Dentro le contraddizioni del diritto, che può essere considerato uno strumento di oppressione e persino di violenza, ma anche di cooperazione e persino di sostegno per tanti soggetti emarginati e sofferenti. Hanno ragione Agostino e Kelsen nel sottolineare che la qualità principale del diritto è la vis coattiva, la capacità di far fare qualcosa a qualcuno attraverso la minaccia della sanzione, ma hanno ragione anche Tommaso e Habermas nel rimarcare la preminenza del ruolo comunicativo e cooperativo del diritto, la capacità di fare qualcosa con qualcuno. Dentro la ritualità e la formalità con cui il diritto mette in scena passioni, desideri, interessi, violenze, aspettative, sottratti all'immediatezza degli eventi, al decorso del tempo, alla soggettività degli impulsi, per divenire uno strumento di coesione sociale. Il diritto formalizza e tipizza. In questo modo trasfigura i fatti, riproducendoli in maniera che siano tendenzialmente accettati e condivisi. Dentro il diritto per individuare quello che sta fuori dal diritto. Quanta morale, quanta politica, quanta economia, quanta scienza devono stare dentro le costruzioni giuridiche? E quanto deve, invece, esserne lasciato fuori, perché il reato non è peccato; perché obbedire alla legge non significa obbedire al sovrano; perché non tutto può essere ridotto a merce; perché quello che è scientificamente possibile non è sempre, in quanto tale, legittimo?
Eutanasie, al plurale, intende sottolineare la varietà delle questioni di fine vita e suggerire l'inutilità della pretesa di esaurire tutto entro una linea netta che divida il bene dal male, il morale dall'immorale, il lecito dall'illecito, perchà© ogni attesa di assistenza è diversa da un'altra, perchè ogni sofferenza non è equiparabile a un'altra. Il diritto dovrebbe innanzitutto cercare di comprendere quali siano le attese e le speranze di chi soffre. Può farlo, a volte, attraverso artifici come le dichiarazioni anticipate di trattamento: lo strumento estremo per illudersi di dare la parola a chi non può più parlare. Può farlo, molto più spesso, limitandosi a prendere atto dei limiti della tecnologia e ricordando che uno strumento di emancipazione non può diventare un mezzo di oppressione. Se il valore dell'indisponibilità della vita è sistematicamente contrapposto al valore della libertà personale, c'è qualcosa che non funziona nei processi interpretativi e, ancor prima, nel tessuto sociale.Queste pagine sono il tentativo di mettere in luce i diversi modi con cui l'esperienza giuridica ha cercato di trovare un equilibrio tra una pretesa di autonomia che non può essere eretta a rivendicazione assoluta di autosufficienza e un obbligo di curare che non può diventare la mera applicazione di una tecnologia indifferente alle richieste e alla condizione di chi soffre. Esiste un dovere di curarsi? Esiste un diritto a rifiutare le cure? Esiste un diritto a morire? Questi interrogativi sono presi in esame, riflettendo sul concetto di malattia, sulla condizione del malato e in particolare sulla dimensione del "morire", con i suoi tempi (pre-paziente, malato terminale, morituro artificiale), i suoi templi (ospedali, hospice, case di riposo) e i suoi riti (isolamento, alienazione, dipendenza).