Populismo, polarizzazione, post-verità. Tendenze, tecnologie e comportamenti vecchi come il tempo. Ma i tiranni di oggi li combinano in un modo nuovo. Minacciano la vita democratica con strategie finora impensabili e lo fanno, in gran parte, in modo occulto. Il potere non è cambiato. Ma gli strumenti con cui viene conquistato ed esercitato sì. Questo libro racconta gli autocrati delle tre "P", raccoglie personaggi terribili e affascinanti, storie travolgenti di presa e di perdita del potere, esempi vividi delle tattiche e dei trucchi usati da certi leader per contrastare le forze che minacciano la loro autorità. Moisés Naím rintraccia i nessi meno ovvi tra gli eventi globali e le strategie politiche che, se presi insieme, mostrano una profonda e spesso furtiva trasformazione del potere e della politica in tutto il mondo. C'è una nuova guerra ideologica, in cui il potere politico tende a diventare assoluto fino a rendersi invisibile e quindi incontestabile. Dunque è vero che la politica, per continuare a esistere, ha bisogno di essere sempre meno democratica e sempre più autocratica? Perché il potere si sta concentrando in alcuni luoghi mentre in altri si sta frammentando e degradando? E, infine, la grande domanda: la libertà ha un futuro? Naím rivela come, guardando bene, le strategie per consolidare il potere siano le stesse anche in luoghi con circostanze politiche, economiche e sociali molto diverse, e offre idee e intuizioni su cosa possiamo fare per difendere la libertà e la democrazia. Una storia di manipolazione e di conquista che ha per protagonisti Putin, Trump, Orbán, Duterte, Erdo?an, Berlusconi e molti altri. La fine della storia e la vittoria del liberalismo occidentale sono acqua passata. Questo è il tempo della rinascita dei tiranni.
Arrivata nel 1979 alla procura di Milano, Ilda Boccassini capisce subito che la vita non sarà facile. Raccogliendo il palese malumore dell'allora procuratore, il "Corriere della Sera" commenta il giorno stesso che "il lavoro inquirente poco si adatta alle donne: maternità e preoccupazioni famigliari male si conciliano con un lavoro duro, stressante e anche pericoloso". Inizia così per "Ilda la rossa" un corpo a corpo dentro e fuori la procura, che durerà fino al giorno della pensione, nel dicembre 2019. Il lavoro è duro, certo, ma entusiasmante già dal primo periodo, a partire dai successi ottenuti insieme a Giovanni Falcone nell'indagine "Duomo connection", che svela la presenza di Cosa nostra a Milano. Fino al giorno in cui tutto finisce e tutto comincia: il 23 maggio 1992, lo squarcio sull'autostrada, la strage di Capaci. Si parte allora per la Sicilia, bisogna indagare su quelle morti, sconsigliata da tutti, perseguitata dal senso di colpa per i figli lasciati a Milano. Ma è necessario capire, dare giustizia. Il ritorno in procura, nella stessa stanza numero 30, è già Seconda repubblica e sarà segnato dai processi Imi-Sir, Lodo Mondadori, "Toghe sporche", che la portano ad affrontare anche Silvio Berlusconi, fino agli anni duemila con il caso Ruby. E con quei processi, l'inizio di una campagna d'odio che dura da decenni. Queste pagine ripercorrono gli avvenimenti da uno straordinario punto di vista: quello di una donna libera, sotto la toga e nella vita che ha scelto, con la forza di pochi e la fragilità di tutti.
«Immaginate di tornare un giorno a casa vostra e di trovare un costruttore legato alla mafia lì davanti. Immaginate che vi dica che quella non è casa vostra, ma sua. E che, qualche anno dopo, ve la danneggi gravemente per costruirci accanto un palazzo più grande. E immaginate di dover aspettare trent'anni prima che un tribunale italiano vi dia ragione. Immaginate che, dopo tutto questo tempo, vi riconoscano un compenso per i danni, che però nessuno vi pagherà mai dato che il costruttore nel frattempo è stato condannato perché legato alla mafia e lo Stato gli ha sequestrato tutto. E ancora, immaginate che di quella somma, che non riceverete mai, l'Agenzia delle entrate vi chieda il 3 per cento. Questo è quello che, più o meno, è successo a Maria Rosa e Savina Pilliu. E diciamo 'più o meno', perché in trent'anni, in realtà, è successo questo e molto altro. Intorno al palazzo abusivo si aggireranno vari personaggi: mafiosi eccellenti, assessori corrotti, killer latitanti, avvocati illustri, istituzioni pavide, vittime di lupare bianche, anonimi intimidatori e banchieri generosi. E poi ci mettiamo anche noi due che, venuti a conoscenza della vicenda, abbiamo deciso di scrivere questo libro. La nostra intenzione è cambiare il finale di questa storia, con l'aiuto di tutti. Raggiungendo tre obiettivi. Il primo: attraverso la vendita di questo libro raccogliere la cifra necessaria per pagare quel famoso 3 per cento dell'Agenzia delle entrate. Il secondo: far avere lo status di 'vittime di mafia' alle sorelle Pilliu. Il terzo: ristrutturare le palazzine semidistrutte e concederne l'uso a un'associazione antimafia. 'Io posso' è una sorta di mantra a Palermo. Non importa cosa dice la regola, perché tanto 'Io posso'. Le regole valgono solo per gli stupidi. 'Io posso' sottintende sempre: 'E tu no'. Ecco, a noi piace molto questa frase. La gridiamo a gran voce ma con un senso opposto. "Io posso e tu no perché io sono lo Stato e tu no"» (gli autori)
Il virus, per il momento, ha ridotto drasticamente i nostri orizzonti. Ogni giorno i nostri movimenti sono limitati. Lavoriamo da casa, dobbiamo mantenere la distanza dagli altri, siamo separati da amici e famigliari. Per la prima volta facciamo esperienza della solitudine. È difficile guardare al futuro in un momento nel quale la nostra sicurezza economica, le libertà personali e la nostra salute sono precarie come non lo erano mai state. E c'è un senso crescente di disgregazione globale. Nell'anno in cui la democrazia statunitense è stata in bilico, in tempo reale Zakaria ha costruito una mappa del nostro futuro, perché una cosa è sicura: è già cominciato. Il Covid-19 non ha stravolto il mondo che conosciamo, piuttosto sta accelerando processi che già erano in atto. Le contraddizioni si spalancano, le soluzioni da perseguire diventano più chiare. L'eredità della pandemia sarà dolorosa, turbolenta e tutt'altro che uniforme tra i diversi Paesi. Siamo già entrati in un mondo nuovo, ma è un mondo più difficile da ordinare di quello che conosciamo, soprattutto se vogliamo renderlo più giusto. Abbiamo bisogno di liberarci dei dogmi del neoliberismo sfrenato, che hanno impoverito lo stato sociale e ci hanno fatto trovare impreparati di fronte alla calamità della pandemia. D'altra parte, oggi siamo tutti più connessi. La corsa al 5G, l'economia digitale globale, l'autorità decrescente degli Stati Uniti: queste trasformazioni sono state accelerate dal coronavirus e sono destinate a portare una rivoluzione nella nostra vita in comune e nelle istituzioni, nei nostri valori, nei nostri desideri e nelle nostre priorità personali - probabilmente per sempre. Un'analisi che tiene assieme la politica, l'economia e la tecnologia per costruire una visione di questo futuro, che già oggi è la nostra nuova realtà.
Venezia, febbraio 2020. Il carnevale viene interrotto bruscamente e Francesco Zambon, veneziano e funzionario dell'OMS, mentre dalla sua finestra vede i turisti in abiti variopinti correre terrorizzati verso il primo vaporetto disponibile, riceve l'incarico di coordinare le informazioni che arrivano dall'Italia e che possono essere utili al mondo: il Covid-19 non è più un virus esotico, ha fatto irruzione in Occidente. Seguono settimane di lavoro forsennato, per provare a capire cosa stia accadendo nel nostro paese, perché tutti quei contagi, perché tutti quei morti. L'11 maggio il rapporto è finito, approvato dai vertici dell'OMS, stampato e pronto per essere divulgato. Potrebbe salvare molte vite. Ma qualcosa si inceppa e il 13 maggio il rapporto viene ritirato. Perché? Perché conteneva alcuni errori, dicono dai vertici dell'OMS. Ma la ragione è che rivelava un dettaglio fondamentale: il piano pandemico italiano non veniva aggiornato dal 2006, quindi era del tutto inadeguato. Ecco perché tutti quei morti. Ecco perché nessuno doveva sapere. Questa è la storia di un uomo solo, che ha denunciato e pagato in prima persona. Questa è una storia che ha fatto il giro del mondo, su cui le procure stanno indagando e che in queste pagine viene raccontata per intero per la prima volta. Nessuno sa quante vite sarebbero state risparmiate, ma tutti devono sapere quali sono state le omissioni, le coperture, le viltà che hanno reso il nostro paese così colpevolmente fragile.
C'è un'idea molto radicata su entrambe le sponde dell'Atlantico: chi lavora sodo e gioca secondo le regole avrà successo e sarà capace di elevarsi fino a raggiungere il limite del proprio talento. È una retorica dell'ascesa, che anche il Partito democratico americano e i partiti della sinistra moderata europea hanno scelto come soluzione ai problemi della globalizzazione, primo fra tutti la disuguaglianza. Se tutti hanno le stesse opportunità, allora chi emergerà grazie ai propri sforzi o alle proprie capacità se lo sarà meritato. Se invece non riuscirà a emergere, la responsabilità sarà soltanto sua. È questo il lato oscuro dell'età del merito. Le élite che pretendono di interpretare la tradizione della sinistra hanno in realtà voltato le spalle a chi dell'élite non fa parte. In una società nella quale l'uguaglianza delle opportunità rimarrà sempre una chimera, il contraccolpo populista degli ultimi anni è stato una rivolta contro la tirannia del merito, che è umiliante e discriminatoria. Da questa ondata populista, dimostra il filosofo Michael Sandel, dobbiamo imparare: non per ripeterne gli slogan xenofobi e nazionalisti, ma per prendere sul serio le richieste legittime che ne sono all'origine. Sandel risponde così alla Brexit, al fenomeno Trump e all'avanzata dell'estrema destra in Europa, offrendo una strategia teorica e politica per ripensare il bene comune.
Il mondo sta affrontando la peggiore crisi economica dalla Seconda guerra mondiale. Il virus sta facendo danni più gravi di Lehman Brothers. E l'Italia? Bisogna tornare al 1945 per trovare un dato peggiore di caduta del Pil. La crisi ha messo in luce le nostre debolezze, certo, ma anche i nostri punti di forza, compresa la capacità di rispondere bene in condizioni di emergenza. Ma affrontare l'emergenza non basta, e non basta tornare a dove eravamo nel 2019: ora abbiamo davanti a noi la responsabilità della ricostruzione. Carlo Cottarelli si pone al confine tra il mondo che crolla e il mondo che verrà dopo. E, mentre ci accompagna nel labirinto delle possibilità economiche oggi a nostra disposizione, ci mostra come l'Italia abbia bisogno di tornare a crescere in modo sostenibile da un punto di vista sociale, finanziario e ambientale. Dobbiamo salvare la nostra economia, ma per farlo abbiamo bisogno di più uguaglianza, soprattutto nelle opportunità che vengono fornite alle nuove generazioni. Per questo ci vuole la politica, e infatti questo è un libro (anche) politico. Perché parla di come la società italiana dovrebbe funzionare sulla base di un principio ideale: la possibilità per tutti di avere un futuro nella vita, indipendentemente dalle condizioni in cui si è nati. È importante che le agende politiche partano da una chiara enunciazione della società che si vorrebbe realizzare. Altrimenti, la politica diventa personalismo, opportunismo e cinismo.
Meritiamo un Paese sano. Meritiamo un'Italia libera dalle disuguaglianze economiche, sociali e territoriali, in cui nessuno resti indietro. Meritiamo una nuova stagione di riforme senza tagli, ma al contrario con una decisa politica di investimenti. Questa è la lezione del Covid, appresa lungo i mesi durissimi di una pandemia che continua a imporci attenzione, regole, sacrifici. In un mondo in cui le tragedie non hanno confini, non devono averne neanche la solidarietà, la determinazione, la capacità di incidere sul reale. Dal fronte di una battaglia che continua e che cambierà la nostra vita per sempre, il ministro della Salute non solo racconta, ma spiega la tempesta che abbiamo attraversato, e che, in realtà, viene da molto lontano: dalle troppe e miopi politiche al risparmio che hanno indebolito il Servizio Sanitario Nazionale. Trent'anni di un'ideologia del mercato senza regole, dimostratasi fallimentare; trent'anni di scelte sbagliate che hanno messo a repentaglio la nostra salute. Quella stagione è finita. Dai giorni delle scelte più difficili alle prospettive su vaccini e cure; dallo scenario internazionale alle scelte sul territorio, quello di Speranza è un punto di vista inedito su ciò che insieme abbiamo vissuto. Ma è soprattutto un libro di attualità e di impegno civile, uno sguardo spalancato sul nostro futuro. Perché le possibilità aperte dalla nuova programmazione europea rendono oggi possibile la rivoluzione copernicana di una nuova "sanità circolare", davvero vicina al cittadino: semplice, efficiente, integrata. Solo così la lezione non andrà sprecata.
In ogni periodo di crisi le disuguaglianze rischiano di allargarsi e i diritti di essere rispettati sempre meno. Da dove può ripartire oggi l'Italia? Nel disastro economico e sociale in cui siamo precipitati all'improvviso, abbiamo un enorme bisogno di idee. Prima di diventare un modello per ridare vita a una comunità, Riace era un'idea. O meglio, un'idea di futuro che a Mimmo Lucano venne in mente per la prima volta guardando il mare. A Riace, alla fine degli anni novanta, non esistevano quasi più né l'agricoltura, né l'allevamento. L'unica possibilità per i pochi abitanti rimasti era fuggire. Poi il sistema di accoglienza diffuso creato da Lucano ha cambiato tutto. Le case del centro, da tempo abbandonate, si sono ripopolate. Centinaia di rifugiati hanno potuto ricostruire le loro famiglie e hanno rimesso in moto l'economia del paese. Ma Lucano, si sa, è un fuorilegge. Il 2 ottobre 2018, mentre il ministero dell'Interno era sotto la responsabilità di Matteo Salvini, è stato arrestato con l'accusa di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. I progetti di accoglienza sono stati chiusi e il paese di nuovo spopolato. Lucano non ha mai smesso di credere nella sua idea: ogni comunità deve fondarsi sul rispetto della dignità umana. La storia di Mimmo Lucano è la storia dell'Italia, perché il suo coraggio ha saputo indicare il confine oltre il quale una democrazia tradisce i propri valori fondamentali. Un racconto personale ed eroico di piccoli gesti che diventano grandissimi. Una testimonianza diretta e profonda che ci invita ad aprire gli occhi su chi siamo e su chi vogliamo essere.
Perché siamo insoddisfatti della politica? Da dove viene il vuoto di fiducia che ha allontanato i cittadini dalle istituzioni? Di quale Europa siamo tanto diffidenti? Nel pieno della peggiore crisi dal Dopoguerra, l'economia italiana rischia di fermarsi. E allora come mai perdiamo tempo a combattere uno scontro ideologico vuoto e posticcio? Secondo Carlo Calenda, negli ultimi decenni gli italiani si sono assuefatti a un modo di guardare alla politica che li affascina e poi li pietrifica, come se subissero lo sguardo di Medusa, incapaci di tagliare la testa alla Gorgone che incarna i loro vizi. È la politica che ha bisogno di nuovi eroi prepotenti e muscolari. E poi c'è l'insofferenza profonda per le aspettative tradite: un sentimento bruto e cieco, capace della ferocia del Minotauro. D'altra parte, l'Italia è il paese della grande bellezza: la classe dirigente e i media sono cinici e nichilisti come Narciso. Oltre alla propria immagine riflessa, tutto il resto è brutto e sporco. E questo atteggiamento ha spinto il paese nel pantano della rassegnazione. La frattura tra lo Stato e i cittadini è la stessa che separa il progresso dalla società: se il progresso avanza troppo velocemente rispetto alla capacità della società di comprenderlo e dirigerlo, i cittadini si sentono spossessati del loro destino. La paura, la chiusura e l'aggressività sono reazioni inevitabili. Per costruire un percorso di cambiamento serve la fiducia. Calenda scrive un libro politico dedicato all'Italia e alle chimere che dobbiamo vincere.
Chi muove i fili della politica italiana? Quali scambi si fanno, ogni giorno, nei ministeri? Su quali soluzioni al limite della legge si fonda la ragion di Stato? Un capo di gabinetto svela dall'interno le regole non dette e i segreti inconfessati dei palazzi del potere. "Ogni tanto qualcuno mi chiede che mestiere faccio. Non ho ancora trovato una risposta. La verità è che una risposta non esiste. Io non faccio qualcosa. Io sono qualcosa. Io sono il volto invisibile del potere. Io sono il capo di gabinetto. So, vedo, dispongo, risolvo, accelero e freno, imbroglio e sbroglio. Frequento la penombra. Della politica, delle istituzioni e di tutti i pianeti orbitanti. Industria, finanza, Chiesa. Non esterno su Twitter, non pontifico sui giornali, non battibecco nei talk show. Compaio poche volte e sempre dove non ci sono occhi indiscreti. Non mi conosce nessuno, a parte chi mi riconosce. Dal presidente della Repubblica, che mi riceve riservatamente, all'usciere del ministero, che ogni mattina mi saluta con un deferente 'Buongiorno, signor capo di gabinetto'. Signore. Che nella Roma dei dotto' è il massimo della formalità e dell'ossequio. La misura della distinzione. Noi capi di gabinetto non siamo una classe. Siamo un clero. Una cinquantina di persone che tengono in piedi l'Italia, muovendone i fili dietro le quinte. I politici passano, noi restiamo. Siamo la continuità, lo scheletro sottile e resiliente di uno Stato fragile, flaccido, storpio fin dalla nascita. Chierici di un sapere iniziatico che non è solo dottrina, ma soprattutto prassi. Che non s'insegna alla Bocconi né a Harvard. Che non si codifica nei manuali. Che si trasmette come un flusso osmotico nei nostri santuari: TAR, Consiglio di Stato, Corte dei conti, Avvocatura dello Stato. Da dove andiamo e veniamo, facendo la spola con i ministeri. Perché capi di gabinetto un po' si nasce e un po' si diventa. La legittimazione del nostro potere non sono il sangue, i voti, i ricatti, il servilismo. È l'autorevolezza. Che ci rende detestati, ma anche indispensabili. Noi non siamo rottamabili. Chi ha provato a fare a meno di noi è durato poco. E s'è fatto male. Piccoli, velleitari, patetici leader politici. Credono che la storia cominci con loro".
La storia di Franco Bernabè, che ha guidato alcuni tra i maggiori gruppi industriali del paese, è uno spaccato inedito delle vicende nazionali e internazionali degli ultimi decenni. Il racconto della sua esperienza è un documento sulle trasformazioni del capitalismo e del suo sistema di potere, ma anche sull'evoluzione del rapporto fra politica e impresa. Dopo qualche anno all'Ocse, Bernabè approda alla Fiat come capo economista e attraversa il drammatico periodo della crisi e del recupero del gruppo torinese a opera di Romiti, godendo di un osservatorio privilegiato all'interno della struttura di pianificazione e controllo. Nel 1983 entra in Eni, di cui diventa nel 1992 amministratore delegato. Dopo la trasformazione dell'ente di Stato in società per azioni, si impegna in una lunga battaglia contro lo smembramento e la liquidazione del gruppo e per la sua quotazione. È così che Bernabè si scontra con un sistema di potere corrotto e con le sue connivenze politiche e manageriali. Nel 1998 lascia Eni per assumere la guida di Telecom Italia. È l'inizio di una vicenda densa di colpi di scena, dal piano dei "capitani coraggiosi" per scalare l'azienda al suo ritorno in Telecom nel 2007. Negli ultimi quarant'anni l'Italia è stata all'altezza delle trasformazioni del mercato globale? Oggi il capitalismo ha bisogno di riforme che ne rilancino la vitalità. Avremo il coraggio di risolvere l'ambiguità e l'incompletezza del nostro apparato economico? Quello di Franco Bernabè è lo sguardo di un grande testimone dell'economia e della politica del nostro paese: "Occorre semplificare la vita delle imprese e degli imprenditori, riportando l'attività normativa ai principi essenziali. Le continue riforme creano incertezza e instabilità e mortificano lo spirito imprenditoriale". Solo se faremo i conti con la nostra storia e le nostre debolezze l'Italia potrà ripartire.
La modernità ci ha abituato a guardare alla morte come a un evento insensato, incongruo. Invece un agente patogeno sconosciuto ci ha costretto a fare ogni giorno proprio il calcolo più elementare, quello tra chi vive e chi muore. Ma ogni diagramma, ogni conteggio che sembra possa svelarci il segreto della sventura, in realtà è doppio, parla di lui e di noi, e il saldo è la quantità della nostra paura quotidiana. Per scampare al male ci siamo nascosti, mettendoci al riparo, abbandonando le relazioni sociali per imprigionarci tra le mura di casa. Intanto un secondo contagio, invisibile, stava dilagando silenziosamente, e nessuno sa ancora quante vittime farà: è un contagio che trasferisce la paura e l'emergenza dalla salute all'organizzazione sociale. Il virus sembra rendere inadeguato ciò che fino a ieri ritenevamo una conquista, arriva dritto al cuore del sistema attaccando il meccanismo democratico, con la proposta di un potere nuovo e diverso, fondato sull'anomalia come necessità. Così l'infezione sta trasformando sotto i nostri occhi non solo i rapporti sociali, affettivi, ma anche le libertà, il lavoro e i diritti: in una parola, la politica. Per questo, se nella pandemia siamo entrati tutti uguali, rischiamo di uscirne diversi. Ezio Mauro racconta il percorso del virus da quando è nato in Cina a oggi, come se fosse un soggetto sociale, studiandone la tattica, la strategia, il carattere. E intanto riflette su di noi, su come ci stiamo trasformando nel vortice dell'emergenza. Lui e noi: tutto il libro è costruito su questi due piani, in uno scambio continuo dalla prima all'ultima pagina. "Siamo vittime di un attacco universale che per la prima volta minaccia l'intero genere umano, e insieme protagonisti di un esperimento sociale senza precedenti: ne usciremo diversi, ho provato a capire come e quanto." "Mentre il potere attacca il virus, il virus ha già intaccato il potere. Non è lui che muta, come temevamo nei peggiori incubi: si sta accontentando di modificare noi, cioè il rapporto tra i cittadini e lo Stato." Un viaggio oltre la paura, per capire come questa epidemia sta cambiando le nostre libertà, i nostri diritti, la nostra democrazia.
Questa battaglia è cominciata anni fa, quando Joshua Wong era un adolescente. Mentre gli adulti stavano in silenzio, Joshua organizzò la prima protesta studentesca nella storia di Hong Kong per opporsi alla riforma dell'istruzione voluta dal governo filocinese. Da allora, ha guidato la Rivolta degli ombrelli, il movimento di resistenza pacifica al braccio sempre più lungo di Pechino sull'ex colonia britannica. Ha fondato un partito politico, Demosisto, e ha attirato l'attenzione della comunità internazionale sulle proteste contro l'ingerenza della Cina nell'autonomia della città. Più di due milioni di persone sono scese nelle piazze e nelle strade di Hong Kong. Joshua è stato ripetutamente in carcere. Racconta la sua storia, che fa rumore ovunque nel mondo e, soprattutto, è la testimonianza di una battaglia che ci riguarda da vicino. La sua è la lotta della libertà contro la censura e dei valori democratici contro la Cina. Joshua Wong è un ribelle ed è un testimone della sua generazione, perché è ispirato da ideali che portano alla nascita di diritti nuovi. I diritti, infatti, non stanno fermi. La loro area non è definita per sempre. Le trasformazioni della società comportano nuove domande. Ed è proprio questa la trama della democrazia. Una democrazia sempre a rischio, in Oriente come in Occidente. La battaglia di Hong Kong è anche la nostra. Restare in silenzio non è più possibile.
Alla tragedia di Giulio Regeni, scomparso il 25 gennaio 2016 al Cairo, il mondo della politica non ha ancora risposto... A combattere per ottenere verità e giustizia per Giulio e per tutti i Giulio d'Egitto ci sono però i genitori, Paola e Claudio, insieme al loro avvocato Alessandra Ballerini. Ma non sono soli. Anzi: con loro c'è l'onda gialla che parla di Giulio, indossa i braccialetti, appende nei principali comuni, università e luoghi di cultura quello striscione giallo per chiedere verità e giustizia. Perché Giulio era un cittadino italiano, un cittadino europeo che aveva scelto lo studio e la cultura come strumento di solidarietà e giustizia sociale. Nato a Trieste e cresciuto a Fiumicello, in Friuli-Venezia Giulia, aveva conseguito la laurea a Leeds (UK), un master a Cambridge e aveva un dottorato in corso a Cambridge. Al Cairo stava lavorando a una tesi, rivolta agli aspetti socio-economici principalmente dell'Egitto, in cui affrontava anche tematiche sindacali. La lotta dei genitori di Giulio Regeni affinché sia fatta chiarezza sulla sua cattura e la sua uccisione deve essere anche la nostra. Perché la verità e la giustizia sono diritti e spettano a tutti i cittadini. Con la collaborazione di Alessandra Ballerini.
Questo libro parla di come la realtà economica viene percepita e, soprattutto, di come si voglia farla percepire. Parla di false informazioni che circolano ormai da parecchio tempo e sono considerate verità assolute, fuori discussione: costituiscono, per molte persone, la realtà. Una volta le si chiamava "palle" o "bufale". Oggi si chiamano "fake news". Ci sono i pregiudizi sulle banche, che non prestano soldi perché se li vogliono tenere e che ci è toccato salvare con 60 miliardi di soldi pubblici. Ci sono le invenzioni sui tecnocrati, incapaci e corrotti, che ci hanno fatto entrare nell'euro a un cambio sbagliato. Ci sono quelle sulle pensioni, secondo cui i problemi del nostro sistema previdenziale non derivano dall'invecchiamento della popolazione e dal crollo delle nascite, ma dalla perfidia di qualche ministro dell'austerità. E poi ci sono le bugie sull'Europa e sul complotto dei poteri forti, oscure potenze nordiche che vogliono affamare i Paesi mediterranei. Spesso le bufale contengono elementi di verità. Però, se vogliamo capire l'economia italiana e quella mondiale, è importante separare la verità dalle esagerazioni create ad arte sui social e anche sui media tradizionali per indirizzare l'opinione pubblica secondo strategie ben definite. A qualcuno, forse, conviene che le cose non cambino. Con un'analisi limpida e schietta, Carlo Cottarelli ci aiuta a distinguere il vero dal falso e a riconoscere le bufale che compromettono la nostra capacità di scegliere.
Nessuno sa dire che cosa sia l'energia. Sappiamo però che senza una qualche sua trasformazione nulla si produce. I fisici attribuiscono all'energia il ruolo di motore cellulare, gli antropologi quello di motore culturale. Allora si può raccontare una storia del mondo e dell'uomo nella quale la prima fonte di energia fu il cibo. Quando il cibo divenne il prodotto dell'agricoltura e non più della caccia, cambiò il mondo. Poi la fonte dell'energia si fece fossile, e la nostra vita cambiò di nuovo, perché crescemmo e ci moltiplicammo. E adesso, forse, abbiamo bisogno di affrontare una transizione per superare i fossili, altrimenti il riscaldamento globale sfuggirà dalle nostre mani con conseguenze catastrofiche. Anche questa volta, se ci sarà una rivoluzione, la nostra vita non sarà più la stessa. Massimo Nicolazzi ha gestito importanti progetti energetici in Europa e in Asia. Negli ultimi due secoli la storia ha avuto un'accelerazione grazie a fonti di energia sempre più economiche ed efficaci: il carbone, il petrolio e poi il gas naturale. Senza queste fonti non sarebbe stato possibile il progresso civile e tecnologico che abbiamo conosciuto. D'altra parte, oggi non sono più sostenibili. Superarle sarà difficile, perché sono tanti gli interessi in gioco. Per esempio: la tassazione italiana sui carburanti fossili ha un valore più elevato del danno che ci deriva dalle emissioni del tubo di scappamento? Questa storia diventa così un'inchiesta che indaga la rete complessa dei rapporti di forza che fanno del superamento dell'energia fossile un problema di difficilissima soluzione. E ci mostra la sola certezza che abbiamo: "è la disponibilità di energia la chiave di tutto".
Viviamo nel paese della pseudoscienza? In Italia c'è più pseudoscienza che altrove? Il caso Di Bella e il metodo Stamina, due esempi di trattamenti fasulli, ma anche l'isteria che ha circondato gli ogm e persino i vaccini sono segni di un fenomeno tanto diffuso quanto pericoloso. Le pseudoscienze sono sempre fondate su dogmi e ideologie che non possono essere messi in discussione. Le teorie falsamente scientifiche non vengono mai formulate in modo tale da poter essere provate o smentite, i metodi sono segreti e rivendicano una straordinaria utilità pratica, come la capacità di curare malattie gravi. I resoconti sperimentali o clinici sono spesso incompleti e frammentari e, soprattutto, non finiscono mai sulle riviste scientifiche, ma sui social. E sui canali mediatici più potenti della nostra epoca gli pseudoscienziati non usano argomenti logici, bensì il linguaggio delle emozioni. Ma perché preferiamo credere alla pseudoscienza? Perché la troviamo più naturale della scienza? Gilberto Corbellini disegna una mappa dei pregiudizi più nocivi che colpiscono il nostro senso comune e, con la chiarezza e il rigore di un approccio naturalistico, ci guida nella scoperta delle origini e del modo di funzionare della pseudoscienza. Un fenomeno che minaccia profondamente la nostra società: la intossica, perché mette alla prova le basi cognitive che permettono la complessa costruzione del tessuto morale e politico di ogni democrazia liberale. Mentre "la scienza," spiega Corbellini, "favorisce la diffusione del pensiero critico e così produce libertà".
Non è vero che i criceti sono poco intelligenti. Il loro problema è un altro: hanno una pessima memoria. Se uno stimolo non viene ripetuto moltissime volte, se ne dimenticano. Ma non sono i soli: questo problema lo hanno anche interi Paesi. Paesi come l'Italia. Da più di un secolo diciamo di voler combattere la corruzione, ma non riconosciamo le sue radici e creiamo leggi che la incentivano. Per non parlare delle grandi opere: dalle Autostrade alla Tav, ci lamentiamo che non si riescono a costruire o a completare. Però facciamo di tutto perché finisca sempre così. O della guerra ai privilegi del Palazzo: un ritornello che ci accompagna da decenni. Senza che la guerra si riesca mai a vincere. La storia del potere e delle sue appendici si ripete sempre uguale a se stessa. Sergio Rizzo ci presenta un catalogo esilarante e al tempo stesso desolante di vicende e lotte che appartengono al nostro passato e si ripetono tragicamente oggi senza soluzione di continuità. Così scopriamo la catena italiana di intrecci ricorrenti, di tira e molla e di leggi rimandate, approvate, blindate e poi mai veramente applicate. Una galleria di storie sotterranee che denuncia l'eterna ripetizione delle promesse e delle menzogne con cui siamo stati felicemente ingannati e continuiamo a ingannare noi stessi. Dalla privatizzazione della Rai al salvataggio dell'Alitalia, sino alla lotta alla burocrazia: in Italia tutto ci è sempre già stato promesso dalla politica. Solo che lo abbiamo dimenticato, e così continuiamo a ripetere sempre gli stessi errori. A chi conviene un'Italia senza memoria?
"Il nostro Paese, guidato dal primo governo nazionalpopulista dell'Europa occidentale, egemonizzato culturalmente e politicamente dalla nuova destra, rischia un declino inarrestabile. Rischia di rimanere isolato nell'Unione Europea e diviso al suo interno, impaurito, incattivito e avvitato su se stesso. Impediremo il declino se sapremo cambiare. Riconoscendo senza reticenze gli errori e affrontando le ragioni delle sconfitte. Il primo passo sarà tornare a incontrarci, in tanti, per trovare insieme le soluzioni e costruire un'idea di società giusta." L'Italia è entrata in una nuova fase molto pericolosa della sua storia repubblicana. Da quando la politica populista governa, tra promesse mancate e provvedimenti scellerati, miliardi di euro sono andati in fumo per l'innalzamento dello spread. La crescita si è fermata e va verso una flessione negativa. Cala la fiducia. Mancano soluzioni per affrontare il dramma della disoccupazione giovanile, per creare nuovo sviluppo e per avviare la svolta green che occorrerebbe al Paese. In poche settimane, da primo fondatore del sogno europeo l'Italia si è trasformata in una mina vagante, isolata, considerata irresponsabile e del tutto inaffidabile. Il 3 marzo 2019 Nicola Zingaretti ha vinto le primarie del PD, forse le più difficili nella storia del suo partito, perché ora la posta in gioco è molto alta. È necessario fermare la deriva della politica italiana prima che sia troppo tardi. In questa raccolta di discorsi e interventi, Zingaretti lancia un messaggio forte e chiaro: abbiamo bisogno di riscrivere le nostre mappe con una nuova idea di società. Una società che sia giusta nei confronti delle persone e amica dell'ambiente che ci circonda: serve un nuovo modello di crescita, che punti sulla sostenibilità sociale e ambientale, per garantire un futuro di sviluppo, di libertà e uguaglianza all'Italia e all'Europa.
"Sapete cosa non deve mai fare un pugile? Non deve mai abbassare la guardia. E, più importante ancora, non deve farsi mettere all'angolo. Nel momento in cui sei all'angolo, puoi nascondere la faccia tra i guantoni o provare a schivare, ma prendi così tanti colpi che in pochi secondi finisci al tappeto." Aboubakar Soumahoro difende i diritti dei lavoratori. Arrivato in Italia dalla Costa d'Avorio più di vent'anni fa, ha conosciuto da vicino le insidie di un tessuto civile sempre più logoro e incapace di garantire i diritti minimi di ogni essere umano. Il suo è un avvertimento: siamo davvero sicuri che l'angolo del ring sia riservato ai migranti? Forse dietro "i mestieri che gli italiani non vogliono più fare" si nasconde il degrado delle condizioni generali di lavoro, che chi arriva in Italia sprovvisto di tutele e di diritti è costretto ad accettare per sopravvivere. È così che si spiega il gran ritorno della retorica del "prima gli italiani" e della "razza": uno stratagemma per abbassare il costo del lavoro e per ridurre drasticamente la distanza tra dignità e sfruttamento. Questo manifesto riempie un vuoto del dibattito politico italiano, perché dice in modo forte e chiaro che per non rinunciare al diritto alla felicità il nostro paradigma economico deve cambiare. Una nuova solidarietà deve nascere, così ha scritto Albert Camus, dalla rivolta di chi dice no a una condizione inumana di schiavitù. Aboubakar Soumahoro sa cosa significa essere privati di un diritto e per questo sa anche cosa significa lottare per conquistarlo. "Possiamo essere poveri, sfruttati e precari, ma non importa: usciremo dall'angolo."
"Sono gli anni in cui dalle nostre parti, in Europa e in giro per il mondo, la sinistra conosce un inesorabile destino di perdita e dissipazione. Perdita di popolo e di consenso e dissipazione di culture che sono eredi, nel bene e nel male, di una grande storia che sembra ormai irrevocabilmente alle nostre spalle." Per la prima volta nella nostra storia repubblicana una politica populista e sovranista occupa il discorso pubblico e lavora per smantellare la prospettiva di civiltà e di arte della convivenza nella diversità. Secondo Salvatore Veca, c'è un compito difficile ma ineludibile al quale non possiamo sottrarci: "Ragionare insieme sulla prospettiva alternativa di una sinistra europea per il ventunesimo secolo". Rinunciare a questa sfida significa arrendersi a una classe politica disposta a cancellare il principio della pari dignità per tutti e l'impegno a rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo della persona. Eppure, abbiamo ragioni fondamentali contro la trasformazione della democrazia in oligarchia, in dominio della maggioranza, in tirannia populistica. Abbiamo ragioni fondamentali contro la demonizzazione del disaccordo e del dissenso, che sono invece il succo della democrazia. Abbiamo ragioni fondamentali contro lo spettro che ritorna e si aggira, dalle nostre parti, di una società castale, caratterizzata da una crescente e intollerabile forbice delle disuguaglianze economiche e sociali. Questo libro ricorda alla sinistra ciò che ha perso: l'idea di sviluppo umano come libertà di chiunque, ovunque. E compie il gesto coraggioso di aprire un dibattito, per ragionare insieme e restituire al presente un futuro disegnato da una nuova visione politica.
I cittadini italiani sono azionisti di maggioranza, a loro insaputa, della Rai, una delle più grandi televisioni pubbliche d'Europa: 13 canali televisivi, 10 canali radio, 11 sedi all'estero, per un totale di 13.000 dipendenti. Bene, nel corso degli anni, circa una settantina, questa proprietà è stata gestita senza cura, ha perso colpi sul mercato, non si è rinnovata come i tempi avrebbero richiesto e oggi ha i conti in rosso. Però gli italiani continuano a finanziarla. Dunque il Servizio pubblico è pubblico nel senso che è nostro, ne siamo proprietari. Ma non solo. La Rai resiste anche come una delle principali fonti di informazione del Paese: in anni in cui sembra che ci siano solo internet, social e app, è bene ricordare che il Tg1 delle 20 ha oltre 5 milioni di spettatori. È facile quindi intuire come, per entrambe queste ragioni, la Rai sia legata a doppio filo alla vita democratica del Paese. Carlo Verdelli è stato il primo direttore dell'informazione del Servizio pubblico tra il 26 novembre 2015 e il 3 gennaio 2017. Il progetto era ambizioso: un piano di riforma di 470 pagine suddivise in cinque volumi di analisi, confronti internazionali e proposte per "svecchiare la Rai, disinfestarla dai parassiti della politica e proiettarla nel mondo di oggi". Ma qualcosa non ha funzionato. Quali sono gli interessi che hanno impedito un rinnovamento così indispensabile e urgente? Perché e a chi conviene che le cose non cambino? Verdelli ci guida nelle stanze e nei corridoi di viale Mazzini, e spiega perché riformare il Servizio pubblico e sottrarlo alle sabbie mobili del potere romano è impossibile. La Rai mancata diventa così "un tassello non marginale di un puzzle complesso. Messo insieme ad altri pezzi, forma l'immagine di un tessuto svolazzante. Sinistro, più che di sinistra". E il problema dell'informazione si conferma essere più che mai cruciale per la nostra democrazia.
Qual è il segreto che custodisce un libro? Quali sono i libri che non abbiamo dimenticato e perché? Come può un libro essere un incontro? Cosa significa leggere un libro? In che modo l'inconscio può aprire un libro? Tutti questi interrogativi tracciano le vie lungo le quali Massimo Recalcati ci accompagna verso una nuova teoria della lettura con il racconto dei libri che hanno segnato la sua formazione umana e intellettuale, dall'Odissea agli "Scritti" di Lacan. Ne scaturisce un'opera teorica e intima insieme, uno spaccato autobiografico di cosa può significare per una vita l'esperienza della lettura, un elogio del libro in un'epoca che vorrebbe decretarne la morte.
Ci sono i comunisti e gli scomunisti, i barbari padani e i democristiani, i socialisti craxiani e non craxiani, i postfascisti e i berluscones: settant'anni di costume, di scissioni, di precisazioni, di essere uguali ma diversi hanno finito per affollare il nostro paese di tribù e sottotribù politiche, ognuna con i suoi tic, le sue parole d'ordine e di contrordine, i suoi vizi privati e le sue pubbliche virtù. Filippo Ceccarelli, "curioso di professione", si inabissa nelle infinite pieghe di questa storia cominciata con il dopoguerra e forse ora finita per sempre, e in un paese senza memoria ricuce ossessivamente i dettagli del lunghissimo romanzo italiano. Sono dettagli che parlano di noi, di chi il potere lo ha avuto e lo ha perso, di chi lo ha subìto e combattuto, alla ricerca delle tracce, dei fili in grado di raccontarci come siamo diventati quello che siamo. Sostenuto dalle carte e dai ritagli contenuti nel suo impressionante archivio sui politici italiani (334 raccoglitori e 1500 cartelle, pari a una torre di 45 metri e al tir che è stato necessario per trasferirlo alla Biblioteca della Camera dei Deputati), Ceccarelli scrive un libro che mette il Paese davanti allo specchio impietoso della sua storia, anche se "può sembrare ormai anacronistico questo andare al fondo, questo accanirsi sulle conseguenze del disincanto".
Ogni volta che un politico o un funzionario prende una decisione che riguarda la costruzione di opere pubbliche e infrastrutture e rilascia un documento ufficiale, oppure sceglie un membro del consiglio di amministrazione di una società partecipata, esiste il rischio di corruzione. Eppure negli ultimi decenni in Italia la lotta alla corruzione si è intensificata, dotandosi di strumenti capaci di analisi sempre più approfondite. Il fenomeno è stato compreso nella sua complessità. Non più come un semplice accordo privato, ma come un sistema tentacolare che coinvolge le imprese, la politica e le organizzazioni criminali. Raffaele Cantone, presidente dell'Anac, combatte da anni la corruzione in Italia. Insieme a Enrico Carloni spiega che per colpire questo fenomeno insidioso la prevenzione è più efficace della cura. Capire quanta corruzione abbiamo di fronte è solo una parte della sfida. Ci sono moltissimi dati eterogenei da interpretare. E le sanzioni non sono sufficienti se non vengono accompagnate da un insieme di regole che anticipino gli eventi delittuosi. In dieci lezioni capaci di rendere accessibile il linguaggio delle autorità amministrative, Cantone e Carloni illustrano in cosa consiste l'attività di contrasto alla corruzione e quali sono gli errori che dobbiamo correggere per non essere più vittime di un sistema spietato e pervasivo.
Molte certezze che hanno accompagnato le ultime generazioni si sono sgretolate. In Occidente il passato recente è diventato sinonimo di sconfitta, il futuro di paura e il presente di ingiustizia. La ragione non sta solo nella velocità delle trasformazioni tecnologiche ed economiche, che per la prima volta ha superato la capacità della società di adattarvisi. La responsabilità è in gran parte della classe dirigente che, arrendendosi davanti alla rapidità del cambiamento, ha rinunciato a governarlo, rompendo così la relazione di fiducia con i cittadini. La tecnica ha sostituito la politica e travolto il pensiero, la cultura, l'identità e infine l'uomo. Per questo le forze populiste e sovraniste, che hanno ridato diritto di cittadinanza alle paure diffuse, vincono le elezioni e mettono in discussione i principi della democrazia liberale. La sfida per i progressisti non è esorcizzare la paura con gli slogan, ma comprenderla e affrontarla mettendo in campo un progetto per una democrazia che abbia l'obiettivo di tutelare i diritti e le libertà e di potenziare l'uomo e la società, anche attraverso l'azione di uno Stato capace di proteggere gli sconfitti e gestire le trasformazioni. Perché quella che è iniziata è una battaglia per la democrazia, e i progressisti la stanno perdendo per mancanza di visione, progetti e iniziativa politica. La Storia è tornata in Occidente. è un ritorno che spaventa, ma che al contempo può spingere nuovamente le persone a impegnarsi. Questo libro ricostruisce le ragioni della caduta dell'Occidente, analizza la consistenza delle paure globali e propone una visione e un progetto per affrontarle. Immergersi nelle inquietudini e definire i contorni dei nostri orizzonti selvaggi è il primo passo per ricostruire un pensiero politico credibile, capace di coinvolgere e mobilitare i cittadini. Perché "la paura ci accompagna sempre. In qualunque epoca, in qualsiasi mare. Capirla e dominarla è lo spirito del progresso. E il progresso è lo spirito dell'uomo".
Macerata, 3 febbraio 2018: Luca Traini impugna una pistola e spara a caso contro tutte le persone di colore che incontra: resteranno a terra sei feriti. È più che un episodio di razzismo, è il segno della grande trasformazione in atto nel nostro Paese: è il dominio della paura, è l'istinto senza storia che si fa politica. Lasciandoci rinchiudere nel guscio della nostra solitudine, stiamo mutando fino a regredire nella nostra identità biologica. È così che a Macerata ha fatto il suo ingresso l'ultimo spettro italiano: il fantasma dell'uomo bianco. Quello di Traini non è un gesto isolato, non nasce per caso e non viene dal nulla. Al contrario, si è avvalso di un clima di legittimazione strisciante. Condanne a mezza bocca, giustificazioni subito pronte, viltà diffuse: sta nascendo un senso comune parallelo, che si muove dentro la nostra democrazia e spesso ne rispetta la forma, ma è sempre più estraneo ai valori dell'Occidente. Ezio Mauro ripercorre in un reportage inedito e sorprendente la storia di Luca Traini e la coglie nei suoi tratti paradigmatici per raccontarci la mutazione in corso: quella di un Paese verso la radicalizzazione delle sue paure, quella della nostra comunità democratica in una società chiusa.
Daphne Caruana Galizia è morta il 16 ottobre 2017 a Bidnija, a nord di Malta, uccisa da una bomba collocata nell'auto che guidava, una Peugeot 108. Aveva cinquantatré anni, un marito e tre figli. Era una giornalista famosa ed era stata premiata con il Pulitzer per le sue inchieste sul riciclaggio e sull'evasione fiscale internazionali, che hanno legato l'isola ai Panama Papers. È stata lei la prima a rivelare il coinvolgimento in quello scandalo del ministro Konrad Mizzi e di Keith Schembri, capo di gabinetto del primo ministro laburista Joseph Muscat. Non è ancora noto il nome di chi ha ordinato l'omicidio di Daphne. Ma la sua storia getta luce su una verità fino a oggi ignorata, una verità che l'Europa fin qui ha preferito non vedere. Forse perché Malta è "lo Stato nel Mediterraneo che fa da base pirata per l'evasione fiscale nell'Unione Europea", come ha scritto la giornalista nei suoi MaltaFiles. Poco più grande dell'Isola d'Elba, Malta ha iscritto nei registri della Camera di commercio locale 53.247 società e 581 fondi d'investimento, drenando all'economia dell'Unione Europea 8,2 miliardi di euro negli ultimi dieci anni. Carlo Bonini si mette sulle tracce delle indagini di Daphne per riprendere le fila della coraggiosa inchiesta internazionale di cui ha fatto parte, il "Daphne Project", che ha rivelato il centro di un inquietante sistema di elusione fiscale, corruzione e crimine organizzato. E nella ricostruzione della storia tragica di una grande giornalista mostra che il cuore corrotto dell'Europa si trova nella sua periferia, e riguarda tutta l'Unione. La storia di Daphne e la storia di Malta ci riguardano.
2 febbraio 2020. È tutto pronto, il grafico incisore che ha avuto dal ministro dell'Economia l'incarico di disegnare la Lira Nuova ha finito, il punto di verde è perfetto. Banconote e monete verranno messe in circolazione a partire dalla mezzanotte. In ossequio al credo nazionale sono stati abbandonati i poeti, gli artisti e gli scienziati: al loro posto le immagini degli eroi popolari e i martiri del governo sovranista. Il governo è in carica da un anno e mezzo, e ormai la maggioranza è costituita da un partito unico, il Psi - Partito sovranista italiano. Per tener fede alle promesse elettorali il Psi ha fatto saltare i conti pubblici. Così non c'è altro da fare che andare fino in fondo: mettere in atto il piano B, uscire dall'euro. Intanto la speculazione internazionale è già preparata e le corazzate finanziarie sono pronte ad affossare l'Italia. E fra chi scommette contro il Paese c'è anche un politico importante, che ha un ruolo di rilievo nell'operazione Morris, com'è stata battezzata in codice. La mattina del 3 febbraio, la nuova valuta crolla in poche ore mentre le Borse vanno a picco. Le banche hanno bloccato i bancomat, la fuga di capitali è immediata e imponente. L'inflazione comincia a galoppare. I tassi d'interesse esplodono, le imprese indebitate dichiarano bancarotta, i mutui vanno alle stelle. Il potere d'acquisto dei salari è divorato dall'impennata dei prezzi, la disoccupazione tocca livelli astronomici, la povertà dilaga. Il paese è in ginocchio. L'Italia sembra uscita da un'altra guerra mondiale. L'unica soluzione è emanare un decreto per vendere i monumenti agli stranieri. I cinesi offrono 100 miliardi di euro per il Colosseo e i russi si prendono Pompei in cambio merce: le forniture di gas naturale all'Italia per 25 anni. Non basterà. Ma neppure si potrà tornare indietro. Il racconto di un'Europa in cui non esistono più scenari impossibili.
A dieci anni dall'inizio di una crisi che non è mai davvero finita, è arrivato il momento di ammettere che gli ingranaggi del capitalismo sono difettosi. Certo, l'economia non si è affatto fermata. Ma alla sua crescita corrisponde una concentrazione sempre più pronunciata della ricchezza nelle mani di pochi. La povertà aumenta in tutti i paesi del mondo, la disoccupazione emargina i giovani e la produzione industriale fuori controllo distrugge l'ambiente. Tuttavia, secondo Muhammad Yunus, un nuovo modello economico esiste già e costituisce la risposta all'economia dell'interesse personale e della diseguaglianza. Da quando Yunus ha cominciato ad articolare l'idea di una nuova forma di capitalismo con lo strumento del microcredito e l'esperienza della Grameen Bank, migliaia di organizzazioni non profit in giro per il mondo l'hanno adottata. E hanno introdotto l'energia in milioni di case bengalesi, hanno trasformato migliaia di giovani disoccupati in imprenditori, hanno finanziato imprese gestite da donne negli Stati Uniti, e hanno portato mobilità, protezione e molti altri servizi nelle zone più povere della Francia. Yunus dimostra che eliminare le diseguaglianze create da un capitalismo sfrenato con le risorse della vita di tutti i giorni è possibile. La strategia è semplice. Si tratta di riconoscere l'inganno del capitalismo classico, secondo il quale la natura umana è egoista e orientata anzitutto all'interesse personale, e di prendere parte a un nuovo sistema economico fondato su una visione più realistica, che riconosca nell'altruismo e nella generosità forze altrettanto fondamentali e potenti.
Alessandro Leogrande è stato un grande intellettuale del nostro tempo. Ha scritto per lottare contro le frontiere e i naufragi, il caporalato e l'ignoranza, la malafede e le ingiustizie. Questo volume raccoglie tutto il lavoro che ha dedicato a Taranto, la sua città. Una città perfetta, come l'ha definita Pasolini nel 1959. Taranto nuova, Taranto vecchia e intorno i due mari. Una città che oggi è soprattutto il dormitorio degli operai dell'Ilva, la cattedrale del deserto che fa dei suoi lavoratori le cavie di nuovi rapporti di lavoro, nei quali la frattura sociale si allarga sempre di più, mentre i diritti sono sempre più difficili da difendere.
Negli ultimi anni sembra che la politica abbia subito un'inquietante accelerazione. Nei paesi in cui l'adesione di tutti i cittadini al sistema di valori della democrazia era considerata un'ovvietà, il consenso per i partiti di estrema destra e per i populismi aumenta a ogni tornata elettorale. Per di più, la degenerazione del discorso politico è sopravvissuta alla fine della crisi economica. In Europa e negli Stati Uniti, infatti, sono chiari i segni della ripresa eppure la richiesta di costruire muri, di respingere i flussi migratori, di ripristinare misure protezionistiche è sempre più forte da parte dei cittadini. Il legame tra liberalismo e democrazia, spiega Yascha Mounk, non è più così indissolubile come credevamo. Siamo entrati in una nuova era politica, con la quale chi ancora crede nella sovranità del popolo in democrazia dovrà fare i conti. Come dimostra l'elezione di Donald Trump, la divaricazione della cultura dei diritti dal sistema della partecipazione democratica è possibile. Mentre le istituzioni si riempiono di milionari e tecnocrati, i cittadini conservano i propri diritti civili e le proprie libertà economiche, ma vengono esclusi dalla vita politica. D'altra parte, il successo di Orbán in Ungheria, di Erdo?an in Turchia e di Kurz in Austria è il segno di una democrazia che si priva sempre più della capacità di garantire diritti ai propri cittadini e si trasforma in una tirannia della maggioranza.
Sono passati più di dieci anni da quando l’Italia ha scoperto gli intrighi dei “furbetti del quartierino”, con le scalate bancarie che avevano già sconvolto il nostro sistema finanziario. Cosa lega quelle vicende agli scandali che oggi hanno fatto perdere 800 milioni di euro a migliaia di risparmiatori, riducendo sul lastrico alcune banche dell’Italia più ricca? Come è stato imbastito il grande imbroglio che, con la collaborazione di istituti finanziari di mezzo mondo, ha rischiato di affossare un pezzo importante del nostro paese?
“In Italia la reazione a catena partita da Siena e alimentata dalla crisi fa saltare una dopo l’altra le banche delle regioni ricche, quelle che foraggiavano i distretti industriali. Salta la Cassa di risparmio di Ferrara. Salta Banca Marche. Salta la Cassa di risparmio di Chieti. Salta la Banca popolare dell’Etruria. Salta la Popolare di Vicenza. Salta Veneto Banca. E il virus continua a camminare. La storia è comune. Ha a che fare con la modestia oggettiva di una classe dirigente scelta con criteri discutibili che si installa sul ponte di comando delle banche grazie a relazioni di potere. Quando non per meriti politici se non direttamente partitici, come avvenuto al Monte dei Paschi di Siena.”
E proprio la banca senese, che ha dato inizio al contagio, ha fatto anche virare lo scandalo in tragedia, con la morte misteriosa di David Rossi, il capo della comunicazione della banca, precipitato dalla finestra del suo ufficio.
In un’inchiesta capace di fare chiarezza una volta per tutte sui meccanismi malati e i rapporti di forza del sistema bancario, Sergio Rizzo racconta “una stagione terribile dove non è mancato proprio nulla. Neppure il sangue”. E compie un viaggio nella provincia profonda, da Siena a Vicenza ad Arezzo, alla ricerca dell’origine del veleno che sta inquinando il potere finanziario italiano.
“Il conflitto d’interessi è la regola, le consulenze inutili e i favori agli amici all’ordine del giorno, la trasparenza una fastidiosa incombenza da evitare.”
Un’inchiesta senza precedenti sulla miscela esplosiva che ha distrutto i nostri risparmi.
Flat tax, reddito di cittadinanza, moneta fiscale, aumento dell’età pensionabile, sforamento del tetto del 3 per cento. Sono le principali proposte economiche delle tre forze che oggi si contendono il governo del paese. Sono interventi spesso improvvisati, che avrebbero un impatto in alcuni casi catastrofico sui nostri conti.
In tutto il mondo le campagne elettorali si combattono con slogan e comizi, ma qui stiamo parlando di cifre enormi, incomparabili con qualsiasi promessa fatta in precedenza: la flat tax della Lega costerebbe 80 miliardi l’anno, quella di Forza Italia 130; il reddito di cittadinanza dei 5 Stelle 30 miliardi, che superano facilmente i 150 insieme alle altre promesse; la riforma delle pensioni che vogliono in tanti almeno 30 miliardi; lo sforamento dei limiti al disavanzo proposto dal PD 50 miliardi.
Attraverso un’analisi chiara e rigorosa, Roberto Perotti mostra agli elettori come queste promesse siano fallaci o pericolose. Il motivo è che non si può contemporaneamente avanzare proposte che costano decine di miliardi, non dare indicazioni realistiche di come reperire i fondi per pagarle, e inveire contro il disastroso disavanzo del paese. Almeno a una di queste tre posizioni bisogna rinunciare. Perché ogni promessa (elettorale) è debito (pubblico).
Le proposte della campagna elettorale sono insostenibili per i nostri conti pubblici e dannose per il paese.
I politici che si candidano a governarci sbagliano o mentono?
“L’economia italiana è cresciuta poco negli ultimi vent’anni. Ha accelerato un po’ nel 2017, ma hanno accelerato anche tutti gli altri paesi. Se fosse una corsa ciclistica, sarebbe come rallegrarsi di andare più veloci senza accorgersi di avere iniziato un tratto in discesa. In realtà, anche in discesa il distacco dal gruppo sta aumentando.”
Perché l’economia italiana non riesce a recuperare? Secondo Carlo Cottarelli esistono alcuni ostacoli molto ingombranti. Sono i sette peccati capitali che bloccano il nostro paese: l’evasione fiscale, la corruzione, la troppa burocrazia, la lentezza della giustizia, il crollo demografico, il divario tra Nord e Sud, la difficoltà a convivere con l’euro.
Quali sono le cause di questi peccati? Davvero commettiamo più errori degli altri paesi? Ma, soprattutto, ci sono segnali di miglioramento e speranza per il futuro?
Dopo un’esperienza decennale da dirigente del Fondo monetario internazionale, Cottarelli torna in Italia e risponde a queste domande con un linguaggio semplice ma rigoroso. Dimostra che se i segnali positivi sono ancora parziali e moltissimo resta da fare, la precarietà che impedisce la nostra ripresa non è legata a un destino che siamo costretti a subire.
Un saggio necessario che guarda al futuro con realismo, ma anche con una consapevole fiducia. Correggere i nostri errori e smettere di peccare è ancora possibile.
Ecco perché nel nostro paese la crisi sembra non finire mai.
Nel 2007 Umberto Galimberti ha pubblicato un libro, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, in cui descriveva il disagio giovanile da imputare, a suo parere, non tanto alle crisi psicologiche a sfondo esistenziale che caratterizzano l’adolescenza e la giovinezza, quanto a una crisi da lui definita “culturale”, perché il futuro che la cultura di allora prospettava ai giovani non era una promessa, ma qualcosa di imprevedibile, incapace di retroagire come motivazione a sostegno del proprio impegno nella vita.
A distanza di anni cos’è cambiato di quell’atmosfera che Galimberti aveva definito “nichilista”? Non granché, fatta eccezione per una percentuale forse non piccola di giovani che sono passati dal nichilismo passivo della rassegnazione al nichilismo attivo di chi non misconosce e non rimuove l’atmosfera pesante del nichilismo senza scopo e senza perché, ma non si rassegna. E dopo un confronto serrato con la realtà, si promuove in tutte le direzioni, nel tentativo molto determinato di non spegnere i propri sogni.
La parola ai giovani raccoglie la voce di questi giovani, che hanno un gran bisogno di essere ascoltati per poter dire quelle cose che tacciono ai genitori e agli insegnanti, perché temono di conoscere già le risposte, che avvertono lontane dalle loro inquietudini, dalle loro ansie e dai loro problemi. E allora si affidano a un ascoltatore lontano, che prende a dialogare con loro, non per risolvere i loro problemi, ma per offrire un altro punto di vista che li faccia apparire meno drammatici e insolubili.
“Al nichilismo passivo della rassegnazione, non sono pochi i giovani che sostituiscono il nichilismo attivo di chi, prendendo le mosse proprio da quel desolante scenario, e non da consolanti speranze o inutili attese, inventa il proprio futuro.”
Che cosa è successo davvero nel decennio tra il 1967 e il 1977? come è cambiato il nostro Paese? I dieci anni che hanno cambiato il nostro Paese, come nessuno li ha mai raccontati. Per chi c'era, per chi non c'era e per chi ha dimenticato
Enrico Deaglio torna per raccontare un decennio fondamentale, e lo fa da testimone d'eccezione, che ha vissuto gli anni dal 1967 al 1977 in prima persona e ne restituisce tutta la violenza e la passione. La nuova impresa storiografica e narrativa di Deaglio comincia nel 1967, quando l'economia italiana è nel pieno del boom economico e, allo stesso tempo, compaiono le prime manifestazioni e i segni germinali di profondi sconvolgimenti sociali. È l'inizio degli anni di piombo. Ma è anche l'anno in cui Gianni Morandi canta «C'era un ragazzo che come me», De André «Via del Campo» e Iva Zanicchi vince con Claudio Villa il quinto Festival di Sanremo, quello del suicidio di Luigi Tenco. È il periodo in cui si diffondono i jeans e diventano il simbolo della controcultura giovanile. Di anno in anno, dalla battaglia di Valle Giulia all'autunno caldo e alla strage di piazza Fontana, fino alle prime leggi speciali e al movimento del '77, Deaglio tesse un grande arazzo, pieno di colori, sorprese, storie notissime e storie dimenticate, retroscena emersi solo decenni dopo e misteri ancora irrisolti, facendo rivivere le storie e la cultura, la musica e le idee che hanno segnato un'epoca.
Riduci
Dal Patto d’acciaio alla firma dell’armistizio, l’8 settembre 1943, Giorgio Bocca traccia l’affresco cupo e impietoso del crollo del fascismo. E racconta la sconfitta italiana in una guerra catastrofica, che il regime aveva scelto ponendosi al fianco della Germania hitleriana, per restarne travolto quattro anni dopo.
Bocca ripercorre l’epilogo del regime fascista e l’avventura tragica della Seconda guerra mondiale, vista come vicenda politica, militare, economica, ma anche come ritratto definitivo di un’epoca e di una nazione. È la fine del velleitarismo di un dittatore sempre più solo, indebolito dal timore di sganciarsi dall’alleato tedesco e dalla feroce tentazione di accodarsi alle vittorie della Germania. Ed è anche l’ultimo atto di una classe dirigente impreparata e immobilista, e della fragilità di un sistema economico che il peso politico, strategico e militare delle grandi potenze industriali dell’Europa, del Nordamerica e dell’Unione Sovietica non tardò a schiacciare.
Dopo la Storia dell’Italia partigiana (1966; nuova edizione, 2012), un altro grande libro del Giorgio Bocca storico.
Uscito per la prima volta nel 1969, torna in libreria in una nuova edizione, arricchita con numerose cartine geografiche.
27 giugno 2017: nella sede dell’Inps di Torino Nord, in corso Giulio Cesare 290, una donna si cosparge di alcol e si dà fuoco. È Concetta Candido, di mestiere faceva l’addetta alle pulizie in una grande birreria di Settimo Torinese, inquadrata in una cooperativa inventata e presieduta dagli stessi titolari della birreria. Da sei mesi Concetta è stata licenziata. Così, senza lavoro, senza liquidazione e con il sussidio di disoccupazione che per un disguido burocratico non arriva, Concetta giunge all’apice della disperazione. Per questo sceglie il fuoco come forma di pubblica protesta. Si procurerà ustioni di terzo grado sul 27% del corpo e lotterà tra la vita e la morte per mesi. La attende un percorso di lenta e dolorosa riabilitazione. Intorno a lei si forma spontaneamente una rete di sostegno affettuoso, che non riesce però a infrangere il muro di imbarazzo con cui il suo gesto è stato rimosso dai concittadini e dai politici della comunità operaia di Settimo Torinese.
Trent’anni dopo il suo libro-inchiesta Operai, Gad Lerner torna negli stessi luoghi a raccontare il mutamento brutale delle condizioni di lavoro. Un’inchiesta che, a partire dalla testimonianza di Concetta, darà voce a tutti i protagonisti di questa tragedia: i primi soccorritori, i datori di lavoro, i funzionari dell’Inps, le colleghe licenziate, la sinistra cittadina, i familiari di Concetta tra i quali spicca l’impegno appassionato del fratello Giuseppe.
Emerge così una storia esemplare che ha a che fare con tutti noi molto più di quanto siamo disposti a credere. Gli uomini e le donne come Concetta sono i nuovi operai, senza sindacati né tutele, protagonisti involontari di una corsa al ribasso nel precariato, nel lavoro nero e nelle retribuzioni. Ed è forse significativo che il fuoco di Concetta sia divampato nella stessa città marchiata dal rogo della ThyssenKrupp, che anticipò la metamorfosi sociale dell’ultimo decennio narrata in questo libro.
La storia della donna che si è data fuoco all’Inps di Torino. Un racconto intimo e appassionante sulla retrocessione del lavoro nel nostro Paese.
“Se non un destino, c’è almeno un corpo del quale io possa ancora disporre?”
"Noi non scivoliamo in stato di shock quando succede qualcosa di brutto e grosso, deve essere qualcosa di brutto e grosso che ancora non comprendiamo. Lo stato di shock subentra quando si spalanca un baratro tra i fatti e la nostra capacità iniziale di spiegarli. Tantissimi di noi, quando si trovano in una situazione del genere, diventano vulnerabili alle autorità o alle figure autoritarie che ci dicono che dobbiamo temerci l'un l'altro e rinunciare ai nostri diritti per il bene superiore. Oggi è un fenomeno globale, non è limitato agli Stati Uniti." L'elezione di Donald Trump segna una pericolosa crescita di tensione in un mondo sempre più afflitto dalla crisi della politica. Secondo Naomi Klein, sbaglia chi considera un caso soltanto americano il programma del nuovo presidente, che prevede protezionismo e deregulation per favorire gli interessi delle grandi multinazionali, una guerra totale al cosiddetto "terrorismo radicale islamico" e un cieco rifiuto delle politiche climatiche. Trump rappresenta un fenomeno globale, una tendenza già presente in tutte le democrazie occidentali. Una visione distorta della politica che ha la potenza di un brand. E che sarà ben presto all'origine di una catena di crisi in economia, nella sicurezza nazionale e per l'ambiente. Infatti, spiega Klein, il fenomeno Trump non è tanto un'aberrazione, ma piuttosto la logica estensione degli orientamenti politici ed economici più pericolosi dell'ultimo mezzo secolo. In una lucida analisi delle dinamiche che hanno portato alla diffusione globale di questo fenomeno, Klein pone le basi per un movimento di massa capace di opporsi al militarismo, al razzismo e al corporativismo che stanno crescendo nel mondo occidentale. E dimostra che il concetto di resistenza è tutt'altro che obsoleto.
Per uscire da una crisi serve un cambio di paradigma. Bisogna cambiare regole e prospettive, adeguare il proprio sguardo a un modo nuovo di interpretare la realtà. E prima che si stabilisca un nuovo paradigma, una nuova normalità, esiste un momento in cui tutte le possibilità sono aperte. Il sociologo Mauro Magatti dimostra che ci troviamo esattamente in quel momento. Il 2008 ha segnato l'inizio di una crisi economica che si è rivelata anche politica e culturale e ha portato alla fine di un'epoca. Fino ad allora il neoliberismo era stato il modello al quale avevamo affidato le nostre prospettive di crescita economica e di benessere. Ora quel modello è saturo, perché non più capace di rispondere alle esigenze di un mercato globale sempre più selvaggio e sregolato, né alla degenerazione della politica, sempre più populista e nazionalista. Ma questa, spiega Magatti, è una grande occasione. Perché se le vecchie regole non sono più valide, questo è il momento in cui possiamo inventarne di nuove. L'importante è avere chiara una direzione. E la direzione è quella della rinuncia alla cieca economia del consumo, per giungere a uno scambio sostenibile. "Solo la combinazione tra sostenibilità e logica contributiva può permettere di ricostruire su basi nuove il rapporto tra economia e società che il neoliberismo ha col tempo mandato in frantumi. E così rispondere alla domanda sulla natura della prossima crescita economica, nel quadro di una nuova stagione della democrazia."
Gli italiani sono razzisti? Ovviamente no: nessuna categoria può essere definita come un blocco unico e omogeneo e, dunque, catalogata attraverso un'etichetta spregiativa generale. Ma è altrettanto vero che oggi in Italia si manifestano forme di razzismo nel linguaggio pubblico, negli atteggiamenti sociali e nelle politiche. "Non sono razzista, ma" illustra un meccanismo psicologico che mira a prendere le distanze dalle parole e dagli atti che contraddicono ciò che pensiamo di essere, o che vogliamo far intendere di essere. È un'espressione che si sente sempre più spesso, perché l'interdizione morale nei confronti di termini e comportamenti xenofobi si è indebolita. Quella sorta di presidio culturale e sociale, che agiva contro il ricorso a pratiche e linguaggi discriminatori, sembra esaurito. Questo pamphlet è anche un grido d'allarme. L'intolleranza etnica ha trovato spazio nella sfera politica, per opera di figure pubbliche che, nonostante il proprio ruolo istituzionale, contribuiscono alla produzione di ostilità xenofoba. E a ciò corrisponde un tessuto di piccoli e grandi imprenditori politici dell'intolleranza (concetto elaborato da Laura Balbo e Luigi Manconi in un saggio di un quarto di secolo fa). E tuttavia, dicono Luigi Manconi e Federica Resta, il termine razzista non va utilizzato per colpevolizzare individui e gruppi che vivono con fatica il rapporto con gli stranieri. Ciò che si manifesta nel nostro paese è, piuttosto, una diffusa xenofobia: la paura dello straniero. E, contrariamente a quanto si crede, il passaggio da quest'ultima al razzismo è tutt'altro che scontato. Manconi e Resta argomentano come è possibile evitare che questo accada. "Non sono razzista, ma" è un libro utile per evitare l'errore di indugiare nel "peccato dell'indifferenza".
«Questo libro non è un tentativo di prevedere il futuro. Questo libro è un tentativo di sbloccare il futuro». E per sbloccare il futuro, scrive Rutger Bregman, bisogna tornare alle utopie. Di fronte al ritorno dei nazionalismi, al divario sempre più ampio tra ricchi e poveri e allo stress che il carico di lavoro porta ogni giorno nelle nostre vite, siamo costretti a riconoscere che le nostre aspettative sullo sviluppo liberale della società occidentale si sono drammaticamente consumate, lasciandoci di fronte alla dura verità: senza utopie, tutto quello che resta è un presente senza orizzonte, il presente immobile e sterile della tecnocrazia. Ma quali sono le utopie di cui abbiamo bisogno per rilanciare la politica e trovare la strategia per una convivenza sostenibile? Secondo Bregman, è arrivato il tempo di ridurre consumi e ore di lavoro, di aprire i confini degli stati e combattere sul serio la povertà, di concedere a tutti un reddito minimo, sottraendolo alle vuote retoriche populiste che si stanno impadronendo del dibattito mediatico in tutto il mondo democratico. "Oggi la pressione e il lavoro eccessivo sono diventati uno status symbol. Avere un po' di tempo libero è considerato come essere disoccupati, non come la scelta intelligente di anteporre la vita al lavoro". Per vivere meglio, secondo Bregman, basterebbe lavorare meno. Ma come si potrebbe sopravvivere? Concedendo a tutti il reddito di base. Un pensiero utopico, che in Olanda ha dato vita a un movimento per il reddito minimo, catturando l'attenzione dei media internazionali. D'altra parte, non si tratta di un'idea nuova né stravagante: "Da troppo tempo ci alleniamo a combattere, non a divertirci", scriveva John Maynard Keynes nel 1930.
“Questo libro non è solo un diario personale, una riflessione sulla sinistra o il programma del governo che verrà. Più di tutto, è la condivisione di idee, emozioni e speranze che spesso si sono perse nel racconto della comunicazione quotidiana. I risultati ottenuti e gli errori commessi. Il viaggio tra passato e futuro di un’Italia che non si ferma. Che vuole andare avanti.”
È stato l’uomo chiave della politica italiana degli ultimi anni. Ha guidato un governo che ha varato molte riforme e su una, quella costituzionale, è caduto. Alla guida del Partito democratico ha ottenuto alle elezioni europee del 2014 uno dei più brillanti risultati elettorali della storia politica italiana, ma anche una bruciante sconfitta referendaria nel 2016, che lo ha portato a dimettersi da presidente del Consiglio e da segretario nazionale. Nella primavera del 2017 quasi due milioni di italiani lo hanno rieletto alla guida del Pd.
In questo libro Matteo Renzi parla della difficoltà di cambiare le cose ma anche dell’orgoglio di provarci. Degli errori e dei passi falsi ma anche dei risultati ottenuti e delle sfide aperte. Racconta aneddoti inediti dei mille giorni a Palazzo Chigi ma anche le proposte politiche per l’Italia dei prossimi anni, dalla battaglia per cambiare l’Europa all’introduzione dell’assegno universale per i figli; dal numero chiuso per l’immigrazione agli investimenti in cultura e periferie; dalla lotta per il lavoro alla sfida ambientale e ai progetti di bonifica del paese.
Dopo gli attentati terroristici che hanno colpito Parigi, Bruxelles e Londra ciascuno si è chiesto, almeno una volta, per quale motivo dei giovani nati e cresciuti in Europa finiscano per scegliere la violenza disumana del Califfato. Olivier Roy propone una chiave di lettura sconcertante: non è l'integralismo islamico la prima causa di questo terrorismo, ma un disagio tutto giovanile, un'esigenza folle, violenta e fuori controllo di rottura generazionale. Certo, per compiere questa rottura c'è bisogno di un pretesto. E questi giovani lo trovano facilmente nell'odio puro ostentato dall'lsis. Dopo "Global Muslim" e "La santa ignoranza", Roy ritorna con un'analisi attualissima che propone l'"islamizzazione del radicalismo" come soluzione interpretativa del terrorismo contemporaneo. Il fenomeno riguarda soltanto alcune migliaia di giovani musulmani e pochi convertiti, che appartengono a una generazione del tutto estranea a quella dei propri genitori. Il sociologo indaga le loro abitudini, si chiede che musica ascoltino, chi siano i loro eroi, scopre che non sanno quasi nulla del Corano e che frequentano raramente le moschee. E dimostra che la loro ostilità non affonda le radici nello scontro di religione, ma esprime un'esigenza di rottura che si rivolge non solo contro la cultura dei genitori, ma anche contro la società in cui sono nati, cioè quella occidentale. Da qui proviene il nichilismo radicale al quale il Califfato, con la sua violenza e la promessa di un aldilà paradisiaco, offre un rimedio "nobile" e un'occasione per diventare martiri, veri eroi.
Perché un candidato alla Presidenza degli Stati Uniti può vincere le elezioni sbraitando menzogne come "Costruirò un muro fra gli Stati Uniti e il Messico e sarà il Messico a pagarlo"? Perché abbiamo voglia di comprare una confezione di Nespresso dopo aver vistò l'ennesima pubblicità con George Clooney? Perché se ci troviamo in una città sconosciuta camminiamo con lo sguardo incollato allo schermo del telefonino, preoccupati solo di non perdere di vista Google Maps? Se non riconosciamo più le incoerenze logiche e ci facciamo guidare dagli impulsi emotivi, lasciando che siano altri cervelli (magari digitali) a pensare al posto nostro, che cosa sta succedendo? Logico e filosofo del linguaggio, Ermanno Bencivenga smaschera la più insidiosa delle catastrofi del nostro tempo: la capacità di ragionare rischia di scomparire. Ma ragionare significa tacitare le emozioni e gli impulsi per fare spazio alle idee e, soprattutto, a una discussione ordinata che le analizzi e ne determini il valore, aprendo nuove strade alla nostra convivenza. Raccontando la sua esperienza di professore, Bencivenga mostra che questa "catastrofe gentile", tanto silenziosa quanto devastante, riguarda soprattutto le nuove generazioni, che sono più esposte alla proliferazione forsennata dei mezzi d'informazione e di comunicazione, diventati ormai troppo veloci e potenti rispetto al tempo che il pensiero logico richiede. Con il risultato inquietante che i giovani si abituano sempre più all'idea che qualcun altro, o meglio qualcos'altro, ragionerà per loro. Un saggio schietto e tagliente, che ci mette in guardia di fronte alle insidie di una mutazione antropologica che sottrae alla nostra specie la sua risorsa più preziosa: il ragionamento.
"Caro Giovanni, scriverti non è facile, mettere ordine nei tanti pensieri e nelle innumerevoli cose che ho da dirti. C'è quel lieve imbarazzo tipico di quando due vecchi amici, abituati a condividere la quotidianità, fatta di cose grandi e piccole, si rincontrano dopo che per qualche anno si sono persi di vista: basta un saluto, uno sguardo, un abbraccio per ritrovare subito l'antica confidenza." Una lettera a Giovanni Falcone e una a Paolo Borsellino aprono e chiudono questo libro. L'album di una vita passata a lottare contro la mafia accanto ad amici carissimi, che sono anche simboli di impegno civile, e a contatto con boss sanguinari, che possono diventare preziosi collaboratori per la ricerca della verità. Venticinque anni dopo le stragi di Capaci e di via D'Amelio, Pietro Grasso - oggi presidente del Senato, allora magistrato in prima linea nella lotta alla mafia - torna a percorrere le strade di Palermo, l'aula del Maxiprocesso, le campagne rifugio dei latitanti e le tante, troppe scene del crimine in cui ha dovuto scorgere il cadavere di uomini dello Stato trucidati dalla mafia, di amici portati via troppo presto. La prefazione del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, conosciuto da Grasso durante le sue indagini sull'assassinio del fratello Piersanti, e ritrovato trentacinque anni dopo ai vertici delle istituzioni repubblicane, suggella questo libro, che non rinuncia all'emozione personale, ma vi affianca sempre l'analisi del magistrato e la prospettiva storica di chi ha molto riflettuto sul fenomeno mafioso.
"Il calcio è la nazione più potente che sia mai apparsa nella storia ed è un elemento essenziale della geopolitica, al pari di religione, petrolio, tecnologia e business finanziario." La Fifa è un centro di potere sempre più nevralgico ma, insieme agli ultimi grandi club del Vecchio continente - Real Madrid, Barcellona, Bayern Monaco, Juventus -, per conservare la propria sovranità deve scendere a patti con i veri, nuovi, padroni del calcio. Ma chi sono? Marco Bellinazzo racconta i giochi di potere e i flussi di denaro, la corruzione e gli scandali che si nascondono dietro il calcio globale e ricostruisce i fili rossi di un mercato multimiliardario che coinvolge le potenze politiche ed economiche del pianeta. Dagli oligarchi russi agli sceicchi degli Emirati arabi, dalle big company americane alle corporation cinesi, il legame che unisce gli interessi di governi e multinazionali a questo sport è sempre più saldo e, spesso, torbido. Un libro che svela i nomi degli azionisti, delle società e dei politici che vogliono impossessarsi della Fifa e delle sue squadre, dimostrando che il governo del calcio ormai non riguarda soltanto l'amministrazione di uno sport e dei suoi campionati, ma è soprattutto fonte di ricavi miliardari e di legittimazione politica per gli stati. Perché il calcio trascina le masse, crea consenso sociale e, prima ancora, è un teatro che ospita giochi di potere e guerre finanziarie di portata globale, tanto pervasivi quanto invisibili agli occhi degli spettatori.
Abbandonati dalla loro padroncina, che si sente ormai troppo grande per giocare con loro, i due orsetti Edoardo e Carolina decidono di partire per scoprire il mondo. Non possono immaginare, però, che incontreranno molti imprevisti e difficoltà... Età di lettura: da 5 anni.