Nessun popolo lo ha eletto, non vi è stata alcuna votazione democratica in alcun parlamento. Ma un consesso di oligarchi si è sostanzialmente autonominato Senato del mondo in base al censo e alla classe sociale. Il ruolo del popolo è più o meno di ratificare, attraverso quello che si è ridotto a un rito formale - le elezioni -, decisioni già prese e comunque separate dalle politiche economiche, che si muovono su binari diversi dalla politica vera e propria. Noam Chomsky è un acuto conoscitore delle dinamiche del potere, e un infallibile premonitore dei mali che affliggono le società occidentali. Quasi trent'anni fa aveva predetto il disastro della speculazione finanziaria, che negli anni ha sostituito l'economia di investimento, e il progressivo sgretolamento delle democrazie da parte delle ricche élite che più di tutto odiano essere intralciate da istanze sociali. Queste pagine rappresentano una sorta di "viaggio illuminante" nella società, nei media e nelle stanze del potere di un sistema che rischia di trovare la sua prima ragion d'essere nel metodo di spartizione del bottino fra potentati economici e conniventi politici. Demolitore delle ipocrisie del politicamente corretto, Chomsky è stabilmente nella lista dei dieci autori più citati di sempre (in compagnia di Shakespeare e di Aristotele, di Marx e della Bibbia), ma benché sia trattato come un'autentica celebrità in Europa e sia senza dubbio un critico sociale di enorme valore, appare l'equivalente moderno dei profeti del Vecchio Testamento: gli si addice il detto "nessuno è profeta in patria". Eppure le sue analisi e previsioni si rivelano quasi sempre sorprendentemente esatte. Per questo, per capire come va il mondo, per capirlo davvero, è bene partire da Noam Chomsky.
Mary Lee sta sulla riva del fiume di Gee's Bend e aspetta. Spera che il traghetto non arrivi, ma se arriverà, ci salirà. Tremerà perché non sa nuotare e non riesce a dimenticare le molte volte in cui ha attraversato questo brutto fiume marrone solo per trovare ancor più bruttezza sull'altra riva. Ma la paura non ha mai vinto contro Mary Lee, e non c'è fiume che possa fermarla. Anche se questa mattina il suo pensiero giusto le dice che qualcosa è in arrivo, qualcosa di grosso. Forse un traghetto. Forse la morte. Forse la fine del suo santuario sul fiume, l'unica casa che abbia mai conosciuto. Sembra tutto sempre lo stesso qui a Gee's Bend, in Alabama. Qui la guerra civile è arrivata e se n'è andata, ma gli schiavi sono rimasti, e i loro figli, e i loro nipoti, e i pronipoti, e così via, fino a oggi. Qui si sono fatti conquistatori. Sono sopravvissuti ai padroni, si sono ripresi le piantagioni e ne hanno ricavato di che vivere in splendido isolamento. In parte è il fiume stesso a isolarli, in parte è una questione di personalità. Ma sono soprattutto i bianchi ad aver fatto il possibile per tenerli separati, più segregati di una colonia di lebbrosi. E adesso, all'improvviso, vogliono portare a Gee's Bend un traghetto nuovo fiammante. Come Dio, il fiume è qualsiasi cosa ne dica chi lo ama o chi lo teme: selvaggio e calmo, crudele e gentile. Si muore molte volte nel corso di una vita, e Mary Lee sa che ogni morte è un'illusione.
"La più grande vittoria del Diavolo è farci credere che non esiste". Per anni padre Amorth ha ripetuto queste parole mettendo in guardia la modernità che ha ucciso da tempo Dio e il suo Nemico. In quest'ultimo libro - alla cui stesura ha riservato speciale dedizione - il celebre esorcista riassume tutto il suo pensiero, tracciando un identikit di straordinaria efficacia per riconoscere e stanare il Maligno che s'insinua in noi e intorno a noi. Un'inchiesta che documenta tanti casi recenti di possessione e di macchinazione satanica in luoghi insospettabili della società contemporanea. Chi è il Demonio? Come agisce nel mondo? Ma soprattutto dove si nasconde ai nostri giorni? Come arriva a possedere un'anima e cosa accade quando una persona viene posseduta? Maghi, indovini, negromanti, occultisti sono i torbidi protagonisti di tante storie, ma ci sono anche madri di famiglia, adolescenti, professionisti inappuntabili, uomini di Chiesa e di potere. Indicando tutte le tecniche per difendersi e difendere i propri familiari, l'autore fornisce molti indizi per capire se una persona sta precipitando nel baratro di Satana e dei satanisti. Un capitolo scottante è dedicato alla Chiesa: la battaglia fra il bene e il male sarà durissima, ma la vittoria finale di Cristo aprirà un tempo nuovo in cui il Principe delle Tenebre sarà sconfitto.
Questo libro è il manifesto della battaglia per i diritti umani che Cécile Kyenge conduce da una vita e su cui ha fondato la sua attività di ministra per l'Integrazione. Un pamphlet dalle argomentazioni forti, che non si limita a sviscerare i temi che l'hanno vista al centro del dibattito politico e mediatico, ma che racconta tante storie: vicende talvolta drammatiche di dignità umana negata e calpestata, ma anche avventure a lieto fine d'integrazione positivamente realizzata, che mostrano un volto italico aperto all'arrivo del nuovo e capace d'intuire che gli immigrati non sono un pericolo ma un'occasione di mutua crescita. È in tempi di crisi che l'unione fa la forza. I diritti - come spiega l'autrice - sono un bene comune come la conoscenza, l'arte, la pace: più sono distribuiti più ciascuno di noi ne gode.
Giulio Giorello e Carlo Maria Martini. Il filosofo e il cardinale. Una grande amicizia umana e intellettuale. Un vivace rapporto di collaborazione intessuto di reciproca attenzione alle questioni esistenziali, scientifiche e spirituali che stavano a cuore a entrambi. Per l'uomo di pensiero che firma queste pagine - ricche di suggestioni culturali ed etiche - Martini fu un credente dall'ampio respiro, pronto a parlare con tutti, perfino con gli atei più feroci; un credente che non aveva paura del relativismo, ritenendolo premessa indispensabile alla relazione, e ancor meno dell'individualismo, inteso come un diritto inalienabile alla propria singolarità e alla propria coscienza nell'ambito di una comunità, di una polis. In questo ritratto inaspettato, Giorello - che collaborò alla "Cattedra dei non credenti" inventata da Martini nella diocesi ambrosiana - delinea due posizioni distinte, eppure capaci di dialogare fra loro per portarsi reciprocamente più vicine a una "verità" mai totalmente afferrabile, e disposte ad accogliere, nella fatica della ricerca, visioni più vaste in un moltiplicarsi di orizzonti. Al termine della riflessione il filosofo conclude il suo percorso con una frase illuminante: "Sono un tipo particolare di ateo cui non interessa più prevalere sulla pelle (sulla mente, sulla carne) di chi crede. Ringrazio Carlo Maria Martini per aver purificato il mio ateismo da questa tentazione".
I Dieci comandamenti non reggono più. Sono confusi, ambigui, tutt'altro che "scritti nella pietra". Di fatto, sono una sorta di work in progress che costringe a un sacco di stucchevoli precisazioni. Per esempio, dire "Lo sa solo Dio" è nominare il suo nome invano? E sul non uccidere, ci sarebbe quel passaggio dell'Esodo che invita i figli d'Israele a sterminare i nemici... Tralasciando le considerazioni che si possono fare sul non desiderare la donna d'altri, o la roba d'altri. No, non reggono più, è di tutta evidenza. Erano destinati a un gruppo di tribù nomadi dei tempi andati, quindi andrebbero emendati e rivisti, in questi tempi di crimini ambientali, ladroni dell'alta finanza, guerre pseudo-sante... Per non dire di chi urla in pubblico al cellulare. Ci occorre un nuovo codice morale, insomma, ma ragionato, non in pillole. Per fortuna ci pensa Hitchens, al suo meglio, con il consueto inconfondibile humour, la sua acuta intelligenza, le sue provocazioni intellettuali mai banali o pretestuose.
Attinge alle emozioni più profonde questa lettera appassionata, e il suo autore, fra i più grandi cineasti viventi, non nasconde che forse disturberà gerarchie e devoti benpensanti, ma nella sincera convinzione che il nostro Occidente e la nostra Italia - sempre più piccola e incapace di grandi slanci - abbiano bisogno di un supplemento d'anima. La Chiesa dell'ufficialità è sempre più lontana dagli uomini di questo tempo, il suo apparato ha esaltato la "liturgia del rito" dimenticando la "liturgia della vita", ha aperto sportelli bancari anziché combattere l'idolatria del superfluo, ha fatto di se stessa un dogma svilendo la sacra libertà della coscienza. Questa progressiva lontananza dall'umanità è coincisa con un allontanamento da quel falegname e rabbi di Nazareth che con la sua vita ha suggerito l'unica strada della gioia: spendere senza sconti il bene prezioso della propria esistenza. Nel rivolgersi alla Chiesa, Olmi chiama in causa anche altre "chiese", che con la loro supponenza si sono allontanate dalla realtà: le "chiese" dei potenti, delle lobbies, degli pseudo-intellettuali e di tutti coloro che vorrebbero condannarci a consumare in perpetuo per sostenere sistemi ed economie che hanno divorato il patrimonio di nostra madre Terra nell'illusione che le sue risorse fossero illimitate.
La ragazza che al fidanzato in mostruoso e reiterato ritardo risponde con nonchalance: «Oddio, scusami, non sono ancora pronta, mi dai cinque minuti?» sta affermando la superiorità dell’essere umano su quello che gli capita. In poche parole, sta facendo dell’ironia invece di usare un qualunque oggetto contundente. È molto più pulito, dignitoso e decisamente liberatorio.Lella Costa, liquidatrice del suddetto fidanzato e oggi, non per caso, signora dell’ironia, ci racconta come mai questa arte dello sguardo obliquo sia indispensabile per affrontare con leggerezza gli sgambetti della vita. Attingendo ai classici della letteratura e della musica, da Socrate all’immenso Shakespeare, da Lewis Carroll al Signor Bonaventura, da Paolo Conte a De André, e dal proprio repertorio, ci fa scoprire che l’ironia è un filo rosso, probabilmente il vero talismano che nei secoli ha protetto l’umanità da adolescenze inquiete, cuori infranti, rughe precoci, su su fino a guerre, dittature vere e democrazie da operetta. E benché l’ironia sia difficile da spiegare (esistono fior di saggi per quello), forse impossibile da insegnare e da imparare (diffidare di chi si autoproclama ironico), si può pur sempre viralizzare, sin dalla più tenera età. Anche il sorriso, come lo sbadiglio, è contagioso.
"Ops... stanno finendo i terroni. Ma come, già? E così, da un momento all'altro?" Così Pino Aprile inizia, nel modo provocatorio che gli è congeniale, questo suo pamphlet, che affronta l'annosa e scontata Questione meridionale da un'angolatura completamente diversa. In un mondo che sta cambiando a incredibile velocità, ha ancora senso definire la realtà in base a criteri geografici, come quelli di Nord e Sud, che nell'interpretazione dei più portano con sé una connotazione meritocratica ormai superata? E possibile utilizzare ancora definizioni di questo tipo quando internet, la Rete, sta tracciando una mappa che non tiene più conto dei vecchi confini, anzi se ne è liberata per ridisegnare uno spazio davvero globale, senza Sud e senza Nord, di cui fa parte la nuova generazione, tutta, figli dei "terroni" compresi? No, dice Aprile, tutto questo è irrimediabilmente finito, passato, travolto dal vento delle nuove tecnologie che, spinto da molte volontà, sta creando un futuro comune, un futuro che unisce, invece di dividere. Forse i padri non se ne sono ancora accorti, ma i figli sì, lo sanno, così come sanno che quella che hanno imboccato è una strada di non ritorno. "Il Sud è un luogo che non esiste da solo, ma soltanto se riferito a un altro che lo sovrasta." Ma nello spazio virtuale, lo spazio dei giovani di tutti i paesi, le direzioni non esistono più.
Questo capitalismo è in crisi. È sotto gli occhi di tutti. Il debito pubblico è alle stelle, non solo in Francia o in Italia, dove siamo abituati a sentircelo dire, ma anche negli USA e perfino in Cina. Sì, proprio quella Cina che da traino dell'economia mondiale rischia ora la recessione, a causa di una bolla immobiliare pronta a esplodere e le cui dimensioni saranno ancora più grandi di quella americana che è stata all'origine dello tsunami dei mutui subprime. Di fronte al disastro, governi che prestano ascolto alle società finanziarie ben più che ai loro cittadini continuano a perpetuare le stesse ricette, rischiando così di aggravare la situazione perché intanto precarietà e disoccupazione aumentano - e precari e disoccupati non possono certo contribuire né al pil né alla crescita. In un simile scenario, chi guadagna? Solo banche, finanza, grandi rendite, grandi azionisti. Per decenni, l'economia occidentale ha prosperato in un rapporto tra le retribuzioni dei top manager e quelle dei lavoratori all'inarca di 20 a 1. Ma se oggi si arriva a 200 volte e più, è chiaro che il sistema non può reggere. È giunto il tempo, finalmente, di inquadrare correttamente i problemi. Di ribadire che la disoccupazione non è solo conseguenza, ma è soprattutto causa della crisi. Di constatare quanto redditi e benefici fiscali si siano spostati verso i segmenti più ricchi e ristretti della società a discapito dei ceti medi, grazie alla favoletta che questo avrebbe creato investimenti, occupazione...