"Mia madre è sempre stata una persona scomoda, non solo per le autorità russe, ma anche per la gente comune. Scriveva la verità, nuda e cruda, su soldati, banditi e civili finiti nel tritacarne della guerra. Parlava di dolore, sangue, morte, corpi smembrati e destini infranti." Giornalista di "Novaja Gazeta", uno dei principali quotidiani dell'opposizione russa, Anna Politkovskaja ha raccontato fino alla sua morte la seconda guerra in Cecenia, la corruzione, i delitti e le omertà della Russia di Putin. Il 7 ottobre 2006, quando è stata uccisa nella sua casa nel centro di Mosca, il suo volto è diventato il simbolo della libertà d'espressione. Sua figlia Vera aveva ventisei anni e da quel giorno si è battuta insieme al fratello Il'ja per avere giustizia. Ha vissuto sulla sua pelle tutte le lentezze e le ambiguità della macchina della giustizia russa, le informazioni contraddittorie, le ipotesi più assurde. E soprattutto ha lottato per ricordare la lezione della madre: "siate coraggiosi e chiamate sempre le cose con il loro nome, dittatori compresi". Dopo l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia, il cognome Politkovskaja è tornato a essere oggetto di minacce di morte al punto da doversi trasferire in una località segreta con la famiglia. Ha scritto questo libro perché sua figlia, la nipote che Anna non ha mai conosciuto, e il mondo intero possano ricordarsi sempre la storia unica di una donna che non ha mai nascosto il suo dissenso per la politica di Vladimir Putin e che non ha avuto paura di denunciare le violazioni dei diritti umani in Russia compiute da un ex ufficiale del Kgb diventato l'artefice di un minaccioso disegno imperiale.
Da dove nascono la guerra, l'avidità, lo sfruttamento, l'insensibilità alle sofferenze altrui? E qual è l'origine della disuguaglianza, ormai riconosciuta come uno dei problemi più drammatici e radicati del nostro tempo? Da secoli, le risposte a queste domande si limitano a rielaborare le visioni contrapposte dei due padri della filosofia politica: Jean-Jacques Rousseau e Thomas Hobbes. Stando al primo, per la maggior parte della loro esistenza gli esseri umani hanno vissuto in minuscoli gruppi ugualitari di cacciatori-raccoglitori. A un certo punto, però, a incrinare quel quadro idilliaco è arrivata l'agricoltura, che ha portato alla nascita della proprietà privata. Poi sono apparse le città, e con esse si è affermata l'organizzazione fortemente gerarchica di quella che chiamiamo «civiltà». Per Hobbes, al contrario, la necessità di imporre un rigido ordine sociale si è imposta per contenere la natura individualista e violenta dell'essere umano, altrimenti sarebbe stato impossibile progredire organizzandosi in grandi gruppi. Quasi tutti conoscono queste due storie alternative, almeno nelle loro linee generali: riassumono le idee più diffuse sulla storia dell'umanità e la sua evoluzione, e hanno contribuito a definire la nostra visione del mondo. Ma pongono anche un problema: entrambe dipingono la disuguaglianza come una tragica necessità; un elemento che non potremo mai cancellare del tutto, in quanto intrinsecamente legato al vivere comune. Una visione che non convince affatto gli autori di questo libro, decisi a gettare nuova luce sul passato della nostra specie. In una sintesi tanto meticolosa quanto di largo respiro, che coniuga i risultati delle ricerche storiche e archeologiche più recenti al contributo di pensatori provenienti da culture diverse da quella occidentale, il sociologo David Graeber e l'archeologo David Wengrow ci raccontano una storia diversa - più articolata e ricca di chiaroscuri - dell'evoluzione sociale dell'Homo sapiens. Una storia illuminante e attendibile, dalla quale ripartire per provare a immaginare un futuro diverso.
Al giorno d'oggi, la metafora più diffusa per descrivere il cervello è quella che lo paragona a un computer: la sua struttura fisica corrisponderebbe all'hardware, la mente al software. La psiche in via di sviluppo di un neonato non sarebbe altro che un database da riempire di informazioni. Una simile visione ci porta spesso a interpretare i nostri processi mentali quasi fossero programmi, capaci di offrirci soluzioni semplici, rapide e lineari a ogni problema. Esperienze, pensieri, ricordi e sentimenti plasmano senza sosta le nostre reti neurali, che a loro volta determinano il modo in cui pensiamo e sentiamo. Paragonarci a delle macchine, per quanto meravigliose e sofisticate, ci porta a travisare la nostra natura. Sempre più spesso, invece, la psicologia e la biologia contemporanee tendono a recuperare una metafora antica ma efficace: l'idea che possiamo coltivare il nostro io più profondo, che lo si chiami mente o animo, proprio come faremmo con un giardino. Combinando mirabilmente scienza e letteratura, psicoanalisi e racconto, indagine teorica e consigli pratici, questo libro si propone di ricordarci una verità fondamentale, che chi lavora a contatto con la natura conosce da sempre: prenderci cura di un orto o un giardino, di piante che crescono seguendo il proprio ciclo vitale, può influire in modo positivo sulla nostra salute, il nostro benessere psicologico e la nostra autostima. I carcerati cui viene concesso di dedicarsi a coltivare un piccolo giardino hanno meno probabilità di ricadere nel crimine; i giovani a rischio che si sporcano le mani di terra hanno più probabilità di finire gli studi; gli anziani che si dedicano all'orticultura vivono meglio e più a lungo. Dai richiedenti asilo ai giovani in carriera, dai veterani di guerra ai neopensionati, Sue Stuart-Smith ci racconta storie illuminanti di persone che lottano con depressione, lutti e dipendenze, per mostrarci quanto poco sappiamo ancora del potere rigenerativo che la natura può esercitare sulle nostre vite.
Cattolica inquieta e provocatrice, Christine Pedotti si domanda che cosa dicano veramente i Vangeli a proposito delle donne. L'immagine tradizionale è, per molti di noi, quella di Gesù accompagnato dai dodici apostoli; le donne, se ci sono, restano sullo sfondo. Persino sua madre Maria, cui molti fedeli riservano una devozione assoluta, viene a malapena nominata da alcuni evangelisti. L'autrice si propone di interrogare il testo «con gli occhi e gli orecchi liberi da due millenni di interpretazioni prevalentemente maschili». Il risultato è una visione inedita, originale e al contempo rigorosissima, del Salvatore in conversazione con le tante donne che incrociano il suo cammino. Gesù instaura con loro un contatto spirituale e spesso anche fisico: le ascolta, le abbraccia, risponde alle loro domande, discute assieme a loro con interesse e senza mai perdere la pazienza, come gli capita a volte con i suoi interlocutori maschili. Sembra, in molti casi, preferirle. Se siamo pronti ad accostare quei racconti con sguardo libero da pregiudizi, ogni incontro, ogni scambio e ogni gesto ci rivela l'impressionante modernità del messaggio evangelico: in nessun luogo si troverà un «elogio della maternità»; mai si fa l'elenco dei «doveri di una moglie». Nell'appassionata lettura di Christine Pedotti, Gesù non si rapporta alle donne sulla base del loro sesso: si apre a loro in quanto persone.
La battaglia delle donne per l'uguaglianza ha alle spalle una storia lunga, ma nell'ultimo secolo tante cose sono cambiate in meglio; fino al primo Novecento non potevano nemmeno votare, e oggi generano il 40 per cento del PIL mondiale. Se il volume d'affari che muovono nei soli Stati Uniti fosse l'economia di una nazione a sé, avrebbe un posto di diritto nel G7. Possiamo dunque dirci soddisfatti, e affermare di aver sconfitto le disuguaglianze? Tutt'altro. A livello globale, ad esempio, gli uomini hanno ancora il doppio delle probabilità di occupare una posizione di leadership, e nelle economie più avanzate le donne percepiscono solo il 62 per cento dello stipendio accordato ai colleghi maschi. Ancora, sebbene siano responsabili di metà della produzione agricola mondiale, esse costituiscono appena il 20 per cento dei proprietari terrieri. Negando a metà dell'umanità il diritto a una piena emancipazione stiamo causando danni irreparabili sotto il profilo sociale, economico e persino ambientale. Le pagine di questo libro disegnano una storia fatta di violenze, schiavitù, emarginazione; raccontano di spose bambine comprate come oggetti e di donne che non hanno nemmeno diritto alla terra con cui sostentarsi; di accademiche isolate e insegnanti bullizzate. Disuguaglianze il cui costo umano è incalcolabile, ma che secondo la Banca mondiale ci fanno perdere ogni anno centosessantamila miliardi di dollari. È quella che l'autrice chiama economia doppia X: una fonte ineguagliabile di benessere - in ogni senso del termine - che va sprecata a causa di pregiudizi insensati. Unendo dati statistici e storie di vita, Linda Scott ci ricorda quanto ancora resta da fare, e ci indica la via per costruire un futuro migliore. Perché il cambiamento non solo è possibile: è necessario. Il pieno sviluppo dell'economia doppia X assicurerebbe infatti la crescita dei Paesi sviluppati, riducendo rischi e sprechi, mentre nelle nazioni più povere compenserebbe la spinta al disastro generata dal millenario predominio maschile. Tutti obiettivi che non possiamo più permetterci di ignorare.
"Noi riteniamo di per sé evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità." Le parole di Thomas Jefferson nella Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti (1776) hanno definito sin dall'inizio agli occhi del mondo le caratteristiche uniche dell'"esperimento americano". In questo racconto, Jill Lepore ha messo le "verità" di Jefferson al centro della sua indagine su oltre cinque secoli di storia. La narrazione inizia con Cristoforo Colombo, nel 1492, e si conclude nel Paese diviso e tormentato della presidenza Trump. Gli americani di oggi discendono da conquistatori e da conquistati, da schiavi e da proprietari di schiavi, da immigrati e da coloro che hanno combattuto l'immigrazione. "Una nazione contraddittoria sin dalla sua nascita è destinata a discutere per sempre sul senso della propria storia." Perché, in quel giovane Paese votato alla libertà, non tutti erano liberi? Le razze diverse da quella bianca dominante, le donne, le persone omosessuali hanno potuto davvero esercitare i loro "inalienabili diritti"? La democrazia americana ha mantenuto tutte le sue promesse? Le manterrà in futuro? Aneddoti rivelatori su grandi figure e personaggi dimenticati, storie di presidenti e di avventurieri, ritratti di criminali e di idealisti. L'assetto politico e giuridico, il giornalismo e la tecnologia: dalle assemblee delle piccole città coloniali alle grandi macchine elettorali ottocentesche, dalle prime trasmissioni radiofoniche agli ambigui sondaggi su internet. Con questo monumentale quadro di uomini e donne, idee e illusioni, menzogne e verità, Jill Lepore ha creato la grande storia degli Stati Uniti d'America per il XXI secolo.
Incendi causati dalle pareti a specchio dei grattacieli, impianti radar in tilt, edifici che tremano perché al dodicesimo piano qualcuno fa esercizio sulle note di The Power, ponti che oscillano più del dovuto, sistemi informatici destinati a fermarsi il 19 gennaio 2038, atleti di tiro a segno che non si presentano alle Olimpiadi, jet militari offerti in regalo a un trentesimo del loro valore con i punti della Pepsi. Cosa può causare tutto ciò, scatenando disastri o andandoci quantomeno molto vicino? Semplice: degli errori matematici. Anche se per natura abbiamo una certa comprensione della matematica basilare, ci riscopriamo parecchio stupidi quando si tratta di quella formale, sviluppata a partire dalle nostre conoscenze intuitive. Non veniamo al mondo con la capacità innata di gestire frazioni, numeri negativi o logaritmi; a scuola impariamo - lentamente e a fatica - a superare questi limiti, ma appena smettiamo di usare certi concetti il nostro cervello torna alle «impostazioni di fabbrica». Il problema è che il mondo moderno è interamente costruito sulla matematica: ingegneria, informatica, finanza, medicina le nostre esistenze scorrono immerse nei numeri e nelle loro applicazioni. Di solito non ce ne accorgiamo, perché tutto fila alla perfezione e la matematica fa egregiamente il suo lavoro dietro le quinte della nostra quotidianità. Talvolta, però, un intoppo più o meno grave ci ricorda che le nostre vite possono cambiare in modo drastico per un banale errore di calcolo. Spaziando con sagacia e ironia dagli antichi egizi a Bill Gates, dalla birra agli iPhone, Matt Parker ci mostra come sviste in apparenza innocue possono avere effetti bizzarri o catastrofici. Tra sfide logiche, battute sul codice binario e storie dall'indiscutibile fascino, l'autore ci insegna a imparare dalle insidie della matematica, per ricordarci sempre di che potente alleato essa sia.
Viviamo nell'era del digitale, è un dato di fatto, e gli schermi sono ovunque: in ufficio, a scuola, a casa, nelle nostre tasche. Per dovere o per svago, gli occhi tornano sempre lì. Specie quelli dei più giovani, visto che li usano come principale - se non unico - canale d'intrattenimento. Qualche cifra? In Occidente, i bambini sotto i due anni trascorrono in media tre ore al giorno davanti a un monitor. Tra gli otto e i dodici anni le ore diventano cinque, e salgono a sette tra i tredici e i diciotto. Possibile che un'attività tanto pervasiva non impatti sul loro sviluppo? Per anni ci siamo lasciati cullare dal mito che vedeva nei nativi digitali i fortunati destinatari di un balzo evolutivo, da Homo sapiens a Homo numericus: multitasking, più attento e intuitivo, pronto a cogliere le infinite possibilità offerte dalla Rete. Una visione dorata diffusa anche da media, sedicenti «esperti» e divulgatori non meglio qualificati. Troppo a lungo gli interessi di pochi e l'accondiscendenza di molti ci hanno spinti a ignorare i messaggi allarmati della scienza, proprio come è successo per il tabacco, i cambiamenti climatici e gli alimenti pieni di zuccheri. Sì, perché le ricerche sono ormai concordi: tutto quel tempo passato davanti a uno schermo ha gravi conseguenze su salute, comportamento e capacità intellettuali dei nostri figli. Finalmente, in queste pagine, un neuroscienziato ci presenta i dati per come sono: preoccupanti, e tali da imporre un immediato cambio di rotta.
La creatività: una delle doti peculiari dell'Homo sapiens, qualcosa che ci definisce come specie e come individui; la capacità, a lungo ritenuta unica, di realizzare opere d'arte o trovare soluzioni innovative ai problemi e agli stimoli del mondo. Grazie a essa abbiamo creato macchine sempre più avanzate, ormai in grado di superarci in molti ambiti. Ma se il sogno di riprodurre le caratteristiche della mente umana è antichissimo, lo sviluppo di una vera e propria intelligenza artificiale - in grado di apprendere dall'esperienza e migliorarsi - è un percorso ben più recente. Oggi che l'intelligenza artificiale è una realtà in via di affermazione, la domanda è: potrebbe a sua volta dimostrarsi creativa? Musica, arti visive, letteratura, matematica, persino l'elaborazione di una nuova lingua: i passi avanti in questi campi sono stati enormi, e tali da far ritenere che si sia sulla strada giusta per raggiungere traguardi un tempo impensabili. Possibile che, in un futuro prossimo, le macchine siano in grado di aiutarci a tener viva la nostra immaginazione? Marcus du Sautoy - studioso e divulgatore di fama internazionale - ripercorre in questo libro i progressi compiuti negli ultimi anni dal machine learning, oltre a esaminare la natura profonda della creatività umana e a descrivere i processi matematici che vi sono implicati. Il risultato è un volume ricco e affascinante, che offre un'analisi innovativa del mondo dell'IA e dell'essenza di ciò che chiamiamo «essere umano».
A parte alcune, come Eva, Maria e Maria Maddalena, le donne nella Bibbia sono in genere eclissate dalle loro controparti maschili più famose. Ciò non solo rispecchia il ruolo generale delle donne nella società occidentale, ma anche la natura patriarcale delle religioni ebraica e cristiana. Eppure, un più attento studio della Bibbia rivela che una volta le donne erano considerate pari agli uomini piuttosto che soggette a loro. Da Abigail a Sefora, il libro racconta la storie delle donne che popolano le pagine del Vecchio e Nuovo Testamento. Storie straordinarie di vero amore, devozione e pietà ma anche sesso, tradimento e violenza. E talvolta di vendetta contro gli uomini che le hanno sottomesse e sfruttate.
In "Fuoco e furia" Wolff aveva descritto la prima fase dell'amministrazione Trump. Con "Assedio" ha scritto un reportage altrettanto esplosivo su una presidenza sotto attacco su quasi ogni fronte. La cronaca di "Assedio" comincia all'avvio del secondo anno della presidenza Trump e termina con la consegna del rapporto Mueller, rivelando un'amministrazione sempre più sotto il torchio degli inquirenti e un presidente via via più suscettibile, imprevedibile e vulnerabile.
Iliade e Odissea raccontati come una grande avventura.
«Versi capaci di svelarci l'enigma del domani e di chi, ancora, non siamo diventati» – Andrea Marcolongo
L'Iliade e l'Odissea sono, non per caso, i più antichi longseller della storia: la loro voce continua a parlarci di un'umanità che sentiamo infinitamente più vicina dei duemilacinquecento anni che ci separano da quando sono stati composti. Come possono rimanere così impassibili allo scorrere del tempo? Come può l'avvicendarsi delle epoche lasciare da sempre intatta la loro attualità? Per scoprirlo, Sylvain Tesson si è ritirato per qualche mese in un isolotto delle Cicladi, immerso nella luce che riverbera sull'intonaco bianco delle case e nel vento, primo sostegno ai naviganti che solcano il mare, con la sola compagnia dell'aedo e delle sue Muse. Il risultato è al contempo romanzo, studio e viaggio, animato da eroi che sono prima di tutto uomini, divinità che scendono al fianco dei loro protetti e poi gli altri grandi protagonisti: la hybris, la volontà di superare i limiti umani; il fato, la bellezza, la forza, il lutto, la guerra, l'amore. Tematiche universali che ci mostrano come in realtà l'uomo sia da sempre uguale a se stesso e che i sentimenti che agitano gli eroi in battaglia non sono diversi da quelli che sperimentiamo anche noi, tutti i giorni.
Perché qualcuno, si chiede Shakespeare, dovrebbe appoggiare un leader palesemente inadatto a governare, una persona pericolosa e impulsiva, malvagia e subdola, o indifferente alla verità? Perché, in alcuni casi, le prove di crudeltà non sono un deterrente, bensì un'attrattiva capace di trascinare seguaci soddisfatti? "Da questo momento," dichiara Macbeth "il primo moto dell'animo sarà / tutt'uno con il moto della mia mano." Ma allora le istituzioni che dovrebbero impedire alle persone comuni, e ancor più ai leader delle nazioni di agire sulla spinta di ogni impulso folle, dove sono? E quali sono i meccanismi psicologici che conducono una nazione a dimenticare i propri ideali e persino il proprio interesse? Nonostante siano passati secoli, i re e i contadini di Shakespeare gettano luce ancora oggi sul carattere delle masse e dei loro agitatori, trovando rinnovata chiarezza nelle osservazioni di Greenblatt. La fragilità improvvisa delle istituzioni, il disordine delle classi dirigenti e la rabbia populista come conseguenza della crisi economica sono tutti elementi per comprendere la politica moderna, ma anche quello spirito popolare di umanità che per Shakespeare rimase per sempre l'unica vera speranza, perché "si può soffocare, ma mai spegnere del tutto".
Nel settembre del 1944 l'esercito del Terzo Reich sta lentamente arretrando verso la Germania, mentre gli Alleati avanzano in Belgio puntando ai Paesi Bassi. Intanto, sul fronte orientale, anche l'Armata rossa mette pressione ai generali tedeschi, ormai in balia di Hitler sempre più ansioso e delirante. Per il feldmaresciallo britannico Bernard Montgomery è l'occasione perfetta: vuole mettersi al comando delle operazioni alleate nel continente, una risposta alla nomina - a suo parere ingiusta - di Dwight Eisenhower come comandante supremo. "Monty" sostiene con vigore un piano a dir poco ambizioso: l'operazione Market Garden, con la quale prendere il controllo dei ponti che attraversano il basso Reno e sfondare in territorio nemico. Una prima ondata di truppe paracadutate oltre le linee tedesche aprirà la strada all'avanzata trionfale della fanteria. Ma gli alti ufficiali stanno dimenticando una massima fondamentale della strategia militare: nessun piano sopravvive intatto all'incontro con il nemico. Troppe cose devono andare lisce perché l'operazione riesca. Quel piano avventato si tradurrà in un disastro costato la vita a migliaia di soldati, costretti a giorni di scontri incessanti circondati dai nemici, fino alla tragica e disperata ritirata. Ma il prezzo più alto lo pagheranno i civili olandesi, schierati da subito al fianco dei liberatori e presto schiacciati dalla terribile rappresaglia nazista. Antony Beevor, utilizzando fonti inedite o trascurate, conduce il lettore nel cuore degli scontri, mostrandoci la terribile realtà dei combattimenti che il generale tedesco Kurt Student definì «l'ultima vittoria tedesca».
Quali strumenti possiamo lasciare ai nostri figli per interpretare il mondo in perenne mutamento in cui viviamo? Come possiamo far fronte alla valanga quotidiana di notizie deprimenti che ci arriva dai media, dai social e dalla politica? Perché prestiamo più attenzione alle notizie negative, quelle che ci danno l'impressione che tutto stia lentamente, ma inesorabilmente, andando a rotoli? Di quali irragionevoli pregiudizi è vittima il nostro pensiero? Attraverso un attento studio dei dati, Hans Rosling, il "maestro Jedi dei dati", dimostra che le cose non stanno andando così male e che, anzi, siamo di fronte a un radicale miglioramento. Per capirlo dobbiamo però imparare a guardare ai fatti con curiosità, a metterli in prospettiva e a saperci stupire: basta pensare alla vita dei nostri nonni per accorgerci degli enormi passi avanti che stiamo facendo, in ogni campo. Per esempio, non ha più senso parlare di "mondo occidentale" e "mondo in via di sviluppo", aumentando il baratro tra noi e il resto del pianeta, quando ormai quasi tutti i Paesi stanno raggiungendo lo stesso livello in termini di istruzione, di opportunità e di crescita. Abbiamo tutti la possibilità di usare la forza dei fatti a nostro vantaggio, per capire e non lasciarci accecare dalla rabbia, dall'ignoranza, dalle semplificazioni. Grazie anche a storie ed esempi di una chiarezza disarmante, Rosling ci sprona a essere curiosi, ma non si limita a fare domande, ci risponde avvalendosi della verità dei fatti.
"Da dove vengono l'Iliade e l'Odissea, poemi emersi dagli abissi e proiettati verso l'eterno? Come si spiega che un racconto antico di duemilacinquecento anni abbia conservato una luce tanto vivida, come lo scintillio di una calanca? Perché questi versi immortali sono ancora in grado di svelarci l'enigma del nostro domani?" Sylvain Tesson, viaggiatore instancabile, guarda alla vita e alla letteratura come un'avventura, un'esplorazione perenne, il luogo in cui sfidare i propri limiti. E nessuno meglio di Omero ha saputo raccontare la ricchezza del mondo, come quello raffigurato sullo scudo forgiato da Efesto per Achille. Tesson si ritira nella natura delle isole Cicladi, sulle sponde di quel mare greco dove nacquero gli uomini e gli dei che animano l'Iliade e l'Odissea e ci racconta le vicende dei protagonisti facendosi forza delle parole di Omero stesso. Le avventure di Achille e Ulisse sono spunto per illuminare i temi centrali dei poemi: la forza e la bellezza, il peccato di 'hybris', il fato e il destino, l'uomo e la guerra, l'importanza della natura. Temi antichi di straordinaria attualità. Questo libro, romanzo, studio e viaggio insieme, è un invito a rileggere i classici, a spegnere computer e cellulari per dedicare qualche momento a questi versi, che non smetteranno mai di parlarci. Tra mari e campi di battaglia, creature mostruose, incantesimi e filtri magici, inganni e affanni umani, assemblee divine, Tesson ci porta con sé in un altro dei suoi viaggi, questa volta tra pagine e parole, partendo dalla mitologia per raccontare il contemporaneo.
Il 1968 segnò un passaggio cruciale della storia moderna. E non solo per i moti studenteschi e gli omicidi di Martin Luther King e Robert Kennedy. In quell'anno, secondo il generale William Westmoreland, la guerra in Vietnam sarebbe dovuta entrare in una nuova fase, perché «le speranze del nemico erano alla fine». In un certo senso il comandante delle forze statunitensi aveva ragione, ma i piani dei Viet Cong non prevedevano la resa. La notte tra il 30 e il 31 gennaio, in corrispondenza del capodanno locale, il Fronte di liberazione nazionale diede il via a una vasta operazione militare divenuta celebre come offensiva del Tê´t: alle due e trenta del mattino diecimila uomini scesero dalle montagne e conquistarono – oltre a centinaia di altri obiettivi considerati inespugnabili – la capitale intellettuale e culturale del Paese, Huê´. I comandi americani, però, rifiutarono di accettare la portata di una simile disfatta, e a lungo si ostinarono a mandare in avanscoperta piccole unità di marines, sistematicamente trucidati. Solo tempo dopo il tenente colonnello Ernest Cheatham avviò la riconquista della città, combattendo quartiere per quartiere. Ventiquattro giorni di scontri terrificanti, che alla fine costarono la vita a decine di migliaia di persone tra militari e civili. Quella di Huê´ fu di gran lunga la battaglia più sanguinosa dell'intera guerra, e cambiò per sempre l'approccio americano al conflitto: da allora, anziché di vittoria, si cominciò a parlare di disimpegno. Attraverso una mole di documenti senza precedenti e interviste a reduci di entrambi gli schieramenti, Mark Bowden ricostruisce con precisione ogni fase di quello scontro, raccontandoci un momento che cambiò per sempre il destino della guerra, e del mondo intero.
Dopo il crollo dell'Unione Sovietica e dei regimi comunisti europei abbiamo pensato che la vittoria della democrazia fosse definitiva e che il nuovo millennio avrebbe portato con sé un futuro di pace mondiale. Non è andata così. Dalla Russia di Putin, l'autoritarismo si sta espandendo in Europa e in America e, oggi, l'Occidente assiste a un impensabile ritorno di tendenze nazionaliste e populiste la cui origine è da ricercarsi nel collasso delle istituzioni democratiche. In questo suo nuovo libro, Timothy Snyder spiega i motivi che hanno provocato il crollo della democrazia in Russia. Nell'epoca dei social network e delle fake news non è stato difficile per bot e troll pilotati da Mosca influenzare le opinioni pubbliche facendo leva sul malessere serpeggiante in una società disillusa dall'economia in crisi. Dall'invasione dell'Ucraina all'annessione della Crimea, dalla Brexit alla manipolazione delle elezioni americane ai bombardamenti in Siria, Snyder ripercorre i principali eventi che in questo decennio hanno condotto allo stallo delle democrazie, convinto che la paura di un ritorno ai genocidi di cui siamo stati testimoni nel passato possa essere sconfitta solo dalla ragione della società liberale fedele ai principi di uguaglianza e solidarietà. Perché «l'individualità, la resistenza, la collaborazione, la novità, l'onestà e la giustizia non sono semplici luoghi comuni o preferenze, bensì fatti della storia».
Cosa fa di noi le persone che siamo? Quali sono le sensazioni, le emozioni che costituiscono l’impalcatura e la materia prima della nostra esistenza? Per Françoise Héritier esiste, in ciascuno di noi, un mondo prezioso da custodire e difendere: una zona di luce fatta di emozioni semplici e fugaci che accendono il nostro sguardo e ci tolgono il respiro, sorprendendoci di continuo. Lì è celata la bellezza delle piccole gioie quotidiane, che nei ricordi si confondono l’una con l’altra: un bel giro di valzer, la discussione con un professore, le caramelle al bergamotto di Nancy, l’offesa irreparabile di un amico, le grandi eroine di Almodóvar, una dichiarazione d’amore sotto la pioggia. Riprendendo il filo del Sale della vita, l’autrice torna a riflettere sull’essenza della vita, nelle sue insondabili e più imprevedibili declinazioni. Lo fa con l’ironia e la finezza dei grandi intellettuali, con la forza di chi ha vissuto la malattia, addentrandosi dove il buio è più fitto con i passi leggeri di chi ha capito quanto sia fragile, ma pervicace, la felicità.
Brunhilde Pomsel fu vicina come pochi altri suoi contemporanei a uno dei più grandi criminali della storia: Joseph Goebbels, il ministro della Propaganda di Hitler. Sempre al suo fianco, sempre ai suoi ordini come segretaria e dattilografa. Brunhilde non si interessava di politica. Per lei venivano prima il lavoro, la sicurezza materiale, il senso del dovere nei confronti dei superiori, il bisogno di sentirsi parte di un sistema. Poco dopo l'ascesa di Adolf Hitler, si iscrive al Partito nazionalsocialista per assicurarsi un posto alla radio. Nel 1942 si trasferisce al ministero per l'Istruzione pubblica e la Propaganda ritrovandosi così accanto all'ufficio di Goebbels e nel centro nevralgico del potere nazista. Vi rimane fino alla capitolazione, nel maggio del 1945. Durante gli ultimi giorni di guerra, quando le truppe sovietiche sono già a Berlino, anziché cogliere l'occasione per fuggire resta nel bunker a battere a macchina i comunicati. Poi, per settant'anni, non racconterà niente a nessuno. Dal cuore di Berlino, l'autrice dipinge un ritratto inconsapevole, eppure inquietantissimo, della Germania prima, durante e dopo il Reich, raccontando una realtà sconcertante che mostra quanto l'indifferenza e la disillusione possano influenzare la democrazia. «Prima che la storia si ripeta» scrive Thore D. Hansen «individuare le analogie tra passato e presente ci offre l'opportunità di calibrare con cura la nostra bussola morale, in modo da renderci conto quando sia giunto il momento di schierarci, di alzarci e di opporci apertamente alla radicalizzazione. Con quanta superficialità prendiamo in considerazione i nostri criteri morali di valutazione? Per quali fini primitivi, immediati, banali e superficiali o per quali successi apparenti siamo pronti a sacrificare la nostra coscienza? Sono domande alle quali la storia di Brunhilde Pomsel non può e non potrà mai dare una risposta universalmente valida. Solo la disponibilità a riflettere di ciascuno di noi potrà produrla.»