«Il materialismo brutale e nichilista in cui siamo immersi non solo accentua le ingiustizie sociali e danneggia la salute del pianeta, ma è anche un'implacabile assicurazione sull'infelicità: le nazioni più avanzate economicamente sono piene di depressione e solitudine». Presi da un mondo frenetico e competitivo, ci dimentichiamo di essere vivi. In questo libro, Franco Arminio e Guidalberto Bormolini cercano di tracciare un sentiero che vada in direzione contraria: una terapia della parola come risorsa antica e a disposizione di tutti, per chi desidera ritrovare un senso di comunione più ampio e profondo con l'umanità. Imparare dalla sofferenza, fare nuove tutte le cose, prendere il volo, cogliere la meraviglia: in ogni breve capitolo di questo saggio, il ragionare poetico di Arminio si interseca con le riflessioni in prosa di Bormolini, dando vita a un testo denso di spiritualità e poesia, che cura l'anima e aiuta a ritrovare il senso perduto. Con uno stile lirico e coinvolgente allo stesso tempo, i due autori ci guidano in un viaggio alla scoperta non tanto del mondo, ma di noi stessi nel mondo.
Fin dalle prime righe, questo libro ci invita a un gesto semplice e prezioso: fare buon uso delle parole. Le parole che pronunciamo, scriviamo, leggiamo ogni giorno sono una moltitudine, ma troppo spesso attraversano le nostre vite senza lasciare traccia. Franco Arminio allora si inoltra nel silenzio - quello dei paesi delle aree interne svuotati dall'emigrazione, quello delle notti in cui siamo soli di fronte alla nostra ossessione - e, come un rabdomante, cerca la vena in cui ancora scorrono parole dense di significato e di luce. I suoi versi si offrono a tutti come occasione per aprire il cuore alla meraviglia e alla fratellanza, cantano l'importanza di prestare attenzione al minuscolo per sentirci parte dell'immenso. Il fardello della famiglia in cui siamo nati, la fatica di amare e lasciarsi amare, l'angoscioso orizzonte della morte che sembra chiudersi davanti a ogni pensiero - tutto viene riscattato dal potere della gratitudine, che illumina i doni nascosti in ogni singolo giorno. A queste pagine Arminio consegna il frutto di anni di ascolto di se stesso e del mondo, la summa di ciò che ha imparato nel suo cammino attraverso città e paesi: la parola poetica dispiega la sua forza trasformativa, da esperienza intima si fa comunitaria e ci chiede di essere pronunciata come sfida all'indifferenza, come forma di resistenza, come il più salvifico dei contagi.
«Abbiate cura di impazzire per un abbraccio». Un libro intenso, pieno di luce, del piú antico fra i poeti contemporanei italiani. Con la sua lingua asciutta e lirica, sacrale e domestica, in cui c'è sempre uno scarto, uno slittamento inatteso, una sottile sensualità, Franco Arminio fotografa il corpo spaventato dalla morte e infiammato dall'amore. Non soltanto l'amore carnale, ma quello che ci conferma di esistere: l'amore per un figlio e quello per un angolo di paese, l'amore per una strada e quello per la madre, l'amore per un amico e per chi ci è ancora sconosciuto, al punto da scavare in noi il languore del desiderio. Nei suoi versi l'incontro erotico, sentimentale, è sempre un viatico verso Dio, raggira la morte e la corteggia, è miracolo ed epifania. Arminio dedica poesie e prose commoventi anche agli amori - vissuti o mancati - di altri scrittori e poeti, da Kafka a Pasolini, da Susan Sontag ad Amelia Rosselli, trovando una voce nuova per indagare il coraggio di essere fragili che ognuno di noi ha sentito innamorandosi, «il mistero di raggiungere nello stesso tempo il corpo di un altro e il nostro». «Uno dei poeti piú importanti di questo Paese» (Roberto Saviano). «Gli basta una manciata di sillabe, connesse da un gioco sapiente di rime ed assonanze, e un intero destino si staglia nettamente sul bianco della pagina. Come accadeva in certi indimenticabili epigrammi composti in vecchiaia da Giorgio Caproni» (Emanuele Trevi). «Poesia delicata, volatile, breve, ma esatta e lavorata giorno dopo giorno» (Valerio Magrelli). «Leggere Arminio è un'esperienza indimenticabile» (Marco Belpoliti). «Arminio è uno scrittore raro: scrive con tutto il corpo e si accorge di tutto quello che succede ai corpi altrui, di dentro e di fuori» (Domenico Scarpa).
Va di moda assegnare le bandiere ai luoghi. C'è chi assegna la bandiera blu alle migliori località di mare e chi quella arancione ai paesi più belli. Franco Arminio assegna la bandiera bianca ai paesi più sperduti e affranti, i paesi della resa, quelli sulla soglia dell'estinzione. Ce ne sono tanti e sono i meno visitati. Non hanno il museo della civiltà contadina, non hanno il negozio che vende i prodotti tipici, non hanno la brochure che illustra le bellezze del posto, non hanno il medico tutti i giorni e la farmacia è aperta solo per qualche ora. Sono i paesi in cui si sente l'assenza di chi se n'è andato e quella di chi non è mai venuto. Non hanno neppure stranezze particolari: non fanno processioni coi serpenti, non fanno la festa degli ammogliati, non hanno dato i natali a una famosa cantante o a un politico o a un calciatore. Non hanno neppure particolari arretratezze, hanno l'acqua calda in tutte le case, hanno le macchine e il televisore, tutti hanno di che mangiare e un tetto dove dormire. In questi paesi della bandiera bianca ci sono i lampioni, ci sono i marciapiedi, c'è sicuramente almeno un bar e un piccolo negozio di alimentari, c'è un sindaco e una piazza, c'è qualche bambino, ci sono molti anziani, ci sono case nuove e case un po' più vecchie.
“Abbiamo bisogno di contadini,
di poeti, gente che sa fare il pane,
che ama gli alberi e riconosce il vento.
Più che l’anno della crescita,
ci vorrebbe l’anno dell’attenzione.
Attenzione a chi cade, al sole che nasce
e che muore, ai ragazzi che crescono,
attenzione anche a un semplice lampione,
a un muro scrostato.
Oggi essere rivoluzionari significa togliere
più che aggiungere, rallentare più che accelerare,
significa dare valore al silenzio, alla luce,
alla fragilità, alla dolcezza.”
“La prima volta non fu quando ci spogliammo
ma qualche giorno prima,
mentre parlavi sotto un albero.
Sentivo zone lontane del mio corpo
che tornavano a casa.”
Franco Arminio ha raccolto qui una parte della sua sterminata produzione in versi. Ma non è un’antologia, è un’opera antica e nuova, raffinata e popolare, un calibrato intreccio di passioni intime e passioni civili.
La prima sezione è un omaggio al paesaggio e ai paesi che Arminio racconta da anni nei suoi libri in prosa. La seconda ci presenta una serie di poesie amorose in cui spicca il suo acuto senso del corpo femminile. Dopo i testi intensi dedicati agli affetti familiari, le conclusioni sono affidate a una serie di riflessioni sulla poesia al tempo della Rete.
I versi di Arminio sono lavorati a oltranza, con puntiglio e cura, con l’obiettivo di arrivare a una poesia semplice, diretta, senza aloni e commerci col mistero. La sua scrittura è una serena obiezione alle astrazioni e al gioco linguistico, una forma di attenzione a quello che c’è fuori, a partire dal corpo dell’autore, osservato come se fosse un corpo estraneo. L’azione cruciale è quella del guardare: “Io sono la parte invisibile / del mio sguardo”.
"La paesologia è una via di mezzo tra l'etnologia e la poesia. Non è una scienza umana, è una scienza arresa, utile a restare inermi, immaturi. La paesologia non è altro che il passare del mio corpo nel paesaggio e il passare del paesaggio nel mio corpo. È una disciplina fondata sulla terra e sulla carne. È semplicemente la scrittura che viene dopo aver bagnato il corpo nella luce di un luogo." La paesologia è la scienza di Franco Arminio. Una scienza inafferrabile eppure concretissima, umorale ma a modo suo esatta. Una disciplina in cui si fondono poesia e geografia: la poesia di una scrittura limpida e visionaria, lavorata col puntiglio e la cura propri della grande letteratura; la geografia del nostro Sud. Arminio gira per i paesi della sua Irpinia, per quelli della Lucania e della Daunia (i paesi invisibili) e della cintura napoletana (i paesi giganti), sconfina in Molise, in Abruzzo, in Salento, si allontana fino alle Marche e al Trentino, e ovunque applica il suo metodo, mette in pratica il suo particolare modo di attraversare i territori e di raccontarli. Il suo sguardo non trascura nulla: le piazze, le strade, i bar, i cimiteri, i paesaggi più sublimi e gli scempi della modernità, lo sfinimento e la desolazione, i lampi e gli slanci. Ne viene fuori un referto preciso e accorato della situazione del Mezzogiorno d'Italia. Un referto che e questa è una delle singolarità del "metodo Arminio" - prevede annotazioni anche su chi la visita la fa: sull'autore stesso e il suo io errante.
La vita vista da dietro, dalla morte, si riduce a poche cose: una luce sul comodino, un barattolo di caffè, un maglione verde, le prime rose, una torta di compleanno, un solitario, le rondini che fanno avanti e indietro, una donna sconosciuta... In 128 racconti, dalla forma unica, Franco Arminio ci dà un resoconto ironico e fulminante dei tanti modi di morire inviandoci cartoline da un posto sconosciuto, spedendoci di volta in volta un soffio impercettibile, una leggera pena, una vertigine, una sorpresa.
"Temo che mi si spacchi il cuore. Come se ogni giorno si gonfiasse di amarezza. Ogni mattina mi sveglio con l'amarezza del giorno prima che mi pesa addosso e quella di trentasei anni passati in questo deserto dei tartari. Questo però è il primo autunno dove la sensazione è tanto forte, onnipresente. Qualunque cosa faccio mi accorgo della mia inesistenza. Vorrei incontrare delle persone inesistenti come me. E invece la vasca è asciutta. Oltre a quel poco d'acqua torbida dove abbiamo sempre vissuto, il mulinello si è portato via pure i pesci. Qui c'è una cattiveria senza fine. Tutti frustrati, pronti a disprezzare tutto e tutti. Come si fa respirare in queste condizioni? Come si fa a pensare di salvarsi?" Franco Arminio torna a raccontare i paesi italiani e questa volta dalla sua penna non nascono luoghi, ma persone. Con prosa limpida e insieme concitata, scorrono sulla pagina gli sgangherati pensieri esistenziali di un io narrante che somiglia in modo sospetto al suo autore, rincorsi da un controcanto affollato di personaggi sbadatamente vivi.
"Almeno un quarto dei paesi italiani è gravemente malato. È una malattia nuovissima. Di cosa si tratta? Di desolazione. Per secoli o forse millenni i paesi sono stati poveri ma, anche se modesta, la vita che si svolgeva un tempo era piena. Ogni persona stava nel suo paese come un pesce dentro al lago. Adesso pare che tutti stiano in un secchio rotto. Si vive con poca acqua e con la sensazione che nessuno sappia come conservare la poca che rimane. Chi visita i paesi d'estate o la domenica ne cattura un'impressione del tutto illusoria: il piacere del silenzio, del buon cibo, aria buona. Tutto questo è solo una facciata, una realtà apparente che nasconde un'inerzia acida, un tempo vissuto senza letizia. D'altra parte, "uno arriva e ferma la macchina in piazza. Guarda qualcuno vicino al bar o sulle panchine. Guarda una vecchia che va a fare la spesa, un cane disteso al sole, guarda porte chiuse, guarda la propria macchina e capisce che lo strumento per la fuga è a portata di mano. Basta una mezz'oretta di curve e si torna al mondo gremito, il mondo che si muove." Se i sani scappano lontano, nel paese restano i malati. Può essere depressione, può essere disagio, può essere la smania velleitaria fai nulla e di non poter arrivare da nessuna parte.
La prosa di Arminio è perfetta. Non, o non solo, in senso letterario: immagini e idee sono il suo respiro. Arminio è uno scrittore talmente originale che di questa originalità ha finito per fare una malattia. Quella malattia che pensa se stessa: perché consiste proprio nel terrore di ammalarsi. Il miracolo del libro, allora, consiste nella sua salute: una splendida salute precaria. Tra il corpo di Arminio e la sua terra, l'Irpinia terremotata e malricostruita, sussiste una profonda relazione. L'uno è il sintomo dei mali dell'altra. Così, alla prosa ruminante e insieme limpida degli aforismi e dei brevi saggi di Circo dell'ipocondria, si associano con naturalezza le immagini di Terra dei paesi, uno dei singolarissimi documentari che Arminio da qualche tempo ha preso a realizzare. (Andrea Cortellessa)