Data di pubblicazione: Febbraio 2010
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La potente attualità del messaggio filosofico di Maurice Blondel
«Professore di filosofia»: è nello scarno epitaffio dettato da Maurice Blondel per la sua tomba che possiamo ritrovare, sessant’anni dopo la sua scomparsa, la cifra di un pensiero che una storiografia frettolosa e censurante ha presto rinchiuso nel cosiddetto «spiritualismo». La passione e l’attenzione verso lo scambio, la trasmissione, il confronto hanno accompagnato fin dagli esordi l’elaborazione della famosa azione in cui accadono la parola e il tempo del discorso e che, lungi dall’essere riducibile al rapporto tra conoscenza e prassi, si svela piuttosto come quell’accadere della soggettività umana in cui riacquistano senso il desiderio, la volontà, la conoscenza o, in una parola, la razionalità. Le cronache, sempre orlate di leggenda e mai definitivamente verificabili, raccontano che durante i dieci anni in cui maturò la prima elaborazione di L’azione. Saggio di una critica della vita e di una scienza della prassi, Blondel abbia letto pagine del suo lavoro ad un adolescente per verificare la comprensibilità del linguaggio adottato, come a ribadire l’insuperata efficacia dell’antico magistero socratico che riconosceva nell’altro la risorsa prima e ultima per una comprensione dell’esperienza umana. La lettura di L’azione, allora, sarà tanto più rigorosa e profonda quanto più non lascerà inespressa l’esperienza magisteriale che l’ha accompagnata, ed è per questo che l’autore, senza cedere a semplificazioni e senza rinunciare alla discussione delle posizioni assunte nel tempo dai più importanti studiosi italiani e stranieri del filosofo di Aix-en-Provence, presenta le sue analisi senza rifugiarsi in alcun "gergo" intimorente e, alla fine, chiuso rispetto allo scambio critico. Dopo aver individuato nel connubio tra il determinismo della percezione e delle leggi naturali e l’esercizio della volontà libera del soggetto la radice di un dibattito divenuto di potente attualità, il confronto con i testi di Blondel è impostato a partire da tre fuochi teorici: il fuoco metodologico, in cui viene riguadagnata la concreta fattualità nella quale si svolge la vicenda umana al di là dei dualismi che separano unilateralmente la razionalità dalla fede, dall’affettività e dall’educazione; il fuoco etico, in cui l’agire e la volontà che caratterizzano l’uomo si rivelano, da ultimo, come non deducibili da astratte costruzioni teoriche ma come fondanti la stessa razionalità; il fuoco ontologico, in cui l’azione scopre, attraverso il proprio esercizio, la necessità di ancorarsi a quanto lo stesso Blondel definisce «Unico necessario» mai padroneggiabile e, per questo, sempre altro rispetto alle pretese della razionalità. Tre fuochi in cui si gioca la credibilità di una ragione inscindibile dai suoi atti, perché - come scrive lo stesso Blondel - «nessun atto umano è cosciente, né può avere la consapevolezza della sua autodeterminazione, se non ha in sé l’idea almeno implicita della propria originalità, delle proprie conseguenze ripercuotentisi all’infinito, della propria intemporale responsabilità cui non può, alla fine, sottrarsi».
La potente attualità del messaggio filosofico di Maurice Blondel
«Professore di filosofia»: è nello scarno epitaffio dettato da Maurice Blondel per la sua tomba che possiamo ritrovare, sessant’anni dopo la sua scomparsa, la cifra di un pensiero che una storiografia frettolosa e censurante ha presto rinchiuso nel cosiddetto «spiritualismo». La passione e l’attenzione verso lo scambio, la trasmissione, il confronto hanno accompagnato fin dagli esordi l’elaborazione della famosa azione in cui accadono la parola e il tempo del discorso e che, lungi dall’essere riducibile al rapporto tra conoscenza e prassi, si svela piuttosto come quell’accadere della soggettività umana in cui riacquistano senso il desiderio, la volontà, la conoscenza o, in una parola, la razionalità. Le cronache, sempre orlate di leggenda e mai definitivamente verificabili, raccontano che durante i dieci anni in cui maturò la prima elaborazione di L’azione. Saggio di una critica della vita e di una scienza della prassi, Blondel abbia letto pagine del suo lavoro ad un adolescente per verificare la comprensibilità del linguaggio adottato, come a ribadire l’insuperata efficacia dell’antico magistero socratico che riconosceva nell’altro la risorsa prima e ultima per una comprensione dell’esperienza umana. La lettura di L’azione, allora, sarà tanto più rigorosa e profonda quanto più non lascerà inespressa l’esperienza magisteriale che l’ha accompagnata, ed è per questo che l’autore, senza cedere a semplificazioni e senza rinunciare alla discussione delle posizioni assunte nel tempo dai più importanti studiosi italiani e stranieri del filosofo di Aix-en-Provence, presenta le sue analisi senza rifugiarsi in alcun "gergo" intimorente e, alla fine, chiuso rispetto allo scambio critico. Dopo aver individuato nel connubio tra il determinismo della percezione e delle leggi naturali e l’esercizio della volontà libera del soggetto la radice di un dibattito divenuto di potente attualità, il confronto con i testi di Blondel è impostato a partire da tre fuochi teorici: il fuoco metodologico, in cui viene riguadagnata la concreta fattualità nella quale si svolge la vicenda umana al di là dei dualismi che separano unilateralmente la razionalità dalla fede, dall’affettività e dall’educazione; il fuoco etico, in cui l’agire e la volontà che caratterizzano l’uomo si rivelano, da ultimo, come non deducibili da astratte costruzioni teoriche ma come fondanti la stessa razionalità; il fuoco ontologico, in cui l’azione scopre, attraverso il proprio esercizio, la necessità di ancorarsi a quanto lo stesso Blondel definisce «Unico necessario» mai padroneggiabile e, per questo, sempre altro rispetto alle pretese della razionalità. Tre fuochi in cui si gioca la credibilità di una ragione inscindibile dai suoi atti, perché - come scrive lo stesso Blondel - «nessun atto umano è cosciente, né può avere la consapevolezza della sua autodeterminazione, se non ha in sé l’idea almeno implicita della propria originalità, delle proprie conseguenze ripercuotentisi all’infinito, della propria intemporale responsabilità cui non può, alla fine, sottrarsi».