C'è, infatti, una modalità di fare politica - che non fu certo del solo La Pira, ma che lui visse in maniera del tutto essenziale - che deve essere riconsegnata alle giovani generazioni: la politica, cioè, come la capacità «di proporzionare le risorse ai bisogni», secondo il programma che La Pira espresse nel suo primo discorso da Sindaco di Firenze, e come è riaffermato spesso nelle pagine di questo libro. La politica è la capacità degli uomini, della loro intelligenza e della loro volontà, di trovare le risorse per risolvere i problemi degli ultimi. È decisivo, quindi, imparare che il problema degli altri è il mio. Giorgio La Pira lo aveva imparato ad una scuola speciale, quella della eucarestia celebrata coi poveri. È commovente che Giulio Andreotti, ormai molto anziano, riconosca - come si capisce da queste pagine - in La Pira un suo maestro di vita proprio per averlo coinvolto nella messa coi poveri.
Una vivace ragazza castigliana stretta nel dilemma tra matrimonio e convento; una borghese di origine ebraica alla ricerca di una nuova e diversa identità nella Spagna da cui gli ebrei erano stati espulsi nel 1492 e dove gli ebrei convertiti al cristianesimo erano strettamente controllati dall'Inquisizione; una monaca che sceglie la via della perfezione; una mistica che fonda nuove comunità monastiche femminili (e maschili) nel clima controriformistico del Concilio di Trento, tra difficoltà e resistenze di ogni tipo; e infine un'accanita lettrice che si fa scrittrice, che si dedica per tutta la vita a dare voce, parola, forma e durata alle proprie esperienze. Intorno alla figura di questa donna si snoda una straordinaria galleria di luoghi e personaggi, una trama di eventi minimi e grandiosi. Il racconto, fittamente intessuto di documenti d'epoca e di brani delle opere e delle lettere di Teresa, procede come se si guardasse quel mondo con gli occhi della Carmelitana e lo si leggesse con il conforto - per quanto possibile - della sua parola sempre viva e diretta.
Pubblicato per la prima volta nel 1993, il libro propone la ricostruzione storica della vita e del pensiero di Ipazia di Alessandria sullo sfondo dei conflitti politici e religiosi che caratterizzarono la sua epoca (IV-V sec. d.C). Filosofa e politica di prestigio, Ipazia fu una dei più importanti protagonisti di un movimento di rinascita politica e culturale che si ispirava ai valori della tradizione classica e si contrapponeva alla politica della chiesa gerarchica degli episcopi. Da alcuni suoi contemporanei fu riconosciuta come la terza grande caposcuola del platonismo dopo Platone e Plotino. Fu l'ultima grande astronoma dell'antica scuola matematica di Alessandria. Morì assassinata sulle strade della sua città natale nel marzo del 415.
La giustizia ha essenzialmente a che fare con l'altro, ed ognuno di noi è l'altro del suo vicino. Si resta affascinati frequentando il pensiero di Tommaso d'Aquino, in esso traspare acutezza speculativa, modernità, applicazione pratica, che sovrasta ogni tempo, che mai esaurisce il suo servizio d'ausilio per ogni epoca, ancor più per questa nostra, anelante senso compiuto di giustizia.L'Aquinate vive il suo tempo ma illumina anche il nostro, richiama alla comprensione della virtù della giustizia, evidenzia come il compito primario di essa sia ordinare l'uomo nei rapporti verso gli altri, edificando se stesso per edificare il prossimo, al fine di costruire un sano bene comune, un rigenerato umanesimo.
L’assunto speculativo ed etico della centralità della Persona contraddistingue e conferisce attualità perenne all’umanesimo di Caterina da Siena. Profondamente coinvolta nelle vicende del suo tempo, si avvede dell’assenza morale ed etica nei costumi civili e religiosi. Si prodiga per scuotere le coscienze a rinsavirsi verso l’attenzione al senso della libertà, al senso dell’agire politico. Gli scritti e il suo esempio volitivo, evidenziano principi di una filosofia sociale che presenta notevoli analogie con l’insegnamento di Tommaso d’Aquino, principi capaci di muovere a una cultura della speranza e, per questo, della vita bella.
Una spiritualità può dare impulso e spessore ad un vero e proprio sapere teologico. Il modello di vita vissuto e proposto da Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, ha arricchito il cristianesimo di nuove pro-spettive, rivelandone le avvincenti e imprescindibili potenzialità cristologiche. Il lavoro di Anna Maria Fiammata costituisce un tentativo di tracciare le linee “del contributo sorgivo e centrale al pensare teologico, oltreché all’esperienza credente, che viene offerto alla Chiesa e al mondo odierno dall’intuizione del mistero di Cristo di cui è informata e da cui è plasmata l’Opera multiforme cui ha dato vita l’avventura cristiana di Chiara Lubich” (Piero Coda). Il conoscere teologico che scaturisce da una donna del nostro tempo incoraggia una cultura dell’Unità, non solo come espressione di un sapere integrato, ma anche come forma di dialogo, sia ecumenico che interreligioso.
Due straordinarie figure nella Chiesa: San Giuseppe e Don Alberione, che si incontrano nella famiglia paolina. San Giuseppe, il santo del silenzio", don Alberione, un ideale biografo del grande santo. "