Qual è il rapporto fra padre e figlio? Come si costituisce? Quale ne è la sostanza? Ermanno Bencivenga affronta il tema di questa particolarissima relazione attraverso due esempi icastici, che pongono al centro dell'attenzione due testi fondazionali della nostra cultura e ne danno un'interpretazione assolutamente originale. Si parte dall'Odissea, che in questa lettura diventa la storia non di Odisseo ma di Telemaco. È Telemaco che sceglie, fra i tanti naufraghi e viandanti che si presentano a Itaca nel corso degli anni dicendo di essere Odisseo, chi sia suo padre. Con un lavoro da detective, esaminando il peso delle varie parti dell'opera e i suggerimenti occasionali di Omero, viene ricostruita la natura arbitraria di questa scelta: che il naufrago in questione sia davvero Odisseo, ci dimostra Bencivenga, in fondo noi non lo sappiamo, e soprattutto non lo sa Telemaco; è lui a deciderlo, è il figlio a stabilire chi sia suo padre. Il secondo esempio è Pinocchio, solitamente interpretato in modo edificante come la crescita di un bambino da uno stato meccanico e disarticolato, mediante l'assunzione di responsabilità sociali, a uno stato finalmente umano. Viceversa, questo è il libro di Geppetto, che arriva a scegliere suo figlio e a scegliere di essere padre. Un bellissimo testo di David Foster Wallace, tratto da Brevi interviste con uomini schifosi, viene qui usato come contraltare: è Geppetto - a differenza del padre del racconto di Wallace, che muore senza cambiare atteggiamento - a umanizzare progressivamente il figlio e a riconoscerlo come tale.
Internet ci rende stupidi? Abituati alla velocità con cui accediamo alle informazioni scivolando, come su una tavola da surf, da un sito all'altro, viene meno in noi la pazienza richiesta da un libro o da un articolo lungo e complicato. Dopo una pagina o due ci innervosiamo, perdiamo il filo, avvertiamo l'esigenza di occuparci d'altro, di cambiare attività. La concentrazione nella lettura ci è divenuta estranea. Oggi l'umanità è totalmente connessa. E quindi: che fare con la novità rappresentata dalla rete, e in generale dalla civiltà digitale? Accettarla o rifiutarla? Per rispondere a questa domanda dobbiamo compiere un viaggio di duemila anni. Ermanno Bencivenga ci accompagna lungo questo cammino nella storia del pensiero occidentale: Platone è la nostra guida, Kant la stella polare. È un tragitto di secoli e millenni di idee e scoperte straordinarie e addirittura scandalose, eppure capaci di conquistare la normalità e tradursi in visioni del mondo universali. Così scopriamo che la nostra identità è stata messa in discussione ad ogni rivoluzione tecnologica. Ciascun cambio di paradigma sconvolge e rinnova la radice delle nostre consuetudini e dei nostri desideri. Ogni giudizio di valore è subordinato a una particolare fase del tempo, del mondo e della Storia. Allora, la domanda va riformulata: la rivoluzione digitale non ci rende più stupidi o più intelligenti, ma cambia profondamente la nostra postura nei confronti di noi stessi e del mondo. E ogni cambiamento radicale è un'occasione preziosa e insostituibile per chiederci chi siamo.
Perché un candidato alla Presidenza degli Stati Uniti può vincere le elezioni sbraitando menzogne come "Costruirò un muro fra gli Stati Uniti e il Messico e sarà il Messico a pagarlo"? Perché abbiamo voglia di comprare una confezione di Nespresso dopo aver vistò l'ennesima pubblicità con George Clooney? Perché se ci troviamo in una città sconosciuta camminiamo con lo sguardo incollato allo schermo del telefonino, preoccupati solo di non perdere di vista Google Maps? Se non riconosciamo più le incoerenze logiche e ci facciamo guidare dagli impulsi emotivi, lasciando che siano altri cervelli (magari digitali) a pensare al posto nostro, che cosa sta succedendo? Logico e filosofo del linguaggio, Ermanno Bencivenga smaschera la più insidiosa delle catastrofi del nostro tempo: la capacità di ragionare rischia di scomparire. Ma ragionare significa tacitare le emozioni e gli impulsi per fare spazio alle idee e, soprattutto, a una discussione ordinata che le analizzi e ne determini il valore, aprendo nuove strade alla nostra convivenza. Raccontando la sua esperienza di professore, Bencivenga mostra che questa "catastrofe gentile", tanto silenziosa quanto devastante, riguarda soprattutto le nuove generazioni, che sono più esposte alla proliferazione forsennata dei mezzi d'informazione e di comunicazione, diventati ormai troppo veloci e potenti rispetto al tempo che il pensiero logico richiede. Con il risultato inquietante che i giovani si abituano sempre più all'idea che qualcun altro, o meglio qualcos'altro, ragionerà per loro. Un saggio schietto e tagliente, che ci mette in guardia di fronte alle insidie di una mutazione antropologica che sottrae alla nostra specie la sua risorsa più preziosa: il ragionamento.
Per illustrarci i temi chiave sui quali la filosofia da sempre si interroga, Ermanno Bencivenga ha scelto un linguaggio insolito: quello delle favole. Ne è nato, nel 1991, "La filosofia in trentadue favole", poi ampliato in diverse edizioni successive fino ad approdare a "La filosofia in sessantadue favole". Il noto filosofo torna qui a parlarci di un mondo in cui il quattro vuole essere dispari, gli oggetti si ribellano, le scuole insegnano cose false e due gemelli sono costretti a scambiarsi un'unica faccia. Incontriamo anche una luna che non c'è, un vento scherzoso, una pioggia di fogli; e persino una storia che non sapeva come andare a finire... In questo mondo la magia è negli occhi di chi guarda, nella meraviglia di chi osserva le cose con l'innocenza di un bambino, di chi gioca a chiedersi "perché" sapendo che ogni risposta cela sempre una nuova domanda. Perché è proprio dal senso di stupore, dall'incantamento con cui i bambini ascoltano le favole che nasce la riflessione filosofica.
La concezione più comune del piacere lo identifica come l'esito di un processo, che soddisfa un bisogno o un desiderio oppure riduce la tensione causata da quello stesso bisogno o desiderio. In questa concezione, il piacere si identifica con uno stato di quiete, e al limite di morte; non sorprende dunque che in Freud il principio del piacere diventi principio del Nirvana e si sposi infine all'istinto di morte. Nella concezione alternativa articolata da Bencivenga sulla scorta di autori come Kant, Hegel e soprattutto Aristotele, il piacere si accompagna invece sempre a un'attività condotta con passione e partecipazione, ed è sempre espressione di vita. Non esiste anzi il piacere, inteso come stato indifferenziato, identico a sé stesso, nelle condizioni più diverse: esistono invece i molteplici piaceri corrispondenti alle molteplici attività perseguite dagli esseri umani: da quelle più elementari, metaboliche, come lo sfamarsi, il dissetarsi o il respirare, a quelle più complesse e sofisticate come il suonare uno strumento o l'immergersi in una riflessione filosofica. L'ontologia del piacere conduce così naturalmente a una sua etica: alla necessità di scegliere fra le occasioni di piacere che ci vengono di volta in volta offerte in modo da privilegiare e promuovere la nostra comune umanità.
Per illustrarci i temi chiave sui quali la filosofia da sempre s'interroga, Ermanno Bencivenga ha scelto un linguaggio insolito: quelli delle favole. Ne è nato, nel 1991, uno dei libri più originali e di maggior successo della divulgazione filosofica italiana, La filosofia in trentadue favole, poi ampliato in La filosofia in quarantadue favole.
In questa terza edizione Bencivenga aggiunge altri dieci racconti per portarci in un mondo nel quale la magia è negli occhi di chi guarda, di chi gioca a chiedersi «perché» sapendo che ogni risposta cela sempre in sé una nuova domanda.
Edgar Allan Poe ha scritto di un verme conquistatore in cui si risolve il dramma dell'umanità; i testi sacri ci hanno insegnato che ogni ambizione e avventura, ogni piramide e cattedrale, ogni promessa e speranza, nasce dalla polvere e alla polvere è destinata a ritornare. Bencivenga parte da questa intuizione e declina il trionfo della polvere, innanzitutto, come onnipresenza linguistica. Le metamorfosi semantiche della polvere, osserva Giuseppe Ledda nella sua postfazione, comprendono non solo la polvere dei secoli e le torri e i miti caduti biblicamente nella polvere, ma anche la polvere di stelle e la polvere da sparo, la polvere d.oro e quella «più bianca della farina» con cui si cerca un'«estasi a buon mercato». La polvere che gli zoccoli dei cavalli sollevano nella piana e quella cui il ragionamento logico riduce le nostre abitudini. Granelli che si agitano nel vento, come si agitano le gocce di pioggia che li imitano e li contrastano. Ma in questa tormenta si disegna una possibile, temporanea, arrischiata salvezza. Potrà forse venire dalla spontanea, casuale aggregazione dei granelli e delle gocce, che qui ripetutamente si addensano passando dalla scansionemetrica della poesia alla compattezza (illusoria?) della prosa. O forse, invece, dall'accettare la frammentazione, la perdita di una sicura identità, la fusione con l'altro e nell'altro.
La filosofia va concepita non come dimostrazione di verità inoppugnabili ma come appassionata esplorazione di ciò che ancora non è stato nemmeno immaginato, come apertura di nuovi scenari di vita, di nuove forme di convivenza.
I contributi raccolti in questo volume sono altrettanti esperimenti di tale filosofia: dalla scienza alla politica, dalla poesia alla scuola, ogni ambito dell’esperienza umana è terreno fertile per la sua indagine accurata e irriverente.
L'autore
Ermanno Bencivenga insegna Filosofia all’Università della California. Tra i suoi molti libri, Parole che contano (Mondadori 2005), Filosofia, istruzioni per l’uso (Mondadori 2007)
e La dimostrazione di Dio (Mondadori 2009).
Che cos'è la coscienza? Per Bencivenga è l'emergere della nostra molteplicità interiore, il farsi avanti di una voce prima silenziosa che ora invece commenta, spesso in senso critico, il nostro agire ufficiale. Ma come è possibile che questa voce sia ancora nostra, sia ancora noi; che la molteplicità sia anche una? È possibile perché la nostra esistenza è dinamica, anzi è il dinamismo stesso di un continuo movimento fra punti diversi, unificati dal movimento che incessantemente li collega e dalla fiducia che sostiene il movimento: la fiducia che dove esso ci porterà saremo ancora a casa nostra. Lo stesso sentimento con cui una ballerina si slancia in un salto confidando che atterrerà sulle punte, e tenendo così solidamente sotto controllo il proprio spazio, guida anche l'inesausta danza dell'anima, quella danza che è l'anima.
Che cos'è la filosofia? Rispondendo a questa domanda Ermanno Bencivenga, noto professore e studioso, afferma provocatoriamente che è un gioco. Un'attività ludica straordinariamente seria, però, dal momento che invece di usare pedine, carte o altri strumenti ha a che fare con la vita e la morte, con il bene e il peccato, con il tempo e l'eternità. Anziché raccontarci l'ennesima storia della filosofia, Bencivenga ci propone così di diventare protagonisti e di praticare il gioco della filosofia. Come? In modo semplice, partendo da casi tratti dalla vita quotidiana. Ampliando il percorso dell'edizione precedente con nuovi capitoli, sull'estetica e la riflessione politico-sociale, l'autore ci insegna ad aprire la mente alla domanda, al dubbio, al quesito filosofico. Il risultato è un libro stimolante e ricco di spunti, capace di innescare e alimentare il meccanismo della ricerca.