«Un giorno i miei racconti saranno un vanto per Brescello e per la terra d'Emilia». Lui lo sapeva che sarebbe finita così. Aveva già la misura precisa dell'enorme fortuna capitata a un paesello come tanti, sopravvissuto alle angherie della guerra e proteso verso un benessere da conquistare, se possibile, alla svelta. Giovannino Guareschi aveva previsto che i benefici delle riprese dei film tratti dai racconti di Peppone e don Camillo avrebbero fatto di Brescello una piccola "capitale" del cinema italiano. Oggi, a mezzo secolo dalla morte del papà dei due celebri personaggi, viene svelato il rapporto che egli ebbe con il paese della Bassa e suoi abitanti, con la troupe e la produzione Cineriz, con la politica e la cultura degli anni Cinquanta. Aneddoti, testimonianze, cronache e interviste inedite, immagini dal set e dintorni fotografano l'atmosfera del backstage della saga guareschiana che dal 1951 al 1965 produsse pellicole di straordinario successo al botteghino e ancora oggi in testa alle preferenze del pubblico italiano e non solo. "Rossi" e "reazionari" si facevano la guerra nelle sue pagine, ma non erano altro che il riflesso della realtà. Rileggendo quanto accadde nei periodi delle lavorazioni vengono in mente scene magistrali che Cervi e Fernandel ingigantirono con la loro arte attoriale. Eppure si tratta di episodi che accaddero veramente e non disegnati dalla fiction. "Nino" ebbe a frequentare il set a Brescello per seguire in presa diretta ciò che i registi stavano facendo dei suoi racconti. Questo libro tratteggia un Guareschi "minore", ma solo perché meno noto ai più, che dentro e fuori dal set (fu anche inizialmente scelto per interpretare il ruolo di Peppone) incarnò lo spirito di un mondo che non fu piccolo e nemmeno datato. Cinema e politica, umorismo e goliardia, aneddoti e curiosità: vicende che rivelano pagine gustosissime di un'epoca in cui era facile immaginare di darsele di santa ragione per poi fare la pace davanti a una boccia di lambrusco.
La storia di un uomo che tutti nella piccola Gualtieri chiamavano "al matt", che ha sempre vissuto ai margini, da disadattato, scambiando i suoi quadri per un piatto di minestra - quadri che finirono spesso nelle stalle o a sbarrare vecchie finestre, fino a quando il suo talento non fu scoperto proprio da uno psichiatra durante il ricovero in manicomio. La sua arte, ma soprattutto le passioni, le vicissitudini, gli aneddoti, gli amori di un uomo divenuto un mito nella "bassa" del Novecento. Dall'infanzia a San Gallo nella Svizzera tedesca alla vita selvaggia nella golena del Po, fino al successo e all'eredità umana e artistica lasciata ai posteri.