La prospettiva di partenza del teso è il dinamismo interiore dell’uomo che, consapevole del suo errore e pervaso da un vero senso di contrizione, non fugge di fronte all’accusa dei propri peccati e ricerca incessantemente di lenire le ferite inferte dalle proprie colpe a Dio e ai fratelli con le lacrime del suo dolore. Ecco il vero senso del sacramento che in questo lavoro viene sovente chiamato “sacramento della riconciliazione” e non “sacramento della penitenza”. Mentre il secondo termine mostra in pieno l’atto giudiziale e l’espiazione della colpa, il primo, invece, riesce a mostrare l’intrinseco movimento che l’essere umano compie, nel riconoscimento del proprio peccato, verso coloro che sa di amare e che ha ferito. Esso esprime molto bene anche il valore dell’atto sacramentale che, mentre cura la
ferita inferta al rapporto con Dio, ricuce la scissione e quindi “riconcilia” con i fratelli (cfr. Mt 18). La parola latina “reconciliatio” significa originariamente il ristabilimento di amicizia, una rappacificazione. Con tale termine s’intende dunque porre l’accento sul fatto che Cristo, mediante la sua morte in croce, ha ricondotto gli esseri umani all’amicizia con Dio, dalla quale si erano allontanati. Molte persone non hanno una relazione né con Dio né con se stesse.
“Riconciliazione” significa che esse, finalmente, riescono a prendere contatto con se stesse e solo allora diventano capaci anche di entrare in relazione con gli altri e con Dio.