Nell'attuale dibattito sulla crisi due sono i filoni interpretativi principali che si richiamano a Marx e che proclamano una sua rinnovata attualità. Il primo, proposto da quegli autori che si vogliono marxisti "ortodossi", è quello che legge la finanziarizzazione come conseguenza della caduta tendenziale del saggio del profitto, e in quest'ottica individua una lunga tendenza alla stagnazione che comincia negli anni Sessanta/Settanta del Novecento. L'altra interpretazione, prevalente per lo più in quei marxisti influenzati dal keynesismo e dal neoricardismo, fa riferimento alla tendenza alla crisi da realizzazione, ovvero da insufficienza da domanda. Questo secondo filone evidenzia come, dopo la controrivoluzione monetarista degli anni Ottanta del Novecento, siano avvenuti profondi mutamenti nella distribuzione del reddito con la caduta della quota dei salari, e sostiene che in un mondo di bassi salari la ragione di fondo della crisi sia l'insufficienza della domanda di consumi. In entrambi i casi, la crisi attuale coverebbe da molto tempo, e sarebbe la crisi di un capitalismo che si può ben definire asfittico. Ritengo che un'interpretazione marxiana della crisi non possa essere sganciata dalla caduta tendenziale del saggio del profitto, ma che questa vada interpretata come una sorta di meta-teoria della crisi, che ingloba al suo interno le altre e diverse teorie della crisi quali si possono trovare o derivare dal Capitale.
In tre brevi saggi viene proposta una lettura della crisi globale che va controcorrente rispetto a quelle oggi dominanti, anche a sinistra. In "Due o tre cose che so di lei", la Grande Recessione dal 2007 è vista come la crisi di un capitalismo 'neoliberista' che, lungi dall'essere monetarista e stagnazionistica, è stato una sorta di 'keynesismo privatizzato'. Dominato dai money manager e spinto dalla inflazione delle attività finanziarie, il 'nuovo' capitalismo ha prodotto da un lato lavoratori 'traumatizzati', dall'altro consumatori 'indebitati'. Il lavoro è stato realmente sussunto al capitale finanziario: la 'centralizzazione' del capitale non si è più accompagnata alla sua 'concentrazione', mentre le banche centrali hanno immesso moneta per nutrire le bolle speculative. L'instabilità è stata rimandata, ma l'insostenibilità del modello è infine esplosa violentemente, prima con la crisi delle dotcom, poi con quella dei subprime. In "Finestra sul vuoto" la crisi europea e del debito pubblico viene letta come l'altra faccia della crisi globale e del debito privato. Si ricostruiscono le tappe del percorso di unificazione monetaria, dal Trattato di Maastricht all'istituzione dell'euro, se ne ricordano le contraddizioni come le possibili alternative, e se ne spiega il singolare ma temporaneo successo iniziale, dovuto anche agli sbocchi forniti dal capitalismo anglosassone ai neomercantilismi forti e deboli.