Data di pubblicazione: Novembre 2007
DISPONIBILE IN 6/7 GIORNI
€ 14,00
Imparare a parlare, e poi a leggere e scrivere: è l’avventura affascinante e impegnativa che ogni bambino intraprende ripercorrendo, in pochi anni, la strada che i primi uomini hanno impiegato un’infinità di tempo a tracciare. E in questa ricerca, nella quale egli costruisce la sua lingua e non riproduce semplicemente quella altrui, ha bisogno di essere accompagnato da mediatori – la sua famiglia dapprima, poi la scuola – a un tempo benevoli ed esigenti, in grado di illuminare il suo cammino, di indicargli le strade senza uscita, ma anche di incitarlo a non accontentarsi dei limiti confortevoli della ‘prossimità’.
Perché, è la tesi sostenuta in questo libro, la lingua non è fatta per parlare con un altro me stesso, con chi la pensa come me, vive dove vivo io, crede nel mio stesso dio. Utilizzando un efficace paradosso, Alain Bentolila, insigne linguista con il dono di una scrittura coinvolgente, afferma che la lingua non è fatta per parlare a coloro che amiamo, ma per parlare a coloro che non amiamo, per dire loro cose che risulteranno forse spiacevoli, ma che ci permetteranno di riconoscerci e rispettarci.
Non si ha bisogno di parole con chi ci è più vicino. Le parole diventano invece necessarie quando si ha di fronte l’altro nella sua alterità, nella sua intelligenza così simile ma così diversa dalla nostra, quando la ‘comunione’ deve cedere il passo alla ‘comunicazione’.
Ma se parlare vuol dire sedersi al tavolo della negoziazione linguistica, accettare che l’altro abbia il diritto di interpretare il senso delle mie parole e insieme cercare di evitare che questa interpretazione sia un tradimento della mia intenzione, allora dobbiamo riconoscere alla parola (e alla scrittura) un potere prezioso: quello di trasformare pacificamente il mondo e gli altri. Quando questo potere viene perso, o dimenticato, spesso non rimane che cercare di imporre le proprie intenzioni con la forza. La violenza può essere esito dell’incapacità di mettere in parole il proprio pensiero, introducendovi un ordine e pacificandolo.
Tra rigorose analisi linguistiche e gustosi aneddoti familiari sapientemente miscelati, Bentolila ci offre un libro lucido e appassionato che parla di noi, dei nostri figli e del futuro, esortandoci a metterci in gioco nella battaglia per la costruzione e la trasmissione di un linguaggio capace di spezzare, con efficacia e misura, la spirale d’incomprensione che conduce allo scontro violento. «Essere uomini», egli conclude, «significa trasmettere la virtù pacifica della parola ai nostri bambini affinché abbiano una chance di costruire un mondo che, meglio del nostro, saprà resistere alla tentazione della barbarie».
Alain Bentolila, professore di Linguistica alla Sorbona di Parigi, vive in Francia, dove è consigliere scientifico dell’Osservatorio nazionale sulla lettura e dell’Agenzia nazionale per la lotta all’analfabetismo. Tra le sue numerose pubblicazioni, ormai considerate opere di riferimento, ricordiamo: De l’illettrisme en général et de l’école en particulier (1996, Grand Prix de l’Académie française) e Le propre de l’homme (2000).
Imparare a parlare, e poi a leggere e scrivere: è l’avventura affascinante e impegnativa che ogni bambino intraprende ripercorrendo, in pochi anni, la strada che i primi uomini hanno impiegato un’infinità di tempo a tracciare. E in questa ricerca, nella quale egli costruisce la sua lingua e non riproduce semplicemente quella altrui, ha bisogno di essere accompagnato da mediatori – la sua famiglia dapprima, poi la scuola – a un tempo benevoli ed esigenti, in grado di illuminare il suo cammino, di indicargli le strade senza uscita, ma anche di incitarlo a non accontentarsi dei limiti confortevoli della ‘prossimità’.
Perché, è la tesi sostenuta in questo libro, la lingua non è fatta per parlare con un altro me stesso, con chi la pensa come me, vive dove vivo io, crede nel mio stesso dio. Utilizzando un efficace paradosso, Alain Bentolila, insigne linguista con il dono di una scrittura coinvolgente, afferma che la lingua non è fatta per parlare a coloro che amiamo, ma per parlare a coloro che non amiamo, per dire loro cose che risulteranno forse spiacevoli, ma che ci permetteranno di riconoscerci e rispettarci.
Non si ha bisogno di parole con chi ci è più vicino. Le parole diventano invece necessarie quando si ha di fronte l’altro nella sua alterità, nella sua intelligenza così simile ma così diversa dalla nostra, quando la ‘comunione’ deve cedere il passo alla ‘comunicazione’.
Ma se parlare vuol dire sedersi al tavolo della negoziazione linguistica, accettare che l’altro abbia il diritto di interpretare il senso delle mie parole e insieme cercare di evitare che questa interpretazione sia un tradimento della mia intenzione, allora dobbiamo riconoscere alla parola (e alla scrittura) un potere prezioso: quello di trasformare pacificamente il mondo e gli altri. Quando questo potere viene perso, o dimenticato, spesso non rimane che cercare di imporre le proprie intenzioni con la forza. La violenza può essere esito dell’incapacità di mettere in parole il proprio pensiero, introducendovi un ordine e pacificandolo.
Tra rigorose analisi linguistiche e gustosi aneddoti familiari sapientemente miscelati, Bentolila ci offre un libro lucido e appassionato che parla di noi, dei nostri figli e del futuro, esortandoci a metterci in gioco nella battaglia per la costruzione e la trasmissione di un linguaggio capace di spezzare, con efficacia e misura, la spirale d’incomprensione che conduce allo scontro violento. «Essere uomini», egli conclude, «significa trasmettere la virtù pacifica della parola ai nostri bambini affinché abbiano una chance di costruire un mondo che, meglio del nostro, saprà resistere alla tentazione della barbarie».
Alain Bentolila, professore di Linguistica alla Sorbona di Parigi, vive in Francia, dove è consigliere scientifico dell’Osservatorio nazionale sulla lettura e dell’Agenzia nazionale per la lotta all’analfabetismo. Tra le sue numerose pubblicazioni, ormai considerate opere di riferimento, ricordiamo: De l’illettrisme en général et de l’école en particulier (1996, Grand Prix de l’Académie française) e Le propre de l’homme (2000).