwelliano che si è venuta formando intorno a concetti filosofici di pubblico interesse. L’intenzione non è stupire, ma rimettere le cose a posto. Oppure rimettere le cose a posto suscitando stupore.
«Il mare e la filosofia condividono lo stesso movimento: incarnano la vita, le indicano una rotta.» Strana unione quella tra il mare e la filosofia. Eppure la filosofia è nata sotto il segno dell’acqua, nelle città greche dell’Asia Minore, sulle rive del mar Egeo e dello Ionio. Già Talete sosteneva che l’elemento liquido costituisce il principio del mondo, e che cos’era se non una talassocrazia quella che si stabilì sulle rive del Mare Nostrum? Il mare è presente nel pensiero dei più grandi filosofi: da Kant, che descrive il paese della verità come un’isola circondata da un vasto e tumultuoso oceano, a Nietzsche, che insiste sul silenzio del mare, fino ai grandi del XX secolo, come Foucault, per il quale il mare rappresenta l’insignificanza, la perdita di senso.
Da questo breve excursus filosofico prende avvio una meditazione sul mare che è una meditazione sulla vita: il mare ha una saggezza intrinseca che stimola il pensiero; un bagno o una passeggiata sulla spiaggia hanno un potere salvifico e rigenerante, che manda in frantumi i pregiudizi e libera dal narcisismo, guarisce i nostri corpi e al tempo stesso solleva dalle angosce. Unendo profondità e leggerezza, Cécile Guérard tratteggia una sorta di acquerello filosofico, grazie anche ai molti autori qui convocati – Michaux, Bachelard, Hugo, Sartre, Michelet, Hemingway... – per contribuire a questa sinfonia muta e meditativa che fa sognare e riflettere.
Un protagonista della cultura del Novecento, una figura complessa e luminosa, un artista versatile e geniale, un eretico... Questo è stato Pier Paolo Pasolini, ma non solo: per la vita che ha condotto e per la morte che ha incontrato, Pasolini è stato anche un simbolo della società italiana e dei suoi cambiamenti. Ecco perché la biografia scritta da Nico Naldini, che ne fu il cugino, è tanto preziosa. Perché mescola, con lucida sobrietà, ricordi personali e ricostruzione documentata, spirito analitico e commozione; e ne disegna un ritratto volutamente essenziale. Riemergono così, da un passato ancora tanto vivo, le estati friulane dell'infanzia, il rapporto con la madre e l'indomabile vocazione pedagogica, l'amore per la semplicità dei conladini e la "competenza in umilia". E poi, subilo dopo, le prime tensioni politiche, la scelta militante del comunismo e la sofferenza per la morte del fratello Guido, nella strage di Porzus. E quindi, nella piena malurità artistica, la scoperta di Roma e delle sue periferie, la capacità tutta pasoliniana di entare in contatto con il mondo dei "miseri" e delle borgate. Fino a quella terribile morte violenla, che in troppi hanno voluto circondare di mistero e che Naldini interpreta invece nella sua lineare essenzialità, senza alcuna concessione ai complottismi.
Perché si è diffuso il tramezzino? Per quale ragione i bambini amano i dinosauri? E ancora, cosa sono gli shopper e perché ci piacciono tanto? Perché spesso indossiamo la tuta e chi l'ha inventata? In questo libro composto da 100 pezzi brevi, accompagnati da disegni, Marco Belpoliti getta uno sguardo inusuale sulla nostra vita quotidiana. Più esattamente sugli oggetti, i comportamenti e le piccole manie di ogni giorno. Ci parla dello spazzolino da denti e degli scarabocchi, delle radio nelle banche, dei post-it della propaganda di Bertinotti e degli evidenziatori preferiti da Silvio Berlusconi. Il suo sguardo si rivolge alle cose minime, quelle di cui nessuno si cura, ma che invece definiscono molti aspetti della nostra vita. Gli oggetti d'uso hanno infatti invaso la nostra casa, gli ambienti dove lavoriamo, mangiamo, dove facciamo l'amore o litighiamo. Sono piccole "cose" che tuttavia permettono all'autore di intessere fulminanti ragionamenti sull'abitare, sul consumo, sulla natura stessa delle merci, sugli spazi pubblici, sulle manie private, sulle paure e sulle ansie a cui andiamo soggetti.
Da una fortunata rubrica de "Il Sole 24Ore" alle librerie italiane. Massarenti ripete che la sua è un'operazione che vorrebbe "sgonfiare" i concetti un po' tronfi (e incomprensibili) dei filosofi di professione. Ecco quindi una raccolta di voci che, tratte da temi, eventi, figure dall'esperienza quotidiana più minuta o da singoli fatti politici e declinate in senso morale, sono in grado di comporre un ideale dizionario filosofico a partire dalla realtà quotidiana; una ridefinizione attenta di grandi idee morali e sociali (la felicità, la libertà, la ricchezza), che raccolte in un unico volume, e affidate alla coscienza e intelligenza del lettore, compongono un manuale per ragionare più lucidamente e quindi vivere un po' meglio.