Hitler nel "Mein Kampf" scrisse del "dovere sacro" di sterminare gli ebrei; il presidente del Ruanda definì un "dovere collettivo" il massacro dei tutsi; "Si fanno cose terribili e necessarie" affermava uno degli assassini di Aldo Moro; "Per creare un uomo nuovo bisogna distruggere quello vecchio" gli farà eco un neofascista responsabile di decine di omicidi. Per il terrorismo di ispirazione religiosa la violenza è ancora un "dovere sacro", per al-Banna un "obbligo imposto da Allah" e per Bin Laden il "dovere personale per ogni musulmano". Non molto diverso il terrorismo che vorrebbe ispirarsi al cristianesimo, e che spesso si lega al suprematismo bianco, per il quale la ricostruzione dello Stato in termini teocratici è un "obbligo morale", un God-given task. Persino complottisti, mass murderer e serial killer fanno riferimento al dovere. Con "idealismo pervertito" si intende il convincimento che talune azioni malvagie siano opportune laddove commesse in nome di un ideale ritenuto giusto: il proprio Dio, la salvaguardia della propria libertà, del proprio popolo, della vita propria e di chi non è ancora nato. Ma chi definisce il male? E chi la giustezza della causa?
Per i Greci e i Romani l'aspetto e l'esperienza percettiva di esseri e oggetti avevano un ruolo fondamentale, capace di influenzare profondamente la vita sociale, religiosa e politica. Attraverso un innovativo approccio che intreccia la tradizionale impostazione della storia dell'arte con considerazioni di carattere sociale e ricorrendo a numerose immagini e mappe, Tonio Hölscher esplora i fondamentali fenomeni visuali del vivere con le immagini nell'antichità classica, prendendo in esame le loro principali manifestazioni come, ad esempio, i riti e le cerimonie pubbliche, le architetture, l'immagine e il decoro personale.
Che cosa ha a che fare Omero con l'intelligenza artificiale? E I viaggi di Gulliver, i trattati di Giordano Bruno, le opere di Borges: cosa ci possono insegnare dell'accelerazione tecnologica? Nel racconto Nella colonia penale, Kafka immagina un uomo assoggettato al potere della macchina: una figura che sembra perdere del tutto la propria umanità di fronte allo splendore matematico, logico ed efficientista di un automa. È proprio esplorando esempi letterari e filosofici come questo che Andrea Colamedici e Simone Arcagni si interrogano sul nostro futuro in relazione all'incredibile sviluppo dell'intelligenza artificiale e al mistero dell'algoritmo di Babele. Attraverso molti capolavori e autori del passato - dai dialoghi di Platone ad Asimov - possiamo infatti ricostruire il codice genetico della nuova frontiera informatica, mostrando come il suo immaginario sia profondamente intrecciato con la nostra società. Ne emerge un affascinante atlante archeologico della modernità che stiamo vivendo, in cui ogni esempio culturale si lega perfettamente alla dimensione contemporanea e al dibattito che si sta generando sul fronte etico e cognitivo. «La torre di Babele è diventata oggi l'algoritmo di Babele, che si situa all'incrocio tra la spinta tecnologica e l'accumulo dei saperi e che rappresenta una sfida avvincente e allo stesso tempo una minaccia inaggirabile. E incarna un racconto, un simbolismo e una visione straordinari.»
Sappiamo quanto sia difficile capire il capitalismo senza attraversare la Riforma protestante e il suo «spirito». Conosciamo meno invece gli effetti della Controriforma, e cioè quanto le forme teologiche, sociali, etiche della risposta cattolica alla Riforma di Lutero abbiano profondamente condizionato il modo di intendere l'economia e gli affari in Italia e negli altri paesi cattolici. La forte e capillare reazione della chiesa di Roma - che vide in quanto stava avvenendo in Germania la possibilità della propria dissoluzione - riportò indietro di secoli l'approccio al mercato, ai profitti, agli interessi sul denaro. Si dimenticò l'etica economico-finanziaria dei francescani e si incoraggiò una cultura del consumo e della raccomandazione legata al culto e alla mediazione dei santi e della Madonna. In questo saggio innovativo Bruni analizza queste «ombre», ma anche alcune «luci» di quel tempo che si è prolungato fino alla seconda metà del Novecento. Tra queste, particolarmente luminosa fu la nascita dei Monti frumentari, cioè di migliaia di banche del grano che frati cappuccini e vescovi fondarono come strumento per migliorare le condizioni rurali, soprattutto nel Sud Italia; ed è solo un esempio di quella «terra del noi» in cui è possibile scorgere orizzonti nuovi e persino qualche arcobaleno.
Le pagine di questo libro sono attraversate da due desideri. Da un lato quello di riflettere sull’incontro, ormai in atto da anni, tra i dinamismi della modernità liquida (ipermodernità, postmodernità ) e l’esperienza della Chiesa, in particolare nei suoi terminali più sensibili alla realtà, cioè le parrocchie, le comunità cristiane. Il secondo desiderio riguarda l’altro versante di tale incontro, cioè la comunità cristiana e la crisi della cosiddetta «civiltà parrocchiale», che la modernità liquida sta mettendo brutalmente in luce.
I capitoli del libro si dispiegano, perciò, in un percorso lento che attraversa, di volta in volta, aspetti specifici, seguendo da un lato le tematiche affrontate da Bauman nel suo libro principale e collegandole, dall’altro, ad aspetti centrali nella vita della Chiesa.
Biografia dell'autore
Augusto Bonora, nato a Inzago (Mi) nel 1962, è stato ordinato sacerdote dal cardinale Carlo Maria Martini il 13 giugno 1987. Dopo sei anni presso l’oratorio della SS. Trinità di Milano ha ottenuto la licenza in Teologia spirituale presso l’Università Gregoriana di Roma. Risiedendo presso la comunità familiare di Castellazzo di Basiano ha svolto il compito di cappellano all’Università Statale di Milano, di responsabile spirituale dell’Eremo S. Salvatore, di delegato del Vescovo per la comunità delle «Sorelle della Parrocchia». Dal 2010 è stato parroco della parrocchia di San Galdino e dall'ottobre 2020 è parroco responsabile della Comunità Pastorale Cenacolo in Quarto Oggiaro.
In un presente dominato da terribili conflitti, disastri ambientali e inquietudini diffuse, guardare al futuro con ottimismo sembra un'impresa sempre più ardua: ripiegandosi su se stesso, l'uomo sta a poco a poco perdendo la speranza in un domani migliore. Viene dunque da chiedersi: «Che cosa posso sapere? Che cosa devo fare? Che cosa mi è lecito sperare?». Cercando di rispondere a queste tre fondamentali domande, formulate per la prima volta dal filosofo Immanuel Kant, Vito Mancuso ci guida alla ricerca del significato più profondo e autentico della nostra vita. Togliendo alla ragione ogni pretesa di possedere un sapere su Dio e sull'avvenire, "Destinazione speranza" rifonda il senso della nostra esistenza su un presupposto inedito e dirompente: la libertà di obbedire. Se saremo in grado di essere noi stessi in relazione con gli altri, di resistere all'egoismo favorendo la solidarietà, di ridare valore alla dimensione morale al fine di agire con responsabilità, allora non tutto sarà perduto: solo così, infatti, potremo definirci donne e uomini davvero liberi e guardare con speranza, ragionevole e fondata, al futuro che ci attende.
Giuseppe De Rita - ideatore, fondatore e oggi presidente del Censis - è l'uomo che ha portato in Italia la ricerca sociologica sul campo ancor prima che venisse creata una cattedra universitaria di sociologia. Come pochi ha contribuito a descrivere l'Italia nei rapporti periodici come nei suoi articoli per il «Corriere della Sera». In questo libro, scritto insieme al giornalista Lorenzo Salvia, racconta per la prima volta le tappe principali della sua vita intrecciate agli snodi dell'evoluzione politica, sociale ed economica del Paese. Come quando nel 1951 viene «arruolato» nel castello di Sermoneta per i corsi del Movimento ispirato dagli Alleati per defascistizzare l'Italia del Dopoguerra. Da lì nasce una convinzione che manterrà per tutta la vita: l'oligarchia, spesso considerata un pericolo per la democrazia, è in realtà uno strumento necessario per il buon funzionamento delle società moderne. Una idea che si rafforzerà negli anni, durante la sua esperienza allo Svimez, con i suoi viaggi nelle aree interne del Mezzogiorno o nel Belucistan iraniano e poi al Censis. Nel corso della sua vita De Rita incontra, conosce, consiglia (ma litiga anche con) buona parte dei politici e degli imprenditori che hanno guidato il Paese. Tanti gli aneddoti, come la notte in cui sconsigliò (inascoltato) al premier De Mita di introdurre una patrimoniale, i no a chi gli chiedeva un impegno diretto in politica, da Berlusconi a Prodi, o le gelosie della politica sui patti territoriali, inventati da presidente del Cnel. E molte le confessioni personali: gli otto figli, la casa di Courmayeur, l'importanza della fede, la passione per il calcio. A delinearsi in queste pagine è non solo una biografia inedita e appassionante, ma anche una rilettura della storia del Paese attraverso lo sguardo di un suo testimone d'eccezione.
Brunetto Latini (1220/30-1293) fu uno dei protagonisti della vita culturale fiorentina; svolse importanti incarichi politici per il suo Comune, militando nella "parte" guelfa: per questo fu esule in Francia nella fase di supremazia ghibellina e lì compose le sue opere più significative. In quasi tremila versi, il Tesoretto narra il viaggio dell'autore da una selva misteriosa governata dalla Natura fino alla vetta dell'Olimpo, attraverso il regno delle Virtù, il giardino del Piacere e il monastero della Penitenza. Sotto una fantasiosa veste allegorica, il maestro di Dante offre al lettore una piccola enciclopedia scientifica e geografica, e soprattutto un vivace "galateo" ispirato alla conciliazione tra valori cavallereschi e "borghesi" che possiamo ora apprezzare in questa nuova edizione del testo rivisto sui manoscritti più antichi e accompagnato da note puntuali.
Il diavolo può sfoggiare le corna, la coda e le ali, fattezze bestiali, orrifiche o mostruose; ma può anche mostrarsi umanizzato e sensuale, prestante e vigoroso. Può essere enorme come minuto, villoso come glabro, terribile o burlone, ignudo o ben abbigliato. Non esiste un’unica forma, ve ne sono tante; non una sola figura ma migliaia da mettere in fila, da comprendere e giustificare in base alle fonti testuali, alle leggende, agli eventi di cui il demonio rappresenta gli esiti drammatici e nei quali riesce ogni volta a impersonare il nemico di turno, adottando la maschera opportuna. Pur operando un'inevitabile selezione fra le innumerevoli testimonianze figurative, il volume analizza l'evoluzione dell'immagine demoniaca dalle prime attestazioni nella Tarda Antichità fino ai giorni nostri, individuandone via via le strategiche mutazioni, le eventuali novità, le possibili motivazioni storiche.
Dalle pareti rupestri ai moderni touch screen, le superfici sono il medium che ha permesso di visualizzare le immagini mentali al di fuori della caverna della mente umana, di fissare su un supporto quelle immagini che altrimenti sarebbero solo le volatili invenzioni dei sogni e dell'immaginazione. Dalle figurine paleolitiche ai moderni ritratti e alle sculture miniaturizzate l'Homo sapiens viene ancora attratto dalle piccole cose che accompagnano tutta la sua storia evolutiva. A partire da questa convergenza di menti e media, da questo intreccio di corpo, cervello, tecnologie e ambienti è possibile tracciare una mappa delle capacità e delle abitudini cognitive che presiedono al fare-immagine dal Paleolitico a oggi.
Il tema della «corporeità» si sta imponendo con sempre maggiore interesse nella ricerca contemporanea «trans-disciplinare». Inserendosi in questo contesto, il volume propone un approfondimento della concezione del corpo ('sôma') in due opere di Filone di Alessandria (De opificio mundi; Legum allegoriae) e nella Prima lettera ai Corinzi di Paolo di Tarso. Seguendo un approccio «comparativo» vengono analizzate le ricorrenze del gruppo terminologico riguardante il «corpo» e viene puntualizzato il messaggio che emerge dal pensiero dei due autori. La ricerca si compone di quattro capitoli. Nel Capitolo I si segnalano gli elementi che caratterizzano la personalità, la formazione e l'opera di Filone e di Paolo. Il Capitolo II analizza la «corporeità» nel trattato sulla creazione del mondo (Opif.) e dell'uomo (cf. Gen 1,1-31). Il Capitolo III: passa in rassegna i tre libri del commento «allegorico» (LA I-III) evidenziando la profondità della riflessione filoniana sull'uomo, le sue origini e la sua identità psico-somatica (cf. Gen 2,1-3,19). Nel Capitolo IV viene rivolta l'attenzione alla «somatologia paolina» e alla sua specifica declinazione nel contesto corinzio, approfondendo cinque importanti assonanze con il pensiero di Filone e con l'ambiente filosofico e religioso del tempo. Esse sono: 1. Il 'sôma' in relazione alla sapienza-conoscenza; 2. Il 'sôma' in relazione alla sessualità e agli stati di vita; 3. Il 'sôma' in relazione al conseguimento delle virtù; 4. Il 'sôma' in relazione alla realtà comunitaria; 5. Il 'sôma' in relazione al passaggio dalla morte alla vita futura.
Ernest Renan (1823-1892) fu un uomo di genio in grado di suscitare forti passioni. Dopo la pubblicazione della sua "Vita di Gesù", l'ex seminarista divenne per tutti i cattolici "il grande bestemmiatore". Benché la sua adesione al campo repubblicano sia stata tardiva, fu considerato uno dei numi tutelari della Terza Repubblica. Tre problemi guidano il viaggio intrapreso da Franc?ois Hartog sulle tracce di Renan: la nazione, la religione, l'avvenire. Evoluzionista convinto, Renan crede nell'avvenire, ma quale sarà in futuro l'idea di avvenire? E quale sarà la religione dell'avvenire, dal momento che il cristianesimo ha fatto il suo tempo e che un avvenire senza religione è inconcepibile? Forma politica del momento, la nazione non può affatto sottrarsi all'azione del tempo: quale sarà l'avvenire della nazione e dell'Europa? Nel mondo di allora, dominato dalla Germania, la questione della nazione e dell'Europa sono legati. Queste tre domande sono ancora le nostre domande? Attraverso la distanza che ci separa da Renan e utilizzando la sua opera come un prisma, che cosa ci fanno capire del nostro tempo? Fino a poco tempo fa, l'avvenire di Renan poteva ancora essere il nostro; fino a poco tempo fa, la religione sembrava essere alle nostre spalle; la nazione appariva anch'essa come una forma politica esausta e in via di superamento. Ed ecco che tutti questi temi tornano e ci portano a riconsiderare tutto ciò che noi avevamo creduto di sapere sulla nostra condizione.
Nel turbine della vita, siamo felici? La domanda ci può apparire persino superflua, occupati come siamo nelle attività e nei pensieri quotidiani. Come tutti, non se la poneva Giovanni Allevi, immerso in una vita impegnativa: composizione, concerti, tour, registrazioni, conferenze stampa e viaggi in tutto il mondo. Poi, è arrivato lui, il mieloma. Tutto è crollato, la fragilità del corpo è diventata all'improvviso una tangibile realtà quotidiana, è cominciato un lungo e dolorosissimo percorso terapeutico. Ma camminando sopra l'inferno, Giovanni è riuscito a mantenere lo sguardo fisso sui fiori. E ad accogliere così nove specialissimi doni: come la libertà dal giudizio altrui, la coscienza di sé e l'autenticità, la prospettiva regalata dalla storia e dalla cultura, l'amore per la bellezza e per la Natura che guarisce, la gratitudine per gli incontri con persone, come i medici e gli infermieri, capaci di cambiare il corso dei suoi giorni. E una nuova e profonda dimensione dello Spirito che anche oggi, tornato sul palco, si fa tutt'uno con la Musica. Perciò, questo libro non è la storia di una malattia, ma una testimonianza sincera, una riflessione filosofica profonda, la proposta di un modo nuovo per guardare la vita, abbracciando se stessi e la propria umana fragilità. Anche attraverso le difficoltà, quando gli ostacoli sembrano invalicabili, la via verso una più compiuta felicità esiste, e su questa strada ci sono doni da scoprire: aspettano solo che noi impariamo a vederli. Così, come un vaso kintsugi riparato con l'oro, la nostra anima potrà risplendere di una luce nuova.
Questo libro scandaglia a fondo una parte dell'opera turoldiana poco studiata: gli inni liturgici. Nel cammino di fede di padre Turoldo la liturgia ha avuto un ruolo fondamentale. Grazie all'amore per la tradizione che la Chiesa lungo i secoli ha tramandato, il frate Servita ha saputo con originalità, creatività e ispirazione produrre testi nuovi con l'intento di arricchire ciò che già era conosciuto, attribuendo però ad esso uno stile nuovo, più adatto al sentire dell'uomo contemporaneo. L'imponente innario turoldiano lascia senza fiato per la sua vastità e copre tutte le domeniche e le feste principali dell'anno per tutti e tre i cicli liturgici. Come sottolinea fr. Enzo Bianchi nella prefazione, l'autore di questo pregevole saggio, «opportunamente intarsiato di rimandi agli inni, alla traduzione dei Salmi, alle preghiere e alle poesie di padre Turoldo, ha la capacità di interpretare la lettera e lo spirito dei suoi testi, mostra grande intelligenza e raffinata sensibilità che gli permettono di cogliere le profondità bibliche, le intuizioni teologiche, le armonie poetiche e le finezze letterarie ma anche il valore liturgico e propriamente cristiano del corpus innico turoldiano».
Oggi siamo testimoni dell'affermarsi di una nuova ideologia totalitaria: il wokismo o liberal progressismo. Un'ideologia intransigente il cui carattere intollerante è la negazione e, anzi, l'antagonista di un autentico spirito di libertà e di convivenza civile. A partire da questa analisi, questo libro compie un passo in più e suggerisce che il liberal progressismo ha anche superato i confini stessi dell'ideologia e si presenta come un vero culto religioso. Con il suo neo-linguaggio da iniziati e il suo pensiero magico, attraverso un surreale e feroce normativismo moralistico e punitivo, punta a plasmare la società per trasformarla nella civiltà del post-umano, un mondo post-moderno dove ogni riferimento al reale, compreso il corpo, si trasforma in opinione. Di fronte a questa aggressione al buon senso e alla logica, diventa urgente tornare alla natura delle cose e assumersi la responsabilità di tutelare la nostra libertà di espressione, il rispetto dell'etica e della giustizia, la sacralità delle relazioni e la comunità. L'approccio radicalmente ideologico alla crisi dell'Occidente e delle religioni, al cambiamento climatico, alle trasformazioni sociali, conseguenza di uno sviluppo tecnologico e scientifico senza freni, a temi complessi come il fine vita o l'identità di genere ci porta a conservare ciò che amiamo con maggiore urgenza. Emerge un coraggioso sentimento di cura per ciò che ci appare fragile e prezioso: la cultura e la tradizione, il legame con la terra, la memoria, i valori che riteniamo fondamentali. Lungi dall'essere una battaglia di retroguardia e reazionaria questa è, al contrario, una sincera battaglia di libertà e un impegno fondamentale per restituire ancora un senso al vivere, e per trasmettere questa sacralità a chi verrà.
La Generazione Z è la prima ad aver attraversato la pubertà con in tasca un portale verso una realtà alternativa eccitante, ma pericolosa. È la prima ad aver sperimentato la transizione da un'infanzia basata sul gioco a un'infanzia basata sul telefonino, ma anche da un'infanzia libera a una ipercontrollata: mentre gli adulti hanno infatti iniziato a proteggere eccessivamente i bambini nel mondo reale, li hanno lasciati privi di sorveglianza in quello online. Attingendo alle ricerche più recenti, Haidt mostra come questa "riconfigurazione" ha interferito con lo sviluppo di bambini e adolescenti causando ansia, privazione del sonno, frammentazione dell'attenzione, dipendenza, paura del confronto sociale. E mentre ne espone le disastrose conseguenze chiama alle armi genitori, insegnanti, aziende tecnologiche e governi affinché salvino la salute mentale dei più giovani.
Il mondo, per chi lo sa guardare, rivela dimensioni del bello spesso impercettibili a occhio nudo. Il bello che, quando si accende, porta salvezza. Il bello a cui Philippe Daverio ha dedicato la vita. Una visione appassionata, un rigore pieno di ironia, una curiosità eclettica che ritroviamo in questo volume ispirato alla celebre trasmissione televisiva Passepartout. Si va dalla Venezia di Canaletto alla Roma di Caravaggio, dalla Siena del Medioevo alla Genova del "secolo d'oro", dalla Napoli dei Borbone alla Bologna dei Carracci e alla Mantova dei Gonzaga: un viaggio alla scoperta delle più importanti città italiane attraverso artisti, monumenti, antiche dimore e corti di mecenati. In compagnia della sua voce inconfondibile, visitiamo luoghi e conosciamo pittori, incrociamo biografie e scopriamo movimenti, ci soffermiamo su singole opere e componiamo grandi affreschi, scopriamo «l'allodola che salvò Brera» e i «piedi più sporchi della storia dell'arte». Seguendo le sue divagazioni, esploriamo il mondo senza paura di perderci, certi di arrivare sempre al cuore della questione. Un volume elegante, agile e veloce come lo sguardo di Daverio, così sapiente nel posarsi su ciò che è rilevante anche quando è solo un dettaglio, un segreto nascosto, un lampo che attraversa la scena. Il suo modo di narrare l'arte - e con l'arte la storia, la geografia, la filosofia, la musica, la letteratura - rende il passato presente e significativo. Ci trascina in un'avventura che supera i confini dello spazio e del tempo e, alla fine, ci riporta sempre a casa.
«Conosci te stesso» era l'invito dell'Apollo Delfico, che ha innervato tutta la filosofia greca, ben consapevole che ogni conoscenza è vana senza questa, fondamentale. Percorrendo con coraggio e onestà la via del distacco, la filosofia - "esercizio di morte" come la definisce Platone - giunse così alla scoperta della luce che sempre risplende, non alla superficie, ma nelle profondità dell'anima. È proseguendo coerentemente su questa via che la mistica cristiana, obbedendo al precetto evangelico a rinunciare a sé stessi, completò l'invito delfico aggiungendovi: «e conoscerai te stesso e Dio». Anche se nomina non sunt res, niente infatti si addice meglio che il nome di Dio alla luce che esperimentiamo nell'"uomo interiore", essenza dell'anima nostra, quando essa ha fatto il vuoto di ogni accidentale elemento egoico. È giunto probabilmente il tempo che, dopo la morte di Dio e la conseguente perdita di ogni fondamento, l'uomo contemporaneo, naufrago nel mare magnum di vane teologie e psicologie, recuperi l'esperienza di verità della filosofia antica e della mistica cristiana, ritrovando così la conoscenza essenziale: quella di sé stesso e di Dio.
Il mistero più doloroso della storia italiana trova finalmente una spiegazione. A quarant'anni dalla sparizione di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori, non esiste una «verità» riconosciuta. Ilario Martella, incaricato all'epoca di indagare sull'attentato a papa Giovanni Paolo II del 1981 e, in prima battuta, sulle sparizioni di Emanuela e Mirella del 1983, inequivocabilmente legate ai fatti di piazza San Pietro, si propone oggi di ripercorrere la vicenda dal principio. Smontate tutte le false piste spuntate in epoche più recenti, giunge all'unica soluzione possibile: i due casi fanno parte di un unico disegno criminale, di una gigantesca e articolata operazione di distrazione di massa compiuta da uno dei servizi segreti più efficienti e famigerati della Guerra fredda: la Stasi tedesca. Armato di una ricca documentazione, divenuta lentamente accessibile solo dopo la caduta della cortina di ferro, l'autore ricostruisce i dettagli di un'operazione spionistica di altissimo livello, nata per sviare l'attenzione pubblica dalle indagini che, partendo dall'attentato al papa, avevano aperto la celebre «pista bulgara». Lo stesso Giovanni Paolo II, in visita alla sua famiglia, definì il rapimento di Emanuela «un intrigo internazionale»: dopo quarant'anni, questo libro finalmente ricostruisce perché.
La pedagogia moderna ha inizio grazie all'Illuminismo e al Romanticismo che danno il via a una rivoluzione nel mondo dell'educazione e generano nuovi stimoli svincolandosi dalle tradizioni precedenti. Si sviluppano così due posizioni contrapposte fra chi sostiene la centralità dell'educatore e chi assegna invece un'importanza primaria all' allievo; correnti di pensiero che, ponendo l'attenzione sull'educazione come un processo unitario di natura etica, hanno dato vita a ricerche che ancora oggi danno a pensare. Questa Nuova storia della pedagogia, che giunge ai giorni nostri, prende in esame le teorie e le figure principali della pedagogia europea e americana: tra gli altri, Rousseau, Kant, Pestalozzi, Herbart, Fröbel, Durkheim, Laberthonnière, Freud, Makarenko, Gentile, Dewey, Montessori, Milani, Maritain, Piaget, Freire, Illich, Bruner, Malaguzzi, Meier, bell hooks. Una pluralità di prospettive che dimostra come la vera ricchezza della disciplina sia la diversità che caratterizza maestri, allievi, famiglie, momenti storici e mondi culturali, ciascuno con le proprie peculiarità, capaci di ispirare riflessioni ed esperienze educative: F. De Giorgi, Come studiare la Storia della Pedagogia; G. Tognon, Jean-Jacques Rousseau; A. Criscenti, Claude-Adrien Helvétius; A. Scotto di Luzio, Immanuel Kant; G. Sola, Johann Heinrich Pestalozzi; E. Scaglia, Albertine Adrienne Necker de Saussure; M.A. D'Arcangeli, Johann Friedrich Herbart; C. Sindoni, Friedrich Fröbel; F. Bellelli, Antonio Rosmini; T. Pironi, Herbert Spencer; T. Pironi, Émile Durkheim; L. Pazzaglia, Lucien Laberthonnière; F. Pruneri, Antonio Gramsci; F. Sani, Sigmund Freud; D. Caroli, Anton Semënovic Makarenko; G. Tognon, Giovanni Gentile; A. Mariuzzo, John Dewey; F. De Giorgi, Maria Montessori; A. Dessardo, Adolphe Ferrière; D. Gabusi, Lorenzo Milani; G. Zago, Jacques Maritain; M. Morandi, Jean Piaget; L. Romano, Françoise Dolto; L. Salvarani, Burrhus Frederic Skinner; P.V. Pignataro, Loris Malaguzzi; V. Schirripa, Paulo Freire; A. Gaudio, Ivan Illich; N. Barbieri, Jerome S. Bruner; L. Bianchi, bell hooks; P. Bonafede, Edgar Morin; S. Salustri, Deborah Meier.