Scritti clandestinamente dal poeta romano Giuseppe Gioacchino Belli, i "Sonetti" - composti per la maggior parte in due fasi, 1830-1837 e 1842-1847 formano nel loro insieme un poema di grandissimo rigore e complessità. Vi si può trovare lo studio colto e animato dei costumi e delle tradizioni di Roma, pur se volti spesso in parodia o in riso; oppure il contrario, la volontà implicita di distruggere i miti della storia, riportandoli alla mentalità gretta e riduttiva del parlante popolaresco. Il "culto" della verità evangelica in costante opposizione con il potere temporale e la condotta dei papi; e insieme in richiami al riformismo illuministico, di matrice soprattutto francese. E ancora: la visione puramente estetica (e quasi accademica) della città e dei suoi monumenti, e l o squallore non meno vistoso di certe piazze, angoli e cortili dove si raggruma la miseria spesso vanagloriosa delle persone che vi abitano. A fronte di ciò, gli ambienti, i riti, le figure del patriziato e del clero, tragicomiche apparizioni cui fa riscontro quasi simbolicamente l'idea egualitaria di ciò che potrebbe essere un'altra società. Il catalogo delle esplorazioni belliane è in ogni senso traboccante. Giacinto Spagnoletti ha scelto quattrocento sonetti fra i più significativi dell'immensa raccolta, dedicando a essi un commento essenziale, che non esclude le note dell'autore medesimo; sì che essi possano esse compresi in ogni angolo d'Italia.